Preavviso di dimissioni più lungo? Ti spettano soldi dall’azienda

Scopri quando una clausola che allunga il preavviso di dimissioni è valida e perché puoi avere diritto a un corrispettivo economico

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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Il giudice del lavoro, con una sentenza pronunciata lo scorso novembre, ha affrontato una serie di importanti questioni in materia di dimissioni, preavviso e validità delle clausole inserite dalle parti del contratto.

In particolare, la decisione n. 1488 del tribunale di Tivoli offre spunti utili a capire quando è valida una clausola che allunga il periodo di preavviso di dimissioni. Si spiega inoltre quali sono i limiti posti dal contratto collettivo e in che modo può e deve decidere la magistratura in caso di disputa giudiziaria su questi temi.

Vediamo insieme, in sintesi, i fatti e la pronuncia, perché è e sarà di orientamento giurisprudenziale per moltissimi casi analoghi o simili.

La vicenda in breve, preavviso di 18 mesi e dimissioni per giusta causa

Circa una decina d’anni fa, un lavoratore era stato assunto con contratto a tempo indeterminato. Con il proprio datore, l’uomo si era accordato per inserire, nel contratto individuale, una particolare clausola per cui — in ipotesi di dimissioni — il periodo di preavviso non sarebbe stato quello previsto dal contratto collettivo metalmeccanici (90 giorni per un profilo con l’anzianità del dipendente in oggetto), ma il ben più lungo lasso di tempo pari a 18 mesi.

Questa clausola, sin dal principio, è il cuore del contenzioso: è valida oppure no? La risposta del giudice è stata: sì, può esserlo, ma soltanto a precise condizioni e tenendo ben presente che cosa dice la legge sul punto. Il quadro normativo di riferimento è nell’art. 2118 Codice Civile, per cui il preavviso va sempre dato nel termine e nei modi stabiliti dalle “norme corporative, dagli usi o secondo equità”.

Per molto tempo, nella prassi dei rapporti di lavoro, la disposizione è stata vista come una sorta di riserva esclusiva a favore del contratto collettivo, nella determinazione del tempo di preavviso. Oggi, spiega il giudice di Tivoli, questa lettura è superata: infatti, la giurisprudenza ritiene perfettamente legale e accettabile un accordo individuale che estenda il periodo di preavviso in caso di dimissioni. Purché non vi sia giusta causa e, quindi, la sopravvenienza di un motivo (ad es. molestie o mobbing) che rompa — subito e irreparabilmente — il rapporto di fiducia con l’azienda.

Fino a dove si può arrivare con gli accordi individuali, diritti e limiti

Secondo la magistratura, datore e lavoratore possono certamente pattuire un preavviso più lungo rispetto a quello previsto dal contratto collettivo. È un’esigenza spesso avvertita dall’azienda, che potrebbe aver bisogno di più tempo per sostituire un dipendente esperto, affidabile, altamente specializzato o difficilmente reperibile sul mercato.

Tuttavia, questa libertà non è assoluta. Ci sono alcuni limiti da rispettare dal lato datoriale, che possono essere riassunti nei termini seguenti:

  • non si può concordare un preavviso più corto, o addirittura eliminarlo, rispetto a quanto stabilito dal contratto collettivo. Infatti, nell’esigenza di garantire i fondamentali diritti del lavoratore, il preavviso può esclusivamente aumentare, mai diminuire;
  • il periodo pattuito deve essere ragionevole e, quindi, non può essere così lungo da rendere impossibile l’esercizio del diritto di recedere. In altre parole, il preavviso non deve mai trasformarsi in una sorta di “catena” che vincola il dipendente ben oltre quanto sia proporzionato agli interessi aziendali.

In sintesi, il giudice del lavoro sottolinea che è sempre necessario un equo bilanciamento degli interessi. Da una parte, l’esigenza aziendale di una transizione ordinata, mentre — dall’altra — la libertà del lavoratore di lasciare il posto, senza essere costretto a rimanere un tempo eccessivo.

Questi sono i paletti generali fissati dalla magistratura alla clausola che modifica il periodo di preavviso, ma il ruolo chiave sta nella controprestazione a favore del dipendente.

Il ruolo del corrispettivo economico nella clausola di estensione del periodo di preavviso

Il punto chiave evidenziato dal tribunale di Tivoli, e di sicuro orientamento per molteplici casi simili, è rappresentato dal fattore economico. Infatti, se viene proposta una clausola di estensione del preavviso, al dipendente va assegnato un adeguato corrispettivo in busta paga.

In proposito, con la pronuncia n. 1488, il giudice fuga ogni dubbio:

  • gli eventuali vantaggi indiretti (come anzianità più lunga, con effetti sulla retribuzione o sulle progressioni di carriera, o sulla tutela della salute) non bastano a giustificare un preavviso così esteso;
  • è sempre necessaria una compensazione specifica, una somma aggiuntiva o un beneficio concreto e direttamente collegato al maggior vincolo.

Senza corrispettivo, la clausola si tradurrebbe in una modifica peggiorativa delle condizioni contrattuali, rispetto a quanto stabilito dal contratto collettivo. E questo è espressamente vietato dall’art. 2077 Codice Civile. Una deroga peggiorativa rispetto al contratto collettivo e, in ogni caso, nulla.

Che cosa ha deciso il giudice del lavoro

Applicando queste regole al caso giunto alla sua attenzione, il giudice del lavoro ha accertato l’assenza, nel contratto di lavoro, di una controprestazione economica per l’estensione del periodo di preavviso. Ecco perché, come si legge nella pronuncia, la clausola inserita nel contratto individuale:

non può ritenersi rispondente alla funzione economico-sociale, di per sé meritevole, di fidelizzazione del dipendente.

Non solo. In una clausola descritta in questo modo si paleserebbe anche:

un patto di non concorrenza anticipato e privo di corrispettivo, e dunque una violazione di legge.

Nel caso esaminato, le parti avevano stabilito un preavviso di ben 18 mesi. Una durata così ampia è stata ritenuta in astratto legittima, purché ci fosse una giustificazione meritevole di tutela per entrambe le parti. Ma per il lavoratore, come visto, un vantaggio reale non c’era.

Il Tribunale ha dunque sancito che, in assenza di una specifica controprestazione economica che compensasse il sacrificio imposto, la clausola è sempre nulla perché vìola le norme vigenti.

Che cosa cambia

Il tema del preavviso, in caso di dimissioni, torna periodicamente al centro dell’attenzione dei giudici, soprattutto quando datore e dipendente decidono di regolare questo passaggio con accordi diversi, rispetto a quanto previsto dal contratto collettivo.

Come abbiamo visto, la sentenza del tribunale di Tivoli n. 1488 del novembre scorso offre un quadro molto preciso su fin dove possono spingersi le parti e su quali limiti non possono mai essere superati.

In un mercato del lavoro sempre più dinamico, è una conferma dei principi che regolano gli accordi individuali sul preavviso di dimissioni. È comprensibile che le aziende abbiano interesse a trattenere più a lungo figure chiave. Tuttavia, il diritto del lavoratore di recedere dal contratto non può essere svuotato o compresso oltre misura, al di fuori del principio di ragionevolezza. Se la libertà del dipendente viene limitata, oltre al salario ordinario serve una compensazione adeguata. Infatti, la flessibilità contrattuale è certamente possibile, ma non deve mai essere sbilanciata a tutto svantaggio del lavoratore.