Volkswagen in crisi ferma l’impianto Audi di Bruxelles: operai a rischio sequestrano le auto

Gli operai dell'impianto Audi di Bruxelles, contro la decisione di Volkswagen di fermare la produzione nell'impianto, sequestrano 200 auto

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Prime reazioni alla storica decisione di Volkswagen di fermare la produzione di uno dei suoi impianti, quello di Bruxelles in cui si producono modelli di Audi. Gli operai, che ora rischiano il licenziamento se la fabbrica dovesse essere chiusa, hanno sequestrato le chiavi di circa 200 auto pronte per essere consegnate alle concessionarie, promettendo di non restituirle finché non avranno avuto rassicurazioni sul proprio futuro.

Volkswagen è in grande difficoltà nell’ultimo periodo. La svolta verso l’elettrico, seguita allo scandalo sulle emissioni truccate delle proprie auto diesel, sta indebolendo il colosso tedesco che controlla anche il marchio Audi. La riduzione dei costi sembra essere l’unica strada per riportare l’azienda verso il profitto sostenibile, ma questo potrebbe significare chiudere impianti anche in Germania.

La situazione dell’impianto Audi di Bruxelles

L’impianto Audi di Bruxelles è bloccato. Gli operai hanno confiscato le chiavi di 200 veicoli pronti per la consegna alle concessionarie e hanno annunciato uno sciopero. Dall’8 settembre i lavoratori occupano l’ingresso dell’impianto come forma di protesta contro le decisioni di Volkswagen, il gruppo che controlla il marchio Audi, riguardo al futuro dell’impianto stesso. Già nel luglio dello scorso anno infatti la casa automobilistica tedesca aveva annunciato che circa la metà dei dipendenti di Audi Brussels, 1410 su 3000, sarebbero stati licenziati entro ottobre.

Il piano di tagli però non si sarebbe concluso con quei licenziamenti. Altri 600 operai sarebbero stati lasciati senza lavoro all’inizio del 2025. L’unica decisione che avrebbe potuto invertire questa rotta sarebbe stata l’assegnazione di un nuovo modello di Audi all’impianto. Il 5 settembre però Volkswagen ha definitivamente confermato che questa prospettiva non si sarebbe realizzata. Il giorno stesso gli operai hanno sequestrato le chiavi di 200 auto pronte alla consegna, chiedendo garanzie sul proprio futuro.

L’8 settembre è arrivata la reazione di Audi. I vertici della fabbrica il giorno dopo avrebbero dovuto ordinare la ripresa della produzione del modello assegnato a Bruxelles, l’elettrica e-Tron, dopo mesi di blocco. Il gruppo Volkswagen ha però deciso che la fabbrica sarebbe rimasta chiusa fino a che la protesta degli operai non fosse rientrata. È a quel punto che il lavoratori hanno deciso di occupare l’ingresso della fabbrica e di organizzare una manifestazione di protesta per il 16 settembre.

La chiusura di un impianto del gruppo Volkswagen è un fatto eccezionale. L’azienda è il simbolo del successo tedesco nel mondo, non soltanto per quanto riguarda il settore automobilistico. Da diverso tempo però il gruppo sta attraversando un periodo complicato. L’ultimo problema è la transizione verso l’elettrico, imposta dall’Ue per ridurre le emissioni e contrastare i disastri climatici. Le case tradizionali europee non riescono a reggere la concorrenza delle aziende cinesi, sospettate di produrre in perdita con i sussidi di Pechino dall’Unione europea. Non è un caso che a patire le conseguenze sia un impianto dove si produce un modello a batteria.

La lunga crisi di Volkswagen

I problemi di Volkswagen non sono imputabili soltanto alla transizione elettrica e risalgono ormai a quasi 10 anni fa. La prima crepa all’inizio del 2015 fu però comunque legata ad alcune regolamentazioni ambientali: il dieselgate. Nonostante la crisi economica, l’inizio degli anni ’10 di questo secolo era stato caratterizzato dalla coda di un lungo momento di crescita per Volkswagen. Nel 1015 però la Usepa, l’agenzia per l’ambiente Usa, si accorse che i motori diesel Tdi del gruppo erano stati progettati al fine di ridurre le emissioni soltanto durante i test di controllo.

Scoppiò quindi il caso dieselgate, che danneggiò Volkswagen sia dal punto di vista dell’immagine che da quello finanziario. Soltanto per rimediare ai danni e modificare i motori manomessi, il gruppo fu costretto a investire 16,2 miliardi di euro e accettare di pagarne altri 14,7 per risolvere i contenziosi legali civili negli Usa. Il periodo di crescita si fermò e cominciò un declino del fatturato che invertì la rotta soltanto nel 2017. Il 2018 fu l’anno del sorpasso al picco di fine 2014, Volkwagen sembrava pronta a ripartire ma soltanto un anno dopo, dopo 12 mesi comunque non entusiasmanti, scoppiava la pandemia da Coronavirus.

Seguirono altri anni difficili, che hanno portato alla situazione odierna. L’Unione europea chiede un netto cambio di passo all’intera industria, fissando come termine ultimo per la fine della vendita di auto a combustione il 2035. La soluzione delle case automobilistiche sono le auto elettriche che, dopo un periodo promettente nel 2022, iniziano a scontrarsi con la diffidenza del pubblico. Volkswagen è tra le aziende che soffrono di più questo cambiamento.

L’amministratore delegato del gruppo Oliver Blume ha chiarito la questione: “La situazione del marchio Volkswagen è così grave che non si può lasciare che tutto continui come prima“. Il mercato europeo si fa sempre più ristretto e il passaggio all’elettrico ha attratto la concorrenza, sospettata di essere sleale, di mezza dozzina di nuovi marchi cinesi, oltre che quella di Tesla. Le vendite di auto di Volkswagen, per stessa ammissione dell’azienda, sono il calo di mezzo milione di modelli e in Europa non si stanno riprendendo. Le auto elettriche non stanno vendendo e al contrario il numero di nuove immatricolazioni cala.

Per questa ragione, è necessario un cambio netto di strategia. Volvo, marchio del gruppo, abbandonerà il proprio progetto di passare all’elettrico entro il 2030, concentrandosi su ibride plug in e mild. Questo però potrebbe portare alla chiusura di altri impianti oltre a quello di Bruxelles. Ben due stabilimenti in Germania rischiano la chiusura.

I rimproveri della commissione Ue sugli obiettivi del 2035

Poco ricettiva a questi problemi sembra essere la Commissione europea, che ha recentemente richiamato i produttori di automobili. Secondo i commissari uscenti il settore non si sta adeguando alla tabella di marcia per l’elettrificazione del parco auto europeo. La produzione di auto elettriche non accelera, anche per la mancanza di domanda, e al contrario sta diminuendo ogni mese.

La quota dei veicoli elettrici immatricolati ad agosto è soltanto del 3,7%, con un netto calo rispetto all’8,3% di giugno grazie ad alcuni incentivi all’acquisto. Questo in un contesto drammatico per il mercato in generale, che nonostante un lieve risollevarsi delle immatricolazioni rispetto al 2023, del 3,8%, rimane inferiore del 18,5% sui livelli precedenti alla pandemia. Il commissario europeo al mercato interno Thierry Breton ha però spronato i produttori ricordando che “i parametri del 2035 non si materializzeranno da soli per magia”.