“Liberare Roma”, innovazione e competenza per la rinascita della Città Eterna

Il nuovo libro di Francesco Delzio è un atto di fiducia sulle capacità della città di uscire dalla profonda crisi socio economica. A patto che si applichi il modello Draghi: capacità e competenza al posto delle dannose rendite di posizione.

Foto di QuiFinanza

QuiFinanza

Redazione

QuiFinanza, il canale verticale di Italiaonline dedicato al mondo dell’economia e della finanza: il sito di riferimento e di approfondimento per risparmiatori, professionisti e PMI.

Roma, la capitale d’Italia, è caduta. Da sé, non sono arrivati i barbari o i lanzichenecchi. La cattiva politica, un sistema di rendite unico al mondo hanno distrutto templi, abbattuto acquedotti… Un progressivo degrado. Sociale e urbanistico, economico.

Il capitale imprenditoriale che si era sviluppato agli inizi del nuovo millennio, con una percentuale di crescita del Pil superiore alla media nazionale, è evaporato, lasciando un tessuto produttivo segnato da tassi di disoccupazione tipici di un area depressa, periferie abbandonate e lontane – sono solo fisicamente – dal centro.

“Liberare Roma”, il nuovo libro di Francesco Delzio, docente presso la Luiss Guido Carli e imprenditore, fotografa questa realtà, di cui tutti sono colpevolmente coscienti e, nello stesso tempo, invita i cittadini al cambiamento. Un cambio di direzione possibile. Le potenzialità della Città Eterna sono uniche: attraverso un’agenda in grado di liberare le rendite di posizione, gli interessi particolari, l’area urbana di Roma può diventare un polo di crescita con enormi capacità di sviluppo.

“A Roma serve disperatamente una scossa manageriale, un piano strategico” che può essere portato a compimento da quella che Delzio definisce la “carica dei 100”, manager da inserire nei nodi amministrativi della metropoli. È necessario costruire un orizzonte fatto di qualità della vita, opportunità culturali, cura della persona, mobilità green, turismo e servizi a valore aggiunto. Ingredienti che, sotto la cenere dell’abbandono, covano da sempre a Roma: il polo universitario – per esempio – è il primo in Europa.

“Liberare Roma”, a ben vedere, indica una diffusa ed efficiente un capacità di project management come chiave della ripresa. Un direzione dovrebbe intraprendere l’intero Paese.

“Liberare Roma” è la sua ultima pubblicazione: un appello ai cittadini e alle forze migliori della società a prendere in mano il destino della città per il rilancio. Una sfida possibile? E su quali basi potrebbe essere vinta?
Roma può rinascere. Nel libro lancio una scommessa ardita: i prossimi anni potranno diventare il “decennio di Roma”, se la classe dirigente economica, sociale e culturale della Capitale tornerà a preoccuparsi e occuparsi della propria città per “liberarla” dalla cattiva politica, dalla pessima amministrazione e da un sistema di rendite unico al mondo. A Roma serve disperatamente una scossa manageriale sul modello della “rivoluzione Draghi”, un piano strategico per posizionarsi nel mondo come “Capitale della Bellezza” e un progetto di sviluppo policentrico che abbatta il drammatico divide sociale tra la cittadella del centro storico e le immense periferie della Città Eterna.

Perché afferma che Roma potrebbe elaborare un progetto in grado di porla in posizione di vantaggio rispetto alle altre metropoli?
Perché potenzialmente Roma è in grado di incrociare perfettamente i macro-trend che domineranno lo sviluppo globale nei prossimi anni: uno sviluppo che si giocherà nella competizione tra città-Stato, come avvenne nel Rinascimento, e non più tra sistemi-Paese. I principali urbanisti a livello internazionale prevedono che “vinceranno” nel mondo, nei prossimi anni, le “global cities” in cui investitori, manager e talenti provenienti da ogni angolo del pianeta vorranno vivere. La competizione si giocherà quindi sul terreno della qualità della vita e delle opportunità culturali, della cura della persona e della mobilità green, del turismo di qualità e dei servizi ad alto valore aggiunto. È uno scenario molto coerente con il DNA della Città Eterna. A patto che sappia lasciarsi alle spalle il provincialismo, il degrado urbano e la rassegnazione degli ultimi anni.

Se i guai della città sono attribuibili alla pessima amministrazione e pur vero che gli amministratori sono stati eletti. La domanda che ci si potrebbe porre – questo vale per l’intero Paese – è che per vari motivi la società della Capitale è questa, dunque non è in grado di fornire alternative. Forse la sua soluzione richiama un po’ le avanguardie gramsciane?
Bella domanda! Io credo che la società della Capitale sia molto più solida e innovativa di quanto comunemente si creda. E che la prima svolta di cui Roma ha bisogno è quella che chiamo nel libro “la carica dei cento”: 100 manager da inserire nei gangli vitali della macchina amministrativa di Roma Capitale e delle sue controllate, per trasformare un gigante di carta inefficiente e autoreferenziale in un sistema moderno di servizi per i cittadini della Capitale. Spingendo il sistema-Roma sul sentiero di quella partnership virtuosa tra pubblico e privato che ha fatto le fortune di Milano, a partire dalla giunta Albertini.

A inizio degli anni 2000, Roma e il suo territorio vissero un periodo di sviluppo economico, start up, eccellenze produttive, con un Pil spesso superiore alla media nazionale. Cosa è successo dopo circa 20 anni?
Dopo 20 anni il tessuto produttivo di Roma è profondamente cambiato: meno industria e più servizi di tipo tradizionale, crollo del valore aggiunto, giovani in fuga. Tassi di NEET (giovani che non hanno né cercano un impiego e non frequentano una scuola né un corso di formazione o di aggiornamento professionale, ndr) e di disoccupazione giovanile da area depressa del Mezzogiorno. Centro e periferie che non comunicano più tra di loro, come se appartenessero a due città diverse e lontane. E un sentiment collettivo dominato dalla rassegnazione e dal “presentismo”.

Se Roma piange, Milano ride. Nell’ultimo decennio la città lombarda ha conosciuto un grande sviluppo. Una crescita, secondo alcuni, che ha cannibalizzato più che trainato il Paese. Cosa ne pensa e crede che possano coesistere, invece, due centri metropolitani in grado di sostenere la ripresa in Italia?
Assolutamente sì. La teoria della “cannibalizzazione” non ha molto senso, perché Roma e Milano hanno due vocazioni produttive e culturali – in Italia e nel mondo – molto diverse. Ma mentre Milano ha saputo sfruttare al massimo l’effetto EXPO agganciandosi all’Europa del Nord e sviluppando un’apertura di pensiero e d’azione globale, Roma negli ultimi anni si è chiusa in se stessa dimenticando di avere asset globali unici. È ora di ricostruire una connessione forte tra Roma e le sue bellezze senza tempo, la sua vocazione globale e la forza planetaria del suo brand, rivitalizzando i “patrimoni” della Capitale, alla luce del green new deal e della rivoluzione digitale. In pratica mobilità green e bike revolution, digitalizzazione del patrimonio artistico e applicazioni della tecnologia 6G alla gestione del traffico, sviluppo del turismo di qualità e trasferimento dell’innovazione dal polo universitario (il primo d’Europa) alle imprese. Una sfida complessa, ma che i romani possono vincere riscoprendo ambizione e orgoglio.

I fondi europei, tema caldissimo, possono essere una soluzione sia per problemi della Capitalia sia del Paese?
Certo. Roma ha bisogno di ingentissime risorse pubbliche per finanziare il suo turn-around e per riportare i servizi pubblici locali a un livello accettabile di efficienza. Ma per ottenere i fondi europei servono proprio quelle capacità di project management di cui l’amministrazione di Roma Capitale sembra essere più carente. Ecco perché, oltre alla “scossa dei cento manager”, è fondamentale che il prossimo sindaco e la prossima giunta abbiano un profilo manageriale. Sul modello Draghi.

Facendo un esercizio di realismo, come si immagina Roma tra dieci anni? Il Mezzogiorno, altro tema che lei ha sempre portato alla ribalta nei suoi lavori (La Scossa), pare sia stato abbandonato a se stesso…
Il Sud è stato abbandonato, in effetti, in una condizione inaccettabile di sottosviluppo e di carenza di investimenti pubblici sulle grandi reti fisiche e digitali. Voglio credere e sperare che non possa mai verificarsi qualcosa di analogo con la Capitale d’Italia.