Diritto all’oblio su Google: cos’è e come cambia con la nuova sentenza

Una sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha stabilito nuove regole che riguardano il diritto all'oblio sui motori di ricerca

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Mirko Ledda

Editor e fact checker

Scrive sul web da 15 anni, come ghost writer e debunker di fake news. Si occupa di pop economy, tecnologia e mondo digitale, alimentazione e salute.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che Google dovrà eliminare i risultati di ricerca delle persone che abitano nei Paesi comunitari qualora queste possano dimostrare che le informazioni fornite dal motore di ricerca siano sbagliate. L’ente ha sottolineato nella sentenza che per il diritto all’oblio non solo è valido il principe della manifesta scorrettezza dei dati, ma che sarà necessario deindicizzarli anche qualora non dovessero essere aggiornati o dovessero essere imbarazzanti per l’individuo che ne chiede la cancellazione.

La normativa che riguarda il trattamento dei dati personali nei 27 Paesi membri prevede infatti il diritto dei cittadini di riappropriarsi di ciò che appare se viene cercato il proprio nome online, ma spesso si scontra con la libertà di stampa e con il diritto alla conoscenza, e ci sono molte zone grigie.

Perché la Corte Europea si è espressa di nuovo sul diritto all’oblio

Il caso è stato sollevato grazie a una denuncia depositata alla Corte Ue da due manager di un gruppo di investimento tedesco, che avevano chiesto al motore di ricerca di eliminare i risultati che apparivano digitando i loro nomi e che portavano ad articoli che criticavano il loro modello aziendale. Questi articoli avrebbero riportato informazioni false.

I due avevano chiesto inoltre a Google di rimuovere i risultati per immagini di foto che li ritraevano e che si posizionavano sul motore di ricerca senza alcun contesto. Non è nota l’identità dei due imprenditori, né della loro società.

Google aveva però rifiutato le loro istanze, perché non sarebbe stata chiarita la non accuratezza o falsità delle informazioni presenti negli articoli. Decisione ribaltata dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha stabilito che il motore di ricerca deve procedere all’eliminazione dei risultati davanti a tali richieste.

La sentenza che cambia il diritto all’oblio in tutta l’Unione Europea

La libertà di espressione e la libertà di stampa, hanno precisato i giudici Ue, non possono essere rilevanti se le informazioni riportate sono errate, anche solo in parte. Ha inoltre stabilito che per la rimozione posso bastare delle prove che possono essere acquisite in maniera ragionevole. Dunque non sarà necessario avere in mano una sentenza di un giudice per rimuovere dei contenuti offensivi, lesivi o scorretti.

I motori di ricerca non dovranno inoltre indagare su ogni caso per determinare se il contenuto sia accurato o meno, viene spiegato dalla Corte, perché il quantitativo di lavoro extra per le aziende sarebbe eccessivo. Ed evitabile semplicemente rimuovendo i risultati in maniera proattiva dopo la ricerca.

Per quanto riguarda invece la questione delle foto presenti sul motore di ricerca, queste dovevano essere subito rimosse in quanto il contenuto vero e proprio non era online da molto tempo.

La risposta di Google e i dati aggiornati sul diritto all’oblio digitale

Google ha accolto positivamente la sentenza, spiegando di aver implementato il diritto all’oblio in Europa già nel 2014, con l’obiettivo di trovare un equilibrio tra le varie norme vigenti che riguardano la libertà di espressione e la libertà di stampa. Da quell’anno ha rimosso ben 5,25 milioni di link per il diritto all’oblio, ovvero quelli interessati da circa metà delle richieste arrivate al motore di ricerca, secondo l’ultimo report annuale di trasparenza.

Attenzione però. Quando Google rimuove un link in realtà lo oscura solo in relazione al nome della persona che ne ha fatto richiesta, mentre il sito continua a essere raggiungibile attraverso altre ricerche degli utenti.

Vi abbiamo spiegato qua le norme che regolano il diritto all’oblio. È regolato insieme al diritto all’anonimato anche grazie alla Dichiarazione dei diritti in internet, spiegata qua. La protezione dei dati personali fa parte del pacchetto di misure del GDPR, di cui vi abbiamo parlato qua.