Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, è il palcoscenico della 28esima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, la COP28. Il summit annuale è ormai una tappa fondamentale nella lotta contro gli impatti del riscaldamento globale. La COP28, al via oggi, affronterà questioni fondamentali: la riduzione dell’uso dei combustibili fossili, la valutazione delle azioni intraprese finora e l’implementazione di un fondo per risarcire i Paesi maggiormente minacciati dal cambiamento climatico. Le conferenze sul clima sono l’hot spot internazionale nel quale la comunità globale affronta la crisi climatica, una delle sfide più imponenti che l’umanità si trova ad affrontare.
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Riduzione dell’uso dei combustibili fossili
La principale sfida della COP28 sarà portare avanti i negoziati sulla transizione energetica, focalizzandosi sui tempi e le modalità di abbandono dei combustibili fossili, come carbone, petrolio e gas naturale, principali fattori delle emissioni di gas serra. Nell’accordo concluso alla COP26 a Glasgow, era stata introdotta l’esplicita menzione del carbone, con l’obiettivo di ridurne gradualmente l’uso. Tuttavia, il cammino verso impegni più stringenti è stato limitato. In questo contesto, l’Unione Europea proporrà di chiudere entro il 2050 le centrali elettriche alimentate con combustibili fossili non dotate di tecnologie avanzate per la cattura e il sequestro delle emissioni di anidride carbonica (CCS). La proposta include anche una riduzione dei sussidi pubblici all’industria dei combustibili fossili, una mossa che potrebbe incontrare resistenze da parte dei Paesi in via di sviluppo, che hanno bisogno di utilizzare queste risorse per sostenere la crescita economica.
L’India, uno degli stati in via di sviluppo più grandi, potrebbe chiedere maggiori impegni nella riduzione delle emissioni da parte dei Paesi sviluppati, proponendo l’obiettivo di “negatività carbonica” entro il 2050. Questo approccio suggerisce che, se le nazioni sviluppate riducono le loro emissioni, i Paesi in via di sviluppo potrebbero mantenere una produzione maggiore per un periodo più prolungato. La discussione su petrolio e gas naturale si concentrerà sulle emissioni generate durante l’estrazione e il trattamento di questi combustibili, ponendo l’attenzione su un aspetto cruciale che influenzerà gli esiti della COP28.
Lo stato dell’arte, cosa è stato fatto fino adesso
L’Accordo di Parigi stabilisce il controllo periodico ogni cinque anni dei progressi compiuti nella lotta al riscaldamento globale, attraverso il “Global Stocktake” (GST). A Dubai, si concluderà il primo di questi check, una valutazione che coinvolge la comunità scientifica, le istituzioni e le imprese. I risultati indicano che le azioni intraprese dal 2015 a oggi sono insufficienti per mantenere l’aumento della temperatura media globale sotto l’ambizioso obiettivo di 1,5 °C stabilito nell’Accordo di Parigi. Durante la COP28, i leader di molte nazioni commenteranno questi risultati e nei successivi due anni si prevede l’aggiornamento degli impegni di riduzione delle emissioni per allinearli agli obiettivi di Parigi.
Il principale risultato dell’ultima COP a Sharm el-Sheikh è stato l’accordo per istituire un fondo di compensazione per i Paesi in via di sviluppo maggiormente esposti agli effetti dei cambiamenti climatici, noto come “loss and damage“. Questo fondo mira a compensare i danni causati principalmente dagli stati con economie più sviluppate, storicamente responsabili delle maggiori emissioni di gas serra. Sebbene un accordo sulle caratteristiche di questo fondo sia stato recentemente raggiunto ad Abu Dhabi, persistono divergenze su aspetti chiave. È stata proposta la partecipazione ai negoziati della Banca Mondiale, ma alcuni Paesi in via di sviluppo temono un favoreggiamento degli interessi di quelli sviluppati. Inoltre, la definizione dei Paesi più minacciati e le modalità di finanziamento rimangono punti di discordia, lasciando aperta la possibilità che, durante la COP28, non si raggiunga un accordo cruciale
Il Presidente della COP28 accusato di trattative illecite sul petrolio
Gli Emirati Arabi Uniti, settimo produttore di petrolio e il quarto emettitore di gas serra pro capite, ospitano la COP28 di Dubai. La tensione tra l’obiettivo della conferenza di affrontare il riscaldamento globale e il ruolo dell’industria dei combustibili fossili, evidenziato dalla nomina di Sultan Ahmed Al Jaber, CEO della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), come presidente della COP, ha generato dibattiti sull’adeguatezza dell’organizzazione dell’evento da parte degli Emirati. La situazione pone in discussione la coerenza tra la leadership della COP e la necessità di affrontare le sfide climatiche, dato il ruolo significativo dell’industria petrolifera nel panorama degli Emirati Arabi Uniti. Il presidente della COP28, è stato inoltre accusato di aver condotto trattative commerciali sui combustibili fossili durante le riunioni preparatorie. L’accusa è stata avanzata dalla BBC il 27 novembre, affermando che Al Jaber avrebbe sfruttato la sua posizione per negoziare accordi con almeno 27 governi stranieri in previsione della conferenza che si terrà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre.
Il portavoce della COP28 ha respinto fermamente le accuse, dichiarando che i documenti citati nell’articolo della BBC sono inesatti e non sono stati utilizzati nelle riunioni preparatorie della conferenza. L’inchiesta della BBC si basa su documenti raccolti dal Centre for Climate Reporting (CCR), che afferma di aver verificato l’autenticità dei documenti ottenuti da un informatore anonimo per evitare ritorsioni. Tra i documenti contestati, si trova una proposta dell’Adnoc rivolta alla Cina, suggerendo la collaborazione in progetti congiunti nel settore del gas naturale liquefatto in Mozambico, Canada e Australia. La BBC riporta che il comitato organizzatore della COP28 non ha smentito la conduzione di trattative commerciali durante le riunioni preparatorie.
COP28 a Dubai: tra protagonisti e assenti, il Papa rinuncia
La COP28 di Dubai, con 70.000 presenze previste fino al 12 dicembre, potrebbe raggiungere risultati grazie agli inviati speciali per il clima degli Stati Uniti, John Kerry, e della Cina, Xie Zhenhua. Nonostante l’assenza dei rispettivi presidenti Biden e Xi, i due rappresentanti sono considerati protagonisti chiave, dato che Cina e Stati Uniti contribuiscono con il 40% delle emissioni globali di gas serra. Kerry ha sottolineato infatti l’importanza dell’azione congiunta per il successo della COP.
Tra gli assenti anche il Papa, costretto a rimanere a Roma per problemi di salute, sarà rappresentato dal cardinale Pietro Parolin, affronterà il tema della mitigazione. L’1 e 2 dicembre, con 150 interventi di capi di Stato e di Governo, si svolgerà l’evento centrale del summit. La premier Giorgia Meloni interverrà il 1° dicembre, focalizzandosi sull’adattamento, tematica cruciale per i paesi in via di sviluppo e l’Africa, aspetti cui l’Italia dedica impegno tramite il piano Mattei e il fondo italiano per il clima da 4,2 miliardi di euro.