Cos’è la moda sostenibile e perché è importante

L'industria del fashion è responsabile di una quota tra il 4% e il 15% delle emissioni globali di CO2. Quali sono i requisiti della moda sostenibile, i motivi della sua importanza e le sue iniziative nel mondo

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Redazione

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Pubblicato: 6 Luglio 2021 17:23

Per molti decenni, da quando la sartorialità artigianale ha lasciato progressivamente il posto alle produzioni seriali, il fashion system è stato caratterizzato da una grande corsa a creare, produrre e comprare sempre di più e con maggiore frequenza. La rapida ascesa delle grandi Maison di moda negli anni Ottanta del Novecento prima, l’epoca delle supermodelle, e in seguito l’esplosione dei colossi del fast fashion, hanno creato un sistema nel quale le collezioni si susseguono rapidamente ed è necessario rinnovare continuamente il proprio guardaroba per restare aggiornati con le nuove tendenze, che diventano a loro volta obsolete nel giro di una stagione o addirittura di pochi mesi.

Questo consumismo istituzionalizzato ha portato inevitabilmente ad un abbassamento della qualità, ma non soltanto a questo. Per mantenere questi elevati ritmi produttivi sono stati impiegati milioni di persone, dislocando le produzioni nei Paesi del cosiddetto terzo mondo, senza adeguate garanzie e spesso impegnando anche manodopera minorile. Inoltre la mole di produzione destinata ad un utilizzo quasi “usa e getta” ha avuto un costo enorme in termini di inquinamento e spreco di risorse, in particolar modo lacqua.

Finalmente e con sempre maggiore frequenza, ormai da alcuni anni, si focalizza l’attenzione sul significato sociale delle proprie scelte in fatto di acquisti di abbigliamento ed accessori, nonché sul loro impatto ambientale. Eco fashion, slow fashion, conscious fashion: sono tutti modi per definire le varie sfaccettature di un grande cambiamento in atto nell’industria della moda, che coinvolge vari livelli prodottivi e, in un’inedita posizione attiva, anche i consumatori finali. Si tratta della moda sostenibile, ovvero un nuovo modo di intendere l’industria in modo etico e tendendo ad annullarne l’impatto ambientale. Le direttrici che segnano la strada di questo cambiamento epocale sono sostanzialmente due, ovvero la tutela dei lavoratori del settore e la salvaguardia dellambiente.

Perché è importante la moda sostenibile

Il settore della moda è una sorta di entità tentacolare che comprende il tessile, il manifatturiero, la pelletteria, ma anche tutta la filiera della produzione e del trasporto, fino ad arrivare al Retail, cioè ai punti vendita. Secondo recenti stime, l’industria della moda a livello globale ha un valore di 2,4 mila miliardi di dollari, impiega circa 50 milioni di persone ed è considerata da molti la seconda industria più inquinante al mondo (seconda soltanto a quella petrolifera). L’industria della moda è responsabile di una quota tra il 4% e il 15% delle emissioni globali di CO2 e consuma più del 20% dell’acqua per usi industriali, seconda solo all’agricoltura.

Sebbene le classifiche possano variare in base a un numero enorme di fattori, non può esistere davvero alcun dubbio sul fatto che l’impatto ambientale dell’industria della moda sia veramente molto alto. Ripensare il modo di intendere e di realizzare la moda, a livello globale, significa quindi apportare un’enorme, sostanziale differenza nel sistema economico e sociale che coinvolge direttamente un enorme numero di persone, e indirettamente tutti noi.

Ripensare un settore tanto vasto significa, insomma, riconvertire in senso etico e sostenibile una grossa fetta dell’economia mondiale. Inoltre, poiché siamo tutti inevitabilmente coinvolti nella questione, sia per la basilare esigenza di vestirsi sia perché, come insegna la iconica Miranda Priestly a una ancora acerba Andy Sachs nel film Il diavolo veste Prada, chiunque, anche suo malgrado, è al tempo stesso attore e vittima di questa industria, ripensare gli approcci al fashion system significa poter essere parte di un cambiamento globale semplicemente comprando una maglietta.

Questo gesto, compiuto con consapevolezza e ripetuto per milioni di volte da milioni di persone, potrebbe davvero fare una differenza concreta per la salvaguardia dell’ambiente e il benessere degli individui. Insomma, la moda non è soltanto (o non è affatto) frivolezza e apparenza, ma economia, etica e società.

Le iniziative a livello globale

Dal momento che il settore della moda è estremamente vasto e articolato, anche gli approcci alla moda sostenibile sono diversi e ricomprendono un gran numero di progetti molto differenziati tra loro ma tutti rivolti a rendere il settore più etico ed eco-compatibile. In generale si può osservare che si sono consolidati, in un ambiente trasversale che va dalle grandi aziende ai consumatori, alcuni filoni di comportamenti etici e sostenibili che seguono le due grandi direttrici del cambiamento del fashion system.

Sul versante della tutela della componente umana dell’industria della moda, insieme alla sempre crescente attenzione alle condizioni di vita dei lavoratori e alla richiesta di trasparenza in questo senso che viene rivolta alle aziende, si colloca il recupero dellartigianalità e la valorizzazione di piccoli brand o di designer indipendenti. Il fashion system è certamente cambiato da quando, in una Roma ormai mitizzata, le sorelle Fontana cucivano a mano un iconico abito da sposa per la divina Audrey Hepburn, eppure il senso ultimo della moda è ancora legato al talento di chi immagina, disegna e cuce.

Esistono piattaforma come Etsy dove designer indipendenti propongono le loro creazioni, ma anche un colosso come Asos, una diffusissima piattaforma shopping online, si è da tempo dotato di una sezione marketplace dedicata a piccoli brand indipendenti e addirittura boutique vintage. Il versante attento invece all’impatto ambientale della moda si declina invece nel riciclo, che ha la sua apoteosi proprio nella riqualificazione del vintage, così come nel recupero e riutilizzo dei materiali.

In questo senso si sta scardinando l’assioma per cui la moda fast fashion non può essere sostenibile, dal momento che proprio H&M, uno dei più grandi brand di moda low cost, ha da tempo implementato una linea di abiti “conscious” prodotti utilizzando almeno il 50% di materiali sostenibili, come il cotone biologico o poliestere riciclato. Proprio H&M, ma anche altri brand come Intimissimi, coinvolgono il consumatore in questo circolo virtuoso della moda, consentendo di portare in negozio i propri tessili usati ricevendo in cambio dei buoni da utilizzare per i futuri acquisti. Con queste modalità un abito può avere una seconda vita o sul mercato del second hand oppure riutilizzandone la materia prima.

Ovviamente le grandi Maison non restano indietro, ma sponsorizzano capsule collections con materiali riciclati e investono persino nella ricerca di nuovi materiali eco-friendly. Soltanto negli ultimi mesi, ad esempio, Balenciaga ha lanciato una shopping bag pieghevole e riutilizzabile in nylon e plastica riciclati al 100%, Louis Vuitton una linea di accessori firmata Virgil Abloh in cotone organico e lana e poliestere riciclati, e infine Hermés ha annunciato che entro la fine del 2021 metterà sul mercato, partendo da una nuova versione della classica Victoria bag, degli accessori in cuoio vegano ricavato dai funghi.

Le iniziative di moda sostenibile in Italia

Ma come e quanto è diffusa la moda sostenibile in Italia e le iniziative a essa collegate. Ovviamente, nel mondo globalizzato dal quale sembra difficile e forse anche controproducente tornare indietro, nel nostro Paese si riversano tutte le iniziative sostenibili dei grandi brand e dei colossi del fast fashion: dalle collezioni conscious alle capsule collections in materiali riciclati dei grandi marchi; dalla possibilità offerta da alcuni brand di portare i propri tessili usati in negozio all’accesso facilitato alle creazioni di stilisti indipendenti tramite le grandi piattaforme di e-commerce.

Insomma, anche da questo angolo del mondo è possibile avere accesso ed essere parte attiva di un cambiamento complessivo, informandosi e scegliendo come consumatori consapevoli nella grande offerta globale. Nella patria della sartorialità, tuttavia, è lecito aspettarsi che non ci si limiti a questo. La nuova linfa vitale portata nel settore della moda dalle istanze di etica e sostenibilità ha generato infatti un grande fermento tra designer e piccoli imprenditori, portando a una serie quasi infinita di iniziative.

Sul fronte dell’attenzione all’inquinamento e al risparmio delle risorse idriche, per esempio, la bergamasca Par.co Denim produce jeans utilizzando cotone biologico, lavaggi innovativi con riduzione del consumo di acqua e senza utilizzo di sostanze chimiche. Sul versante del riutilizzo e del riciclo, soltanto per citarne alcuni, abbiamo invece il marchio Rifò Lab, che utilizza il circuito tessile di Prato per realizzare capi in tessuti pregiati e rigenerati; Ecodream, che utilizza invece materiali di scarto recuperati sul territorio di Firenze per produrre borse e portafogli, e Regenesi, il brand di Maria Silvia Pazzi che nasce dall’idea di “trasformare i rifiuti in bellezza”.

Una realtà particolare è quella di Quid, un marchio nato a Verona che raccoglie scarti di produzioni di varie aziende italiane e li trasforma in capi nuovi attraverso il lavoro di donne con un passato di fragilità e violenze, che trovano così il loro riscatto. Sempre sul versante del riciclo, declinato in versione moda vintage, non mancano i mercatini e i piccoli negozi, ma esiste anche una catena come Humana Vintage, presente ormai in diverse città italiane, che vende capi second hand e con il ricavato sostiene progetti umanitari in Italia e nel sud del mondo. Perché un capo vintage è unico e, se gli italiani hanno la moda nel sangue, possono usarlo per creare uno stile personale, ma anche etico e sostenibile.