Cop15, a Montreal firmato storico accordo per salvare il pianeta

Durante la Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità è stato raggiunto l'accordo sul piano "30 by 30" per evitare il rischio di una sesta estinzione di massa

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Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

La Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, nota come Cop15, si è svolta a Montreal, in Canada, dal 7 al 19 dicembre 2022. Dopo due settimane di negoziati, è stato raggiunto un accordo storico denominato “Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework”. L’accordo mira a promuovere un cambiamento epocale nella protezione della biodiversità, anche se non è mancata la critica da parte di alcuni Paesi, come il Congo e l’Uganda, che hanno espresso il loro disaccordo per la mancanza di un fondo dedicato alle nazioni in via di sviluppo. La bozza del testo è stata approvata durante l’ultimo giorno della conferenza, sotto la presidenza della Cina.

Come si è conclusa la Cop15

Secondo Brian O’Donnell, direttore del gruppo di conservazione Campaign for Nature, “non c’è mai stato un obiettivo di conservazione a livello globale di questa portata“. L’obiettivo raggiunto è stato quello del cosiddetto piano “30 by 30”, ovvero l’impegno per proteggere il 30% del Pianeta, a ripristinare il 30% delle aree marine e terrestri degradate e a riconoscere i diritti dei popoli indigeni, che attualmente custodiscono l’80% della biodiversità rimasta sulla Terra, entro il 2030. Nonostante non abbia soddisfatto le aspettative di tutti i 193 Paesi partecipanti, la Cop15 è riuscita a fare la storia, secondo il Commissario europeo per l’Ambiente, Virginijus Sinkevicius.

Il problema dei finanziamenti

Durante i lavori della Cop15, i delegati di 70 Paesi africani, sudamericani e asiatici hanno abbandonato temporaneamente i lavori come segno di disaccordo su come finanziare le misure proposte per proteggere la biodiversità. Il Brasile, parlando a nome dei Paesi in via di sviluppo, ha sostenuto la necessità di istituire un nuovo meccanismo di finanziamento dedicato alla biodiversità, che preveda l’investimento di 100 miliardi di dollari all’anno da parte dei Paesi sviluppati a favore delle economie emergenti fino al 2030.

Alla fine, i Paesi partecipanti hanno concordato sull’importanza di fornire risorse finanziarie “equamente accessibili” a tutte le parti, soprattutto ai Paesi in via di sviluppo, ai Paesi meno sviluppati e ai piccoli Stati insulari in via di sviluppo, nonché ai Paesi con economie in transizione, al fine di colmare progressivamente il gap finanziario per la biodiversità pari a 700 miliardi di dollari l’anno. Secondo le stime, questa cifra rappresenta l’importo necessario per proteggere la biodiversità, un obiettivo che rispetto agli attuali 150 miliardi di dollari spesi globalmente a questo scopo appare difficile da raggiungere.

Necessari interventi immediati

Gli scienziati prevedono che la Terra stia rischiando la sesta estinzione di massa, secondo quanto affermato dall’Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) e confermato nel sesto rapporto di valutazione dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change). Nel prossimo futuro, potrebbero scomparire dalla Terra circa un milione di specie, tra piante, mammiferi come i lemuri o la tigre del Bengala, ma anche squali, salmoni e altri animali acquatici. Attualmente, solo il 17% delle terre e il 10% delle aree marine sono protette. Le azioni umane sono le principali cause di questo continuo impoverimento della biodiversità, a differenza delle estinzioni precedenti che erano dovute a fenomeni naturali.

La posizione del WWF

Il WWF non ha visto nell’esito dei negoziati la determinazione necessaria a dare una vera svolta nella crisi di natura per i prossimi sette anni, come avrebbe richiesto la drammatica situazione che la biodiversità globale sta vivendo. Secondo l’organizzazione del Panda, sono state lasciate alla discrezione dei singoli Paesi troppe azioni necessarie per rendere tale accordo trasformativo.

Ad esempio, se non verranno adottate a livello nazionale politiche per la riduzione dell’impronta ecologica di produzione e consumo – uno dei principali fattori di degrado ambientale – i target dell’accordo non saranno sufficienti a raggiungere l’obiettivo lodevole di arrestare ed invertire la perdita di biodiversità entro il 2030.

L’accordo rappresenta solo un punto di partenza

L’Accordo al momento è solamente un punto di partenza: se non ci saranno un’accelerazione nell’implementazione degli obiettivi e una seria mobilitazione delle risorse, l’Accordo resterà un guscio vuoto di promesse.

L’impegno dei Paesi è stato quello di eliminare i sussidi dannosi per la natura – obiettivo che avrebbe già dovuto essere stato raggiunto nel 2020 – e di aumentare il livello delle risorse finanziare, mobilitando almeno 200 miliardi di dollari all’anno, provenienti da diverse fonti. Questo impegno deve essere assolutamente mantenuto e finalmente tradotto in azioni concrete, se vogliamo dare una chance alla natura.

Sarà ora fondamentale che, a livello nazionale, gli obiettivi globali si traducano nelle singole Strategie Nazionali per la Biodiversità, in modo da allineare tutti i piani affinché si raggiungano nei prossimi otto anni gli obiettivi prefissati dall’Accordo. I singoli Stati ora possono essere veramente protagonisti del cambiamento necessario e possono pianificare ed attuare anche più di quanto deciso.

Le richieste del WWF all’Italia

All’Italia, che vanta un patrimonio di biodiversità tra i più ricchi del continente europeo, il WWF chiede un impegno concreto in questa direzione. Non è più tempo di promesse, ma di fatti. Non è più tempo di “mezze misure”, ma di scelte decise e convinte.