Occhio ai nuovi accertamenti del Fisco sui redditi esteri

Quando e come vengono accertati i redditi esteri da parte dell'Agenzia delle Entrate. Ecco a cosa stare attenti

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Entro quando devono essere accertati i redditi esteri? Come devono essere gestiti dai contribuenti, per non incorrere in problemi con l’Agenzia delle Entrate? Gli uffici preposti hanno tempo entro il 31 dicembre del quinto anno successivo rispetto a quello della presentazione della dichiarazione dei redditi per accertare i redditi di fonte estera: a prevederlo è l’articolo 43 del DPR n. 600/73. I tempi si allungano in caso di dichiarazione omessa, perché i controlli devono essere effettuati entro l’ottavo anno.

Nel momento in cui si procede a dichiarare i redditi esteri è sempre importante comprendere quali siano i termini di corretto accertamento. Stiamo parlando, in altre parole, delle tempistiche che l’amministrazione finanziaria ha a disposizione per verificare la dichiarazione dei redditi del contribuente e accertare che tutto sia corretto.

Ma cerchiamo di capire ed analizzare come debbano essere gestiti questi redditi e come debbano comportarsi i contribuenti per essere perfettamente in regola.

I termini di accertamento

A definire e a delimitare quali sono i termini ordinari degli accertamenti fiscali sono l’articolo 43 del DPR n. 600/73 e l’articolo n. 57 del DPR n. 633/72. Queste due differenti disposizioni prevedono che l’amministrazione tributaria abbia la possibilità di esercitare i propri poteri di accertamento entro il quinto anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione dei redditi, nel caso in cui questa sia stata presentata da parte del contribuente. Nel caso di omessa dichiarazione, il termine di prescrizione scatta al 31 dicembre del settimo anno successivo rispetto a quello in cui il contribuente avrebbe dovuto presentarla.

Questo significa, in estrema sintesi, che l’avviso di accertamento, perché risulti valido a tutti gli effetti, deve essere presentato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo rispetto a quello in cui deve essere presentata la dichiarazione dei redditi. Volendo fare un esempio pratico, entro il 31 dicembre 2023, l’amministrazione tributaria deve provvedere a notificare – a pena decadenza – gli avvisi di accertamento in tema di imposte sui redditi, Iva, Irap relativi all’annualità 2017.

Quando, invece, si prefigura il caso di omessa dichiarazione, il termine dei controlli è pari ad otto anni: questo significa che l’annualità 2017 può essere accertata fino al 31 dicembre 2025.

Redditi esteri: i termini di accertamento

Le scadenze ed i termini di accertamento, che abbiamo visto fino a questo momento, valgono anche nel caso in cui il contribuente abbia percepito dei redditi esteri. Anche in questo caso si possono venire a prefigurare due diverse situazioni:

  • la dichiarazione infedele, nel caso in cui i redditi siano stati dichiarati in modo parziale o non corretto;
  • l’omessa dichiarazione, quando la stessa non è stata presentata dal contribuente.

In alcuni casi, i contribuenti possono beneficiare di una vera e propria riduzione dei termini di accertamento. Questo avviene quando gli stessi dovessero risultare essere congrui con gli Isa, ossia agli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA). Nel caso in cui sia stato ottenuto un livello di affidabilità pari ad 8 per il periodo d’imposta, il contribuente accede alla riduzione di un anno dei termini di accertamento per gli eventuali redditi d’impresa e di lavoro autonomo, sempre che siano state commesse delle violazioni penali tributarie.

Casi particolari: gli investimenti esteri

Sotto il profilo amministrativo e contabile risultano essere di particolare interesse gli investimenti, che i contribuenti detengono nei paesi contenuti in qualche black list. Su questo punto è intervenuto direttamente l’articolo 12 del Decreto Legge n. 78/2009, il quale prevede l’applicazione di una presunzione legale relativa per eventuali investimenti esteri detenuti nei paradisi fiscali e non dichiarati dal contribuente.

Il diretto interessato, infatti, che sia in possesso di questi investimenti, ma non li ha indicati all’interno del quadro RW della dichiarazione dei redditi, si vede applicare la presunzione legale relativa, che presuppone che questi investimenti si siano generati a seguito di un’evasione fiscale. In altre parole stiamo parlando di somme non dichiarate.

Quella che abbiamo davanti è una presunzione legale di non poco conto: si pensi ad esempio ad un contribuente che abbia un conto corrente negli Emirati Arabi. L’importo, che è contenuto all’interno di questo rapporto bancario, viene di fatto ritenuto un reddito frutto di evasione fiscale.

La prima conseguenza, legata al detenere investimenti esteri non dichiarati in paesi non collaborativi, comporta il raddoppio dei termini di accertamento. Questo comporta che l’Agenzia delle Entrate avrà tempo fino al 31 dicembre del decimo anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione infedele per la rettifica degli dei redditi. In caso di omessa presentazione, invece, l’AdE avrà tempo fino al quattordicesimo anno.

L’inversione dell’onere della prova

Uno degli altri effetti della presunzione legale – che deriva dal detenere degli investimenti nei paesi non collaborativi – è determinare l’inversione dell’onere della prova. Generalmente è l’amministrazione finanziaria a dover fondare il proprio accertamento su delle prove gravi e precise, ma soprattutto concordanti. Quando, invece, c’è l’inversione della prova, spetta al contribuente dimostrare la propria innocenza. All’Agenzia delle Entrate sarà sufficiente far scattare un controllo nei confronti del contribuente: spetterà a lui dar prova e smontare la presunzione legale.

Nel caso in cui si abbia intenzione di effettuare degli investimenti finanziari in un paese inserito in blacklist – e che quindi non risulti essere collaborativo – è necessario prestare la massima attenzione. Nel caso in cui il contribuente non fosse in grado di smontare la presunzione legale sarà tenuto a pagare delle sanzioni e degli interessi, perché l’Agenzia delle Entrate parte dal presupposto che l’investimento è stato prodotto con dei redditi non dichiarati. Le sanzioni riguardano anche il monitoraggio fiscale e l’Ivafe.

Redditi esteri, termine di notifica degli accertamenti

Nel momento in cui si parla di redditi esteri è necessario tenere in considerazione anche un altro termine: quello entro il quale devono essere notificati gli avvisi di recupero dei crediti d’imposta inesistenti. Quello a cui ci stiamo riferendo in questa sede sono i crediti che il contribuente ha indebitamente compensato e che, almeno in linea teorica, potrebbero derivare anche da dei redditi esteri.

In questo caso, il termine di notifica è il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui è avvenuta la compensazione. Tramite un’interpretazione sistematica, dunque, è possibile sostenere che il termine sia del 31 dicembre del quarto (o quinto) anno successivo a quello di utilizzo del credito, se l’indebita compensazione concerne crediti esistenti ma non spettanti.