Se il governo, all’atto della presentazione del Def, ha sottolineato le misure di intervento sul cuneo fiscale con conseguente diminuzione delle tasse, le imprese la vedono in un altro modo. Perché la pressione fiscale reale, quella che tiene conto anche del Pil, è in realtà in salita, cosicché le famiglie e le imprese italiane pagheranno più tasse e contributi del previsto nel prossimo biennio e nel 2024 il gettito sfonderà per la prima volta il muro dei 1.000 miliardi di euro. Mentre il capitolo riforma pensioni e riforma dell’Irpef resta senza coperture finanziarie ed è rimandato a data da destinarsi.
La pressione fiscale reale
E’ quanto emerge da un’operazione Fact Checking sul DEF realizzata dal Centro studi di Unimpresa, secondo cui la pressione fiscale “vera”, misurata come rapporto tra il totale delle entrate nelle casse dello Stato e il prodotto interno lordo, sfiorerà il 49% nel 2023 e si avvicinerà al 48% nel 2024.
Si tratta di livelli superiori rispetto a quanto inserito nell’ultimo Documento di economia e finanza, dove si indicano percentuali rispettivamente 43,3% e 43%.
Il calcolo
La forbice – spiega Unimpresa – nasce nella differente modalità di calcolo: il Def esclude dal conteggio una parte delle entrate catalogate alla voce “altre entrate correnti” (per 88,1 miliardi), considerando un ammontare ridotto del gettito tributario rispetto a quello reale – 986,1 miliardi nel 2023 e 1.002,8 miliardi nel 2024 – ed ottenendo così un risultato finale in termini percentuali meno “doloroso” per i contribuenti.
“Di là dalle percentuali, che in qualche modo non sorprendono i piccoli imprenditori italiani che periodicamente versano denaro all’amministrazione finanziaria e dunque conoscono i numeri reali, è necessario che il governo, anche andando oltre quanto appena annunciato, avvii seriamente un percorso volto alla riduzione del carico fiscale”, afferma la presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
Gli anni successivi al 2023
Analogo discorso vale per gli anni successivi, con una pressione fiscale “vera” sempre più alta dei dati ufficiali: 47,6% nel 2025 (42,9% nel Def) e 47,1% nel 2026 contro il 42,7% “dichiarato” dal governo. Nel 2025 e nel 2024 il gettito totale si attesterà a 1.035,3 miliardi e 1.055,1 miliardi restando, quindi, stabilmente oltre la soglia dei mille miliardi.
Complessivamente, tra il 2023 e il 2026 si registrerà un aumento del gettito di 123,6 miliardi rispetto al 2022 (+13,3%). Anche la spesa dello Stato è destinata a salire nei prossimi tre anni, quando dalle casse dello Stato usciranno 1.076,8 miliardi, 1.101,4 miliardi e 1.111,9 miliardi. In totale, tra il 2023 e il 2026, rispetto al 2022, ci saranno uscite aggiuntive per 28,5 miliardi (+2,6%). A pesare sulla crescita sarà la spesa corrente, per quale non è mai stato fatto abbastanza in termini di “sforbiciate””, destinata a crescere di 76,2 miliardi (+8,1%), mentre gli investimenti pubblici si assottiglieranno di 47,6 miliardi (-32,9%).
Dentro i numeri del Def
Quanto agli altri “numeri chiave” del Documento di economia e finanza, si osserva un aumento della spesa per le pensioni in percentuale del pil e anche in termini assoluti: dal 15,6% del 2022 (296,9 miliardi), si passa al 15,8% quest’anno (317,9 miliardi), al 16,2% nel 2024 (340,7 miliardi) e al 16,1% sia nel 2025 (350,9 miliardi) sia nel 2026 (361,8 miliardi). Si spenderà meno, invece, per la sanità: dal 6,9% del 2022 (131,1 miliardi) si passa al 6,7% quest’anno (136,1 miliardi), al 6,3% nel 2024 (132,7 miliardi) e al 6,2% sia nel 2025 (135,1 miliardi) sia nel 2026 (138,3 miliardi). In discesa anche, la spesa per gli stipendi dei dipendenti pubblici che nel 2022, con 186,9 miliardi, “valevano” il 9,8% del pil, percentuale che quest’anno scenderà al 9,4% (189,2 miliardi), nel 2024 all’8,9% (186,2 miliardi), nel 2025 all’8,6% (197,3 miliardi) e nel 2026 all’8,4% (187,7 miliardi).