Figli sui social, perché pubblicare foto può essere illegale

Dalle celebrità come i Ferragnez al profilo della vicina di casa, condividere foto dei figli sui social è un gesto quasi irrinunciabile. Ma pochi sanno che dietro questa abitudine si celano rischi legali concreti, spesso ignorati.

Foto di Giorgia Dumitrascu

Giorgia Dumitrascu

Avvocato civilista

Avvocato civilista con passione per la scrittura, rende il diritto accessibile attraverso pubblicazioni mirate e consulenze chiare e personalizzate.

Pubblicato: 4 Giugno 2025 13:20

Il termine sharenting nasce dalla fusione di “sharing” (condivisione) e “parenting” (genitorialità), e si riferisce all’uso di pubblicare sui social immagini, video o altre informazioni personali che riguardano i propri figli minorenni. Una prassi all’apparenza innocua, spesso motivata dal desiderio di condividere momenti felici di vita familiare, ma che può celare rischi giuridici e sociali.

Le leggi italiane ed europee, considerano i dati personali del minore – immagine inclusa – come meritevoli di una tutela rafforzata e la condivisione di fotografie online rientra a pieno titolo nell’ambito della normativa privacy.

I rischi connessi allo sharenting non si esauriscono in una generica lesione del diritto alla privacy. Pubblicare contenuti digitali riferiti a minori può esporre il bambino a rischi gravi come il furto d’identità, la raccolta non autorizzata di dati biometrici e persino l’uso di immagini a scopo pedopornografico. Basti pensare che, secondo l’Interpol, una parte consistente delle immagini ritrovate su piattaforme del dark web proviene da fonti pubbliche inconsapevoli, come i profili social dei genitori.

In altri casi, il danno, può anche essere più latente ma non meno insidioso. Il minore, crescendo, può sviluppare disagio psicologico e relazionale nel vedere la propria infanzia esposta in pubblico. In tal senso, la Cassazione ha riconosciuto che il diritto all’identità personale comprende anche la proiezione dell’immagine pubblica e digitale dell’individuo, anche quando si tratti di un minore (Cass. Civ. ord. n. 15024 del 2020).

È legale pubblicare le foto dei figli sui social?

L’art. 8 del Reg. UE 2016/679 (GDPR), recepito con il D.lgs. n. 101/2018, stabilisce che:

Il consenso al trattamento dei dati personali dei minori di 14 anni deve essere fornito da chi esercita la responsabilità genitoriale.”

Il dato personale, in tal caso, è l’immagine del minore, che una volta pubblicata online diviene accessibile a una platea illimitata di soggetti. Non è rilevante che la foto venga condivisa con finalità affettive o familiari: ciò che conta è l’effetto giuridico della diffusione.

Molti genitori ignorano che anche una semplice “storia” su Instagram o un post su Facebook, se contenente l’immagine di un figlio minore, senza il consenso dell’altro genitore, può costituire una violazione del diritto all’immagine (art. 10 c.c.; art. 96 della legge sul diritto d’autore – l. n. 633/1941).

Un altro aspetto riguarda la responsabilità indiretta dei genitori rispetto all’eventuale uso improprio delle immagini da parte di terzi. Se un genitore pubblica contenuti riconducibili a minori e questi vengono riutilizzati per fini illeciti, la condotta iniziale può essere valutata come colposa sotto il profilo civilistico, con obbligo di risarcimento per aver omesso la necessaria diligenza nella tutela del figlio.

Cosa fare se l’altro genitore pubblica foto del figlio senza consenso

Se un genitore pubblica online, la foto del proprio figlio minorenne senza aver ottenuto il consenso dell’altro genitore, si configura una violazione. La legge riconosce al genitore dissenziente degli strumenti di tutela, fondati sul principio che la gestione dell’immagine del minore rientra tra gli atti di straordinaria amministrazione, per i quali occorre l’accordo di ambedue i genitori, anche in regime di affidamento condiviso.

Se l’accordo è assente, si può procedere con una formale diffida redatta da un avvocato e notificata all’altro genitore con l’esplicita richiesta di rimozione immediata delle immagini già pubblicate, e con l’invito a cessare qualsiasi ulteriore diffusione non concordata. Una diffida ben formulata, che richiami puntualmente i riferimenti normativi e le eventuali sentenze di merito, ha spesso un effetto dissuasivo ed evita il ricorso al giudice.

Tuttavia, se la condotta prosegue, il genitore dissenziente può adire il Tribunale mediante ricorso ex art. 709 ter c.p.c. ,che è lo strumento processuale previsto per le controversie tra genitori sull’esercizio della responsabilità genitoriale. Il giudice, accertata la violazione, può ordinare la rimozione dei contenuti già pubblicati, vietarne la futura diffusione e imporre sanzioni pecuniarie.

In parallelo – o in alternativa – può essere presentato un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali. Il Garante Privacy ha il potere di disporre la rimozione dei contenuti e di irrogare sanzioni amministrative.

Infine, in presenza di una reiterazione della condotta o di un comportamento lesivo della stabilità emotiva del minore, è possibile attivare anche il procedimento ex art. 333 c.c., per valutare se vi siano i presupposti per una limitazione della responsabilità genitoriale o per la modifica delle condizioni di affidamento.

Mio figlio può opporsi alla pubblicazione delle sue foto?

Sì, i figli possono opporsi alla pubblicazione delle loro foto sui social. La questione ruota attorno a due elementi: da un lato, l’età del minore e la sua capacità di discernimento; dall’altro, la centralità della sua persona come titolare di diritti inviolabili, a prescindere dalla minore età.

L’età del consenso digitale è fissata a 14 anni (art. 8 GDPR). Ciò significa che, al compimento del 14° anno di età, il minore è legittimato a decidere se autorizzare o meno il trattamento dei propri dati personali, incluse le immagini. Prima di tale soglia, il consenso deve essere fornito da chi esercita la responsabilità genitoriale, ma ciò non significa che il minore non abbia voce in capitolo.

La legge riconosce il diritto del minore a esprimere la propria opinione ogniqualvolta si tratti di decisioni che lo riguardano. (art. 12 Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia – ratificata con l. n. 176 del 1991)”

Quindi, anche un bambino di 10 o 12 anni, se dotato di adeguata capacità di discernimento, può manifestare la propria opposizione alla pubblicazione delle sue immagini, e tale volontà deve essere ascoltata e rispettata.

Ad esempio una madre pubblica con regolarità foto in cui appare il figlio di 11 anni nella sua quotidianità. Il minore, sentendosi a disagio e preso in giro dai compagni, esprime più volte la volontà di non essere più filmato né mostrato pubblicamente. Se la madre insiste, ignorando questo rifiuto, il figlio – assistito dall’altro genitore o da un curatore speciale – può rivolgersi al Tribunale per i Minorenni, chiedendo un provvedimento di inibizione alla pubblicazione.

Peraltro, il diritto all’immagine, peraltro, non è solo un diritto alla tutela da ingerenze esterne, ma è anche un diritto all’autodeterminazione. Quando parliamo di identità digitale, non ci riferiamo solo a un profilo Instagram, ma a tutto ciò che resterà online – e quindi accessibile – potenzialmente per sempre. Il minore ha il diritto di crescere senza creare un “archivio digitale”, che potrebbe condizionare la sua vita futura e persino la sua reputazione professionale.

Un minore non è proprietà dei genitori, è una persona con una propria dignità giuridica. E quando dice “non voglio che quella foto sia online”, non sta facendo un capriccio: sta esercitando un diritto.