La guerra commerciale è l’unica tattica che Donald Trump può condurre a spada tratta senza timore che i suoi elettori la vedano di cattivo occhio. O almeno questo è ciò che crede il presidente americano. Durante tutta la campagna elettorale, la promessa di far ripartire l’industria nazionale è andata di pari passo con gli annunci roboanti di super dazi su materie prime come acciaio e alluminio.
L’aumento delle tariffe doganali al 25% a danno di Messico e Canada entrerà in vigore dal 12 marzo, lasciando calcolato spazio a ripensamenti o ad accordi con i Paesi. Ma l’ondata di dazi minaccia di colpire anche l’Unione europea e, dunque, la nostra Italia.
Quali Paesi sono colpiti dai dazi su acciaio e alluminio
I dazi trumpiani su acciaio e derivati importati negli Usa riguardano:
- Argentina;
- Australia;
- Brasile;
- Canada;
- Corea del Sud;
- Giappone;
- Messico;
- Regno Unito;
- Paesi membri dell’Unione europea.
Le tariffe che riguardano alluminio e derivati si applicano invece a:
- Argentina;
- Australia;
- Canada;
- Messico;
- Regno Unito;
- Paesi membri dell’Unione Europea.
Perché Trump ce l’ha con acciaio e alluminio esteri
Iniziamo col ribadire che Donald Trump impone dazi per ridurre il deficit commerciale statunitense, esercitare pressione sui partner economici e migliorare il benessere interno di un’America stanca di sacrificarsi per mantenere l’egemonia globale. Sebbene un impero debba importare massicciamente per conservare il controllo sulle proprie province, il presidente americano ripropone una ricetta opposta: produrre ed esportare. Come per il suo primo mandato, molto probabilmente non ci riuscirà. Già durante la sua prima esperienza alla Casa Bianca, il tycoon aveva imposto dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio, vedendosi poi costretto a revocarli o a vederli revocati dalla successiva amministrazione Biden.
Acciaio e alluminio sono materiali indispensabili per le industrie statunitensi in settori che vanno dall’edilizia alle automobili, dagli imballaggi alle armi, dalle tubature agli elettrodomestici. Circa un quarto dell’acciaio e quasi metà dell’alluminio utilizzati negli Usa vengono importati dall’estero. In tutto gli Stati Uniti importano più di due milioni di tonnellate di prodotti siderurgici al mese. Secondo l’American Iron and Steel Institute, nel 2024 il maggiore fornitore di acciaio degli Stati Uniti è stato il Canada, seguito da Brasile, Messico, Corea del Sud e Vietnam. Il Canada è anche di gran lunga il primo fornitore di alluminio per Washington (79% fino a novembre 2024), seguito da Emirati Arabi Uniti, Russia e Cina. Il che spiega bene la mossa di Trump: divincolarsi da questa “dipendenza” nei confronti di uno Stato confinante, mal considerato dall’America profonda. Per non parlare del Messico, osservato speciale anche per la questione immigrazione.
I dazi rischiano di avere l’effetto contrario
Nei piani di Trump, i dazi più alti dovrebbero spingere le aziende estere ad aprire nuovi stabilimenti negli Stati Uniti per evitare le tariffe, mentre i consumatori potranno acquistare prodotti Made in Usa a prezzo inferiore. La realtà, anche quella prevista, è un po’ diversa. Andiamo per gradi, spiegando in concreto come funziona una tariffa doganale negli Usa: parliamo di tasse applicate alle merci introdotte nel Paese che gli importatori devono pagare alla Us Customs and Border Protection. Il risultato più prevedibile e paventato dagli esperti è che tutto questo potrebbe indurre le aziende ad aumentare i prezzi al consumo, ricadendo sulle tasche dei consumatori. Auto ed elettrodomestici costeranno di più, in parole povere.
Gli Stati Uniti sono attualmente il più grande importatore di beni del mondo: nel 2022, il valore dei beni importati negli Stati Uniti ammontava a 3,2 trilioni di dollari. Una macchina gigantesca e delicata, che si potrebbe inceppare in molti suoi ingranaggi e che, per giunta, potrebbe convincere diversi Paesi a guardare con favore a una partnership economica più stretta coi rivali Cina e Russia. Secondo gli analisti di Wall Street, inoltre, se i nuovi dazi verranno confermati potrebbero causare anche un’impennata dell’inflazione addirittura del 3,5%.
Durante la prima presidenza Trump, i produttori di acciaio hanno aumentato la loro produzione dopo l’aumento dei dazi, mentre la domanda interna è diminuita. Nel giro di 12 mesi, questi fattori hanno contribuito a far scendere i prezzi dell’acciaio al livello precedente all’imposizione delle tariffe. Un terreno sul quale Trump si sta giocando molto. Mentre ha infatti registrato indici di gradimento positivi per le prime tre settimane alla Casa Bianca, due terzi degli elettori affermano di non credere che il tycoon stia facendo abbastanza per abbassare il prezzo di beni e servizi, secondo un recente sondaggio di Cbs News.
Ci sono rischi per Ue e Italia?
Anche l’Ue si prepara alla guerra dei dazi. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha tuonato che Bruxelles reagirà agli atti ostili del presidente americano. Parole semivuote dal punto di vista geoeconomico, visto che (come in passato) le tariffe statunitensi su acciaio e alluminio non colpiranno le industrie europee quanto piuttosto la contesa sui prodotti elettronici, con l’Ue che continuerà a cercare di far pagare più imposte alle Big Tech dislocate nel Vecchio Continente.
I timori maggiori sono a carico di grandi esportatori come Brasile, Messico e Corea del Sud. L’Italia del settore siderurgico ha invece ambizioni molto più modeste, per usare un eufemismo. La produzione è perlopiù orientata al mercato interno europeo, soprattutto nella catena industriale tedesca. Ciononostante, le mosse di Trump potrebbero ostacolare un pezzetto della crescita italiana. Nel 2023 il nostro Paese ha esportato negli Usa prodotti metallurgici per complessivi 3,9 miliardi di euro. L’export di acciaio e prodotti in ferro e acciaio è valso 2,1 miliardi. Il comparto italiano dell’acciaio ha accusato alcune battute d’arresto negli ultimi anni, ma rappresenta comunque quasi il 4% della manifattura nazionale con effetti primari sul 40% dei settori che l’acciaio lo utilizzano.
Il discorso sull’alluminio è più complesso. Nel 2021 l’Italia è diventata il primo produttore europeo di alluminio riciclato e i volumi di export verso gli Usa hanno superato 1,8 miliardi di euro tra novembre 2023 e ottobre 2024. Secondo le stime del Financial Times, l’Italia è il decimo maggiore fornitore di acciaio, alluminio e ferro degli Stati Uniti. Per Matteo Villa, direttore del DataLab dell’Ispi, i nuovi dazi trumpiani sui metalli costeranno al nostro Paese tra 1,5 e 2 miliardi di euro. Secondo Svimez, invece, nel caso i dazi trumpiani viaggino al ritmo previsto, il peso sul Pil italiano sarebbe di 3,8 miliardi di euro e di 5,8 miliardi di euro per quanto riguarda le esportazioni totali. La ricaduta in termini di posti di lavoro andrebbe oltre le 53mila Ula (Unità lavorative per anno).