Lula eletto presidente: i guadagni record e cosa cambia per il Brasile

Il leader della sinistra batte l'uscente Bolsonaro per un pugno di voti: 50,9% contro 49,1%. Ora dovrà affrontare le sfide sociali ed economiche di un Paese spaccato. E intanto diventa il Capo di Stato più pagato

Foto di Maurizio Perriello

Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Era dato per favorito alla vigilia, ma la sua vittoria si è dimostrata tutt’altro che scontata. Alla fine però Luiz Inacio Lula da Silva, noto in tutto il mondo semplicemente come “Lula”, è stato eletto presidente del Brasile per la terza volta. La sfida al ballottaggio con l’avversario ideologico e Capo di Stato uscente, Jair Bolsonaro, è stato un duello all’ultimo voto, risoltosi al fotofinish con il 50,9% delle preferenze (59.596.247 voti) per il leader del Partito dei Lavoratori (il PT, Partido dos Trabalhadores).

La parabola di Lula, che torna alla guida del Paese sudamericano a 77 anni suonati, è da film epico: l’esperienza da operaio metallurgico, l’impegno sindacalista, gli scioperi sotto la dittatura militare, l’inchiesta Lava Jato per corruzione e riciclaggio, il carcere, il ritorno in politica, il potere. E i guadagni record, che l’hanno portato a diventare (sulla carta) il Capo di Stato più pagato al mondo. Ancora di più di Rishi Sunak, il nuovo premier inglese già diventato il più ricco di sempre.

La vittoria di Lula: cosa cambia per il Brasile

Lula ha vinto, ma non ha trionfato. Il suo risicato vantaggio sul leader della destra e del Partito Liberale rivela la forte presa delle correnti populiste su gran parte dei brasiliani. Il neo presidente ha sconfitto Bolsonaro, ma non il bolsonarismo secondo alcuni analisti. E questo nonostante quello appena concluso sia stata, a parere quasi unanime in patria, un mandato disastroso: Bolsonaro ha negato la pandemia Covid, ha consentito la deforestazione dell’Amazzonia e ha incentivato le disuguaglianze sociali e il conseguente aumento della povertà. Eppure quasi metà dei cittadini l’ha preferito ancora una volta, complici la propaganda di stampo religioso e il forte ascendente da parte di evangelici ed estremisti. Senza contare che l’opposizione in sede al Congresso sarà forte e potente.

Con Lula si attende quel deciso cambio di passo che la maggioranza del Brasile attende da tempo, e che il Capo di Stato ha promesso. “Oggi ha vinto il popolo brasiliano. Monitoreremo e sorveglieremo l’Amazzonia, dove combatteremo ogni attività illegale. Allo stesso tempo promuoveremo lo sviluppo sostenibile delle comunità dell’Amazzonia”. Lula dovrà però fare i conti anche con un Paese spaccato politicamente (e ideologicamente) in due e con una situazione economica resa ancora più precaria dalla cattiva gestione della pandemia, che è costata la vita a oltre 700mila brasiliani e ha determinato la chiusura di un grandissimo numero di attività.

L’impresa di condurre il Brasile fuori dalla selva per i prossimi quattro anni è insomma ardua. Si dovranno ricomporre le fratture sociali, in un Paese in cui almeno 30 milioni di persone soffrono la fame e un terzo dei posti di lavoro sono precari e sottopagati. Il Brasile non è lo stesso di 20 anni fa, figuriamoci rispetto a 100. Il boom delle materie prime di inizio secolo aveva fatto del Brasile il modello delle nazioni emergenti, la “B” dei Brics, proiettandolo tra le potenze globali. Il 2014 ha poi inaugurato un tracollo dal quale il Paese non si è ancora ripreso: dal 2011 al 2021 il PIL è cresciuto in media solo dello 0,15% all’anno. Il Fondo monetario internazionale stima che il Prodotto Interno Lordo dopo gli incrementi del 4,2% e del 2,8% registrati in questi ultimi due anni, “farà fatica a raggiungere un aumento dell’1% nel 2023”.

La storia di Lula

Al di là delle sfide che ancora l’attendono, la vita di Lula sembra proprio la sceneggiatura di un film. Figlio di madre contadina semi-analfabeta e dell’entroterra poverissimo del sertão, il piccolo Luiz Inacio deve compiere un viaggio lungo e pericoloso già all’età di 7 anni. Con la mamma Dona Lindù e i suoi sette fratelli parte da Garanhuns diretto a Santos, a 2.500 chilometri di distanza, per raggiungere il padre, che si era fatto un’altra famiglia. Lì, nella regione più ricca dello Stato, il futuro presidente comincia a lavorare in una fabbrica metallurgica. L’impegno politico bussa presto alla sua porta e lo porta a una scelta che gli cambierà la vita: Lula entra nel sindacato in un Brasile sotto dittatura militare. Lula è uno dei promotori dei grandi scioperi di lavoratori nel Sud-est negli Anni Settanta e la sua militanza gli costa la libertà per la prima volta: finisce in carcere 31 giorni. Ma, come i grandi leader politici del Novecento, in cella inizia a costruire il futuro del Partito dei Lavoratori.

Arriva poi la discesa in campo vera e propria. Si candida tre volte alle presidenziali prima di ottenere il suo primo mandato nel 2002. Prima di lasciare lo scettro del Paese nelle mani di Dilma Rousseff, diventa ufficialmente il presidente con il più alto indice di gradimento della storia in Brasile: oltre l’80%, complice soprattutto il benessere legato a un export da record delle risorse primarie. Lula piace (quasi) a tutti, da Hugo Chavez a Silvio Berlusconi. Piace ai grandi leader della sinistra mondiale per la sua lotta a disuguaglianze e povertà, compresi Bertinotti e D’Alema. Piace agli uomini d’affari, che sotto il suo governo prosperano. Piace alla Chiesa, che gli perdona il “cattolicesimo alla sua maniera”. Piace a retori e media per la sua capacità di catturare l’audience, da buon vecchio arringatore di operai.

Il periodo d’oro finisce però presto. Il Brasile sprofonda nella recessione e scoppia lo scandalo Lava Jato. Lula è indagato e condannato per i reati di corruzione passiva e riciclaggio e decide di non nascondersi. Il 7 aprile 2018 rifiuta di chiedere asilo politico presso un’ambasciata straniera e si consegna alla polizia federale. Resta in carcere per 580 giorni. Nel marzo 2021 arriva la “fine dell’incubo”, perché il Tribunale supremo federale annulla le condanne e tutti i reati di cui era accusato finiscono in prescrizione. Lula prepara il grande ritorno e riconquista gli elettori grazie alle sue capacità di “camaleonte politico”, in grado di adattare la sua linea integrandola con formazioni e coalizioni anche molto diverse tra loro.

“Il Capo di Stato più pagato al mondo”

Il successo di Lula è misurabile anche col vile denaro, se vogliamo. Secondo la rivista People With Money, il neo presidente brasiliano ha conquistato il primo posto fra i 10 capi di Stato più pagati, con un patrimonio netto stimato in 275 milioni di dollari. Tra ottobre 2021 e ottobre 2022 Lula ha registrato guadagni record per complessivi 96 milioni dollari, con quasi 60 milioni di vantaggio sul secondo. Nello stilare la classifica, la rivista anglosassone prende in considerazione fattori come la retribuzioni anticipate, la partecipazione agli utili, i residui, il supporto e il lavoro pubblicitario.

Lula deve la sua fortuna a una serie di oculati investimenti azionari, oltre che a proprietà e ad accordi di collaborazione, come con l’azienda di cosmetici CoverGirl. Il leader di sinistra possiede anche diversi ristoranti (la catena “Le pizze di Papà Lula”) a Brasilia e una squadra di calcio, ha lanciato un marchio di vodka e investito nella moda.