La Russia prosegue la guerra energetica contro i Paesi europei, “rei” secondo Mosca di sostenere la resistenza ucraina. Una guerra fatta di ritorsioni e “ricatti”, l’ultimo dei quali è arrivato in forma di un taglio considerevole delle forniture di gas attraverso il Nord Stream.
La situazione per l’Italia appare particolarmente complicata: dalla prossima settimana il Ministero della Transizione ecologica potrebbe anche alzare il livello di crisi del sistema gasiero nazionale, da preallarme ad allarme.
Forniture di gas, quanto vale il taglio deciso dalla Russia
La Russia taglia le forniture di gas all’Italia, Gazprom ha infatti comunicato che fornirà solo il 50% della quota giornaliera di gas chiesta da Eni, pari a circa 63 milioni di metri cubi. Una quantità tutt’altro che trascurabile, ma che non dovrebbe mettere in seria difficoltà il sistema. Al momento, infatti, la richiesta giornaliera di gas è calcolata in 155 milioni di metri cubi a fronte di 195 milioni di metri cubi disponibili.
I tagli alle forniture di gas all’Europa da parte della Russia hanno però provocato aumenti del 43% in una settimana. I prezzi sono passati da 82,5 a 117,74 euro. “Gli stoccaggi si stavano riempiendo con un buon ritmo (erano arrivati al 52%), ma c’è stato un cambiamento improvviso”, ha osservato Warren Patterson di Ing, definendo “significativo” il taglio del 60% ai flussi dal gasdotto Nord Stream.
La strategia russa
La mossa russa può insomma mettere in difficoltà l’intera Europa, ostacolando l’accantonamento delle riserve e facendo lievitare i prezzi. E difatti a frenare gli stoccaggi, più che le quantità importate, sono proprio i costi dell’energia.
In questo senso la strategia del Cremlino è chiara: intrappolare il Vecchio Continente in una spirale fatta di prezzi alle stelle e approvvigionamenti sempre più a singhiozzo.
Cosa succederebbe con il taglio totale del gas russo?
Il timore più grande dei Paesi Ue che dipendono energeticamente dalla Russia è l’interruzione totale delle forniture di gas. L’impatto per l’Italia sarebbe particolarmente forte, come emerge da uno studio condotto dalla Banca d’Italia. In caso di stop definitivo ai flussi di gas russo, che costituisce il 40% dell’import complessivo del nostro Paese (pari a 29 miliardi metri cubi), porterebbe a una riduzione dello 0,3% del Pil di nel 2022 e dello 0,5% nel 2023.
L’effetto sarebbe dunque quello di prolungare una recessione che già adesso sta mettendo in ginocchio imprese e famiglie. Senza contare le inevitabili ripercussioni anche sulla curva dell’inflazione, che potrebbe arrivare al 7,8%. Secondo una stima del Centro Studi Confindustria, l’impatto dello stop totale di gas russo causerebbe un calo del Pil italiano del 2% all’anno nell’orizzonte 2022-2023.
Cosa può fare l’Italia per evitare il peggio?
Il Ministero Transizione ecologica ha annunciato una valutazione della situazione per la prossima settimana. Se scattasse il livello d’allarme, il dicastero potrebbe chiedere a Snam, il principale trasportatore di metano d’Italia, di chiedere a sua volta alle industrie di ridurre i consumi come previsto dai contratti di fornitura. Intanto, per decisione di Mario Draghi arriva la Golar Tundra. Il governo, infatti, ha affidato alla Snam il compito di acquisire la prima delle due navi rigassificatrici, consentendo così all’Italia di utilizzare gas naturale liquefatto come alternativa alle importazioni di metano dalla Russia.
Se le forniture russe dovessero scendere ulteriormente, allora il Governo potrebbe anche decidere di dichiarare lo stato di allerta la prossima settimana. Il protocollo prevede tre livelli di gravità: uno stato di pre-allerta, già imposto a fine febbraio dopo l’invasione russa dell’Ucraina, uno di allerta e uno finale di emergenza. Lo stadio mediano comporterebbe una serie di misure volte a ridurre il consumo di gas, tra cui:
- il razionamento a utenti industriali selezionati;
- l’aumento della produzione nelle centrali elettriche a carbone;
- la richiesta di maggiori importazioni di gas da altri fornitori.