La crisi del gas aiuta il carbone: i nuovi prezzi da record

Aumenta la domanda e anche la quotazione del gas schizza alle stelle toccando massimi da record negli Stati Uniti e in giro per il mondo

Foto di Luca Bucceri

Luca Bucceri

Giornalista economico-sportivo

Giornalista pubblicista esperto di sport e politica, scrive di cronaca, economia ed attualità. Collabora con diverse testate giornalistiche e redazioni editoriali.

Chi l’ha detto che il 2022 è solo l’anno dei rincari di gas, energia e carburante? Come se non bastasse, infatti, ad aggiungersi alla lista dei rincari degli ultimi mesi causati dallo scoppio della guerra in Ucraina è anche il carbone, che molti avevano indicato come “via di fuga” per far fronte alle perdite dopo la chiusura delle forniture dalla Russia. Ma proprio dalla crisi del gas è il “ritorno al carbone” ad aver fatto le fortune di tanti produttori che, negli ultimi mesi, hanno visto schizzare le quotazioni del carbone ai massimi storici.

Carbone in aumento, quando costa

All’aumentare della domanda, ovviamente, corrisponde anche l’aumento dei prezzi e il carbone non fa eccezione. Il ritorno al combustibile fossile inquinante per eccellenza, infatti, ha portato a nuovi massimi il prezzo del carbone che nelle ultime ore ha toccato una quotazione mai vista in ogni sua tipologia specifica. Se infatti è salito il costo generale, con i prezzi a pronti (spot) che hanno superato la soglia dei 200 dollari a tonnellata (205 nello specifico nella regione dell’Appalachia centrale), il costo del carbone termico è sette volte superiore rispetto alla quotazione di qualche anno fa (da 60-80 dollari a tonnellata ai 440 dollari attuali).

Non si tratta di un rincaro strettamente legato alla guerra contro l’Ucraina di Zelensky in quanto, già prima dello scoppio del conflitto, era stato registrato un graduale aumento dei prezzi. In uscita dalla pandemia, infatti, la domanda di energia elettrica era aumentata più veloce rispetto ai ritmi dell’estrazione mineraria. Oggi però a far impennare le quotazioni sono soprattutto le varie riorganizzazioni delle forniture energetiche che sempre più Paesi stanno mettendo in campo per far fronte al “caro gas” o alla sua mancanza.

La riapertura delle centrali a carbone

Lo scoppio della guerra in Ucraina, come abbiamo sottolineato, ha portato tanti paesi a tornare al passato, a quel carbone che era stato messo da parte e archiviato da tempo a causa dell’alto livello di inquinamento che faceva registrare. In giro per l’Europa infatti, una volta chiusi i rubinetti con la Russia, è arrivata la riapertura delle centrali a carbone. In Italia, conseguente il caro bollette, a riaccendersi sono state diverse centrali che, secondo quanto riferito dal ministro dell’Economia Daniele Franco, aiuterà a ridurre di circa 1,8 miliardi di Smc, ovvero di metri cubi di gas, dall’agosto 2022 al marzo 2023.

In Italia le centrali a carbone osservate speciali sono ben sei, mentre una è a olio. Quelle a carbone sono in quattro casi dell’Enel: Fusina (Venezia), Brindisi, Torrevaldaliga (Civitavecchia) e Portovesme in Sardegna. La compagnia Ep Produzione possiede la centrale a carbone di Fiume Santo in Sardegna. A2a una a Monfalcone, oltre a un impianto a olio combustibile situato a San Filippo del Mela (Messina).

Anche la Germania ha riaperto le centrali a carbone, col governo federale, secondo quanto di recente riferito dalla stampa tedesca, che ha concordato che gli impianti elettrici che impiegano la materia prima rimarranno attivi fino al 31 marzo del 2024. Oltre agli impianti a carbone fossile, dall’inizio di ottobre, sempre con l’obiettivo di diversificare gli approvvigionamenti energetici, torneranno sul mercato elettrico anche quelli a lignite.