Non solo acqua gasata, pane, olio d’oliva, miele e altri prodotti del Made in Italy. A rischio c’è anche il riso. In questo contesto di grandissima incertezza dei mercati, con i prezzi dell’energia alle stelle e una inflazione galoppante, anche un altro storico prodotto italiano rischia di diventare introvabile.
Quanto vale il mercato del riso in Italia
E’ partita la raccolta del riso sui 217mila ettari coltivati in Italia, con ben 9 risaie su 10 concentrate al nord fra Lombardia e Piemonte. Ma le previsioni non sono affatto rosee.
Con 1,5 milioni di tonnellate all’anno l’Italia garantisce il 50% dell’intera produzione di riso della Ue, di cui è il primo fornitore, con una gamma di varietà e un livello di qualità uniche al mondo.
Sono oltre 200 le varietà iscritte nel registro nazionale: dal vero carnaroli, con elevati contenuto di amido e consistenza, spesso chiamato “re dei risi”, all’arborio dai chicchi grandi e perlati che aumentano di volume durante la cottura, fino al vialone nano, il primo riso ad avere in Europa il riconoscimento come indicazione geografica protetta, passando per il Roma e il Baldo, che hanno fatto la storia della risicoltura italiana.
Noi italiani consumiamo in media fra i 5 e i 6 chili a testa di riso, ma l’impennata dell’inflazione, con l’esplosione dei costi di produzione, ha spinto la crescita dei prezzi al dettaglio sugli scaffali dei supermercati del 22,4% nell’ultimo anno ad agosto, secondo l’ultima analisi di Coldiretti su dati Istat. Il dato che resta subito impresso è che c’è un problema con il riso in Italia in quanto si assiste a un crollo della produzione di oltre il 30%.
Perché si rischia di non trovare più il riso
Il clima impazzito, con la siccità più grave degli ultimi 500 anni e la poca pioggia caduta che però quando è arrivata ha causato veri nubifragi, e il boom del prezzo del gas e della materie prime a causa della guerra in Ucraina, stanno portando molte aziende agricole vicino al fallimento.
I rincari sulle materie prime hanno registrato aumenti record che vanno dal +170% dei concimi al +129% per il gasolio. In alcune zone fra Lombardia e Piemonte si prevedono fino al 40% di perdite, una vera e propria strage con danni per milioni di euro.
In Lombardia, dove si coltiva circa la metà del riso nazionale e dove si concentrano i chicchi da risotto, si stimano 23mila ettari di risaie dove la produzione potrebbe essere totalmente azzerata, a cui si dovranno aggiungere danni parziali a coltivazioni che comunque verranno trebbiate, secondo l’Ente Risi.
Coldiretti lo definisce uno “shock devastante” per l’economia e l’occupazione, visto che nella filiera del riso sono coinvolte oltre 10mila famiglie, ma anche per la tutela dell’ambiente e della biodiversità.
La concorrenza dai Paesi asiatici
Oltre al caro prezzi, il riso italiano da anni viene danneggiato dalla concorrenza delle importazioni low cost dai Paesi asiatici, che – denuncia Coldiretti – vengono agevolate dall’Unione Europea “nonostante non garantiscano gli stessi standard di sicurezza alimentare, ambientale e dei diritti dei lavoratori”.
In Italia oltre il 70% del riso importato è oggi a dazio zero. Un esempio è quello che arriva dal Myanmar, che è tra i primi fornitori del nostro Paese con 72,5 milioni di chili nei primi sei mesi del 2022, ben 24 volte di più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente con un trend – spiega l’associazione degli agricoltori italiani – favorito dalla scadenza della clausola di salvaguardia, con la quale si erano bloccate le agevolazioni tariffarie concesse a Myanmar e Cambogia: quest’ultima ha più che raddoppiato le sue esportazioni verso l’Italia.
Dal Vietnam, che con l’Unione europea ha un accordo per 80 milioni di chili esenti da dazio, sono giunti solo in Italia nel primo semestre di quest’anno quasi 11 milioni di chili di riso, 4 volte in più rispetto allo stesso periodo del 2021.
Nuovi aiuti dal Mipaaf
Almeno la buona notizia è che è arrivato il via libera in Conferenza Stato Regioni al decreto del Mipaaf che stanzia 15 milioni di euro fino ad esaurimento per i risicoltori italiani, a parziale ristoro dei maggiori costi sostenuti a seguito della crisi causata dalla guerra in Ucraina, del livello record raggiunto dai prezzi delle materie prime energetiche e anche in considerazione della siccità che ha compromesso le produzioni.
Per sostenere il settore – sottolinea Coldiretti – bisogna anche lavorare sugli accordi di filiera come strumento indispensabile per la valorizzazione delle produzioni nazionali e per un’equa distribuzione del valore lungo la catena di produzione
Per contrastare l’anno di rincari sulle bollette proprio in questi giorni il Governo ha prorogato e rafforzato le misure già adottate negli scorsi mesi a sostegno di tutte le imprese, con un credito di imposta con aliquote del 40% per gli energivori e del 30% per chi impiega oltre 4,5 kw.
Specificatamente per le imprese agricole e della pesca e per quelle agromeccanicche, il decreto prevede l’estensione al 4° trimestre 2022 del credito di imposta per acquisto di carburante. Ciò a parziale compensazione dei maggiori oneri effettivamente sostenuti per l’acquisto di benzina e diesel saliti alle stelle per la trazione dei mezzi utilizzati, pari al 20% della spesa sostenuta per l’acquisto del carburante effettuato nel 4° trimestre solare del 2022.
Il credito di imposta riguarda anche le imprese agromeccaniche e l’utilizzo per il riscaldamento delle serre, dei fabbricati produttivi utilizzati per gli allevamenti animali, così da venire incontro alle richieste dei settori maggiormente colpiti dall’aumento dei costi energetici.
Viene inoltre innalzato l’importo massimo dei finanziamenti garantiti Ismea, con copertura al cento per cento, da 35mila euro a 62mila euro, relativamente al caro energia.