Ue boccia il divieto italiano sui sacchetti di plastica monouso

La Corte di Giustizia Europea ha bocciato il divieto italiano sui sacchetti di plastica monouso: il perché e le motivazioni dal Lussemburgo

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Luca Bucceri

Giornalista economico-sportivo

Giornalista pubblicista esperto di sport e politica, scrive di cronaca, economia ed attualità. Collabora con diverse testate giornalistiche e redazioni editoriali.

La Corte di giustizia Ue è grande protagonista delle ultime ore, con gli occhi di tutti puntati verso il Lussemburgo dove i giudici hanno appena emesso la sentenza che dà ragione alla Superlega e, soprattutto, ha bocciato la normativa con la quale l’Italia ha vietato dieci anni fa la commercializzazione di sacchetti monouso fabbricati con materiali non biodegradabili e non compostabili. Una scelta, quella arrivata dalla Corte Ue, che dà ragione all’azienda Papier Mettler che aveva fatto ricorso in quanto i propri prodotti erano in linea con quanto previsto dalla direttiva europea del 1994.

Ue boccia la direttiva italiana

Secondo quanto si apprende, la legge italiana secondo le diciassette pagine della Corte ha violato il diritto Ue. Ma la stessa Corte ha sottolineato che l’intervento messo in campo dall’Italia nel 2013, ben 10 anni fa, “può essere giustificato dall’obiettivo di garantire un livello più elevato di protezione dell’ambiente” ma solo “a condizione che sia basata su prove scientifiche emerse successivamente” all’adozione di una norma Ue, e a condizione che lo Stato “comunichi alla Commissione le misure prese e i motivi della loro adozione”.

Il tutto è stato frutto del ricorso presentato da Papier Mettler contro il decreto n. 73 adottato il 18 marzo 2013 del ministero dell’Ambiente e dal ministero dello Sviluppo economico che vietava la fabbricazione e la commercializzazione di borse di plastica destinate al ritiro delle merci che non rispondano a determinate caratteristiche tecniche.

Papier Mettler si era rivolta al Tar del Lazio per l’annullamento del decreto e il Tar, successivamente, si è rivolto alla Corte di Giustizia per sapere se la disposizione nazionale possa contenere norme tecniche più restrittive di quelle previste dal diritto dell’Unione, ovvero rispetto alla direttiva 94/62.

Le motivazioni e il cortocircuito

I ministeri hanno spiegato che è apparso necessario promuovere l’uso di borse di plastica biodegradabili e compostabili, nonché di borse riutilizzabili, per contrastare l’abitudine dei consumatori italiani di utilizzare sacchetti di plastica usa e getta per la raccolta dei rifiuti organici.

La sentenza della Corte europea ha quindi risposto che il diritto dell’Unione si oppone a una normativa nazionale che vieti la commercializzazione di sacchi monouso fabbricati con materiali non biodegradabili e non compostabili, “i quali rispettino le altre prescrizioni stabilite nella direttiva 94/62, come modificata”.

Ma si tratterebbe di un vero e proprio cortocircuito, perché mentre la Commissione Europea spinge il Green Deal, i giudici di Lussemburgo applicano le normative vigenti, che in qualche caso, come questo, sono molto meno avanzate di quelle italiane. Va infatti ricordato che l’Italia, in questo senso, si è fatta promotrice del movimento, mentre nel resto del Vecchio Continente sono ancora tanti i Paesi indietro che, in materia di sacchetti di plastica, sono indietro. Diversi, infatti, sono i Paesi che producono e utilizzano borse di plastica, che da noi sono un lontano ricordo.

E intanto in Europa si continua a discutere sulla necessità di vietare imballaggi monouso per condimenti, conserve, salse, panna da caffè e zucchero nel settore alberghiero, della ristorazione e del catering, comprese bustine, vaschette, vassoi e scatole, con l‘Ue che ha messo al bando tutto ciò che contiene plastica.

La sentenza riguarda la vecchia normativa sui sacchetti di plastica

Assobioplastiche evidenzia comunque che la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea riguarda esclusivamente la vecchia normativa italiana sui sacchetti di plastica. La pronuncia riguarda in concreto un vecchio decreto ministeriale (il DM 18 marzo 2013) che da tempo non è più in vigore e che venne adottato dall’Italia quando ancora non era stata emanata la direttiva shopper 2015/720, che contempla espressamente la possibilità per gli Stati di vietare i sacchetti di plastica.

Si tratta di un giudizio relativo quindi a normative già abrogate e del tutto superate dalle nuove e in cui, peraltro, la bocciatura della Corte è su aspetti formali e procedurali, dovuti ad errori nel processo di notifica all’Ue. Si è contestato all’Italia di aver adottato detti divieti “troppo presto”, ossia prima che l’Ue stessa prevedesse i divieti con la direttiva shopper 2015/720.

“Ce l’aspettavamo – commenta a QuiFinanza Luca Bianconi, Presidente di Assobioplastiche – ma, per sgombrare il campo da equivoci, è bene sottolineare che la sentenza riguarda il “vecchio” ordinamento. La normativa europea sugli imballaggi è, com’è noto, nel frattempo positivamente evoluta e ora c’è la direttiva shopper, che consente i divieti e obbliga gli Stati a intervenire sui sacchetti”.

Il decreto ministeriale del 2013 contestato non c’è più e c’è una nuova normativa di recepimento della direttiva shopper, che non è messa in discussione dalla sentenza. “Ci tengo a precisare, quindi, che l’attuale normativa sulle bioplastiche che recepisce la direttiva shopper del 2015 è perfettamente in vigore avendo seguito tutte le procedure previste. Purtroppo, quando non si riescono a trovare elementi di sostanza contro normative pioniere che hanno anticipato l’evoluzione stessa del diritto europeo, ci si appella a forma e procedure. Ci siamo abituati, ma i fatti sono dalla nostra parte”.