Negli ultimi anni, complice anche le misure restrittive legate alla pandemia Covid, gli italiani hanno fatto sempre più ricorso alle app per la consegna di cibo a domicilio. Dopo il boom, però, una delle compagnie più attive ha annunciato che lascerà il nostro Paese.
Si tratta di Uber Eats, finora attiva in oltre 60 città italiane. La divisione di consegna di Uber era approdata nello Stivale nel 2016, partendo da Milano. Ecco perché e da quando chiuderà i battenti (vi ricordate il caso del rider che ha pedalato 50 chilometri per una consegna?).
Perché Uber Eats lascia l’Italia
Nel comunicato ufficiale “di addio”, l’azienda ha spiegato che la crescita degli ultimi anni “non è stata in linea con le nostre aspettative per garantire un business sostenibile nel lungo periodo”. L’amministratore delegato Dara Khosrowshahi ha sottolineato che Uber Eats “non è riuscita a costruire sufficienti quote di mercato”, dove per “sufficienti” il board intende “collocarsi come primo o secondo operatore” sulla concorrenza. Il servizio di food delivery resterà attivo fino al 15 luglio, dopodiché sarà impossibile ordinare cibo a domicilio tramite la celebre applicazione scaricata e utilizzata da oltre un milione di utenti.
Resta invece attivo l’altra divisione di Uber attiva in Italia, Uber Black, che offre servizi di trasporto a chiamata ma solo con autisti che abbiano una licenza di noleggio con conducente (NCC). Si tratta dell’unico servizio di questo tipo disponibile nel nostro Paese, a causa delle vibranti proteste portate avanti dalla categoria dei tassisti. Nel 2022 è stato poi raggiunto un accordo con It Taxi, il più grande operatore di prenotazione in Italia: oltre 12mila tassisti in 90 città possono usare l’app per permettere alla clientela di prenotare una corsa.
Qui abbiamo parlato dell’accordo UE sullo status dei rider: sono dipendenti.
Cosa accadrà a rider e lavoratori?
Lo stop alle consegne dopo sette anni in Italia comporterà anche la chiusura degli uffici attivi sul territorio nazionale, col conseguente licenziamento collettivo di 40 dipendenti, quasi tutti operativi nella sede di Milano. A rider e fattorini va anche peggio, perché lavoratori autonomi privi di tutele dal licenziamento e di coperture sociale. Tuonano i sindacati. “La cessazione delle attività di Uber Eats in Italia richiede interventi immediati per tutelare tutti i lavoratori impegnati nelle attività di food delivery”, afferma la Cisl. Secondo Deliverance, questa situazione è la prova che “il mercato del delivery è saturo e che non basta alle multinazionali come Uber, Deliveroo, Glovo o Foodora comprimere al massimo il costo del lavoro e il rischio d’impresa, scaricandolo sulle spalle dei lavoratori attraverso il cottimo, per restare in piedi”.
Nel 2020 Uber Eats è stata commissariata per caporalato dal Tribunale di Milano proprio per lo sfruttamento dei rider. Il servizio a domicilio della società era legato ad altre due società di intermediazione del settore della logistica, tra cui Flash Road City. Come ha riferito la Guardia di Finanza, i fattorini venivano “pagati a cottimo 3 euro”, “derubati” delle mance e “puniti” con la decurtazione dei compensi se non rispettavano le volontà del datore di lavoro.
Nella nota diramata dall’azienda si legge tuttavia che “l’obiettivo principale è ora quello di fare il possibile per i nostri dipendenti, in conformità con le leggi vigenti, assicurando al contempo una transizione senza problemi per tutti i nostri ristoranti e i corrieri che utilizzano la nostra piattaforma”.