Perché Trump usa i dazi per la guerra commerciale all’Europa se siamo alleati?

Il presidente americano tempesta e tuona contro gli Stati Ue, forte del deficit commerciale a vantaggio degli Usa. Ma la ruggine sulla catena industriale statunitense e l'importazione massiccia sono propositi strategici per Washington

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 23 Gennaio 2025 18:37

Quando parla Trump non ci si annoia mai. A Davos, in occasione del World Economic Forum 2025, il neo presidente americano è tornato a minacciare dazi agli Stati dell’Unione Europea, ribadendo i toni di quella guerra commerciale che già nel 2016 era un pallino della sua ricetta economicista.

Il tycoon ha poi consigliato alle aziende europee di dover esportare le loro filiali e di produrre sul territorio degli Stati Uniti. Ma non eravamo alleati? Qual è l’obiettivo del Potus?

Perché Trump ce l’ha con l’Europa

I grandi imperi, tra cui gli Usa, non vivono di economia. L’economia è il collante con cui tengono insieme la rete di province e satelliti nel loro campo d’influenza, in questo caso l’Europa. Perché questo va ricordato: siamo satelliti, più che alleati degli Usa. Assodato questo, interpretare le parole di Donald Trump può risultare più facile al netto della retorica anti-europea, autentico cavallo di battaglia della sua corsa presidenziale.

L’obiettivo principale è evitare che le aziende europee continuino a fare affari con gli imperi rivali di Russia e Cina. Soprattutto con quest’ultima, che attraverso il commercio e l’economia si è fatta strada nel continente più importante del pianeta, perla dell’intero sistema globalizzato a guida americana.

I dazi commerciali promessi sono un riflesso di questa politica. Gli elettori di Trump sono stanchi di aiutare gli “ingrati europei”. Che almeno “paghino”, se vogliono stare sotto di noi. In soldoni, è questa la questione, anche per quanto riguarda il peso materiale degli aiuti all’Ucraina, da sbolognare agli Stati Ue.

Lo scopo a breve termine del presidente è far affluire ricchezza in patria, facendo valere il profondo deficit commerciale che gli Usa detengono con l’Ue, pari a circa 350 miliardi di dollari. Secondo Eurostat, gli Stati Ue esportano 502 miliardi di dollari di beni negli States, mentre le merci americane che volano in Europa ammontano a 344 miliardi di dollari.

Trump vuole ribaltare i piatti di questa bilancia commerciale, per aumentare il benessere interno. Una mossa decisamente poco imperiale, dettata però dall’ormai poco sostenibile sovraesposizione su più fronti globali.

La guerra dei dazi di Donald Trump.
Fonte: ANSA
La guerra dei dazi di Donald Trump.

Trump vuole chiudere l’impero, ma non può farlo

La corporate tax in America sarà abbassata al 15% “per chi produce negli Stati Uniti”, ha annunciato impettito Trump parlando al World Economic Forum 2025 di Davos.

Dal punto di vista strategico, la politica di Trump è contraria alle esigenze statunitensi. Dal punto di vista tattico, a breve termine, è utile a sanare il fronte interno. Uno dei principi strategici degli Usa, per mantenere l’egemonia globale fondata sul controllo dei mari, è quello di rimanere compratori di ultima istanza. Tradotto: importare massicciamente e rinunciare all’export.

Che, tradotto a sua volta, vuol dire sacrificare la produzione nazionale in nome di un deficit commerciale che può apparire paradossale e controproducente, ma che ha sempre condotto gli imperi a dominare il mondo o i continenti di riferimento. Gli Usa lo hanno fatto, fermando di fatto la cintura industriale del Midwest che, non a caso, è diventata in gergo la “rust belt” (“cintura arrugginita”).

Ecco, già come otto anni fa, Trump ha dimostrato di voler chiudere o fortemente limitare l’impero americano. Non perché sia contro la mentalità da grande potenza degli Usa, figurarsi, ma perché è tornato alla Casa Bianca cavalcando la profonda stanchezza degli americani.

I cittadini a stelle e strisce non sono più disposti a sobbarcarsi i sacrifici necessari a mantenere il perenne stato di guerra della nazione e, nella loro ottica, di correre in tutti gli angoli del globo per aiutare i popoli in difficoltà. Propaganda, certo, ma costruita dalla prima potenza del pianeta, dunque estremamente efficace.

Gli americani hanno eletto Trump perché lui ha promesso loro benessere ed economia. Vale a dire rilancio della produzione interna e posti di lavoro. Ne consegue il messaggio all’Ue: o comprate le merci americane e producete qui da noi, o pagherete tariffe più alte. In qualche modo, i soldi devono arrivare alla classe media statunitense.

C’è anche da dire che un presidente, da solo, non è in grado di decidere e di fare proprio nulla a nome dell’intera nazione. Se però otto anni fa gli apparati statunitensi, dalla Cia al Pentagono al potentissimo Congresso, non erano affatto favorevoli in maggioranza alla ricetta economicista trumpiana, nel 2025 sembrano più disposti a tollerare le uscite a-stratetgiche del tycoon.

Innanzitutto perché il neo presidente può davvero condurre ai necessari negoziati con la Russia per la guerra in Ucraina. Rispetto alla prima presidenza Trump, gli apparati sono ora favorevoli ad aprire a Mosca, che rappresenterebbe un pericolo incommensurabile se dovesse finire preda della Cina. Uno scenario che potrebbe delinearsi in caso di sconfitta contro Kiev o di conflitto prolungato.