Pil dell’Italia azzoppato dall’export fermo, crescita 2025 solo allo 0,5%

Pil quasi immobile nel terzo trimestre: esportazioni deboli, crescita inferiore alla media europea e salari reali sotto i livelli pre-pandemia

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pubblicato: 24 Ottobre 2025 19:07

L’economia italiana si muove piano, troppo: l’Ufficio parlamentare di bilancio nella Nota congiunturale di ottobre fotografa un Paese che avanza a passo di lumaca.

Nel terzo trimestre, infatti, il Pil risulta “pressoché stagnante”, sostanzialmente invariato rispetto ai tre mesi precedenti. Un risultato che conferma le difficoltà già emerse in primavera, quando il prodotto era scivolato di un -0,1%, la prima contrazione da quasi tre anni.

Export italiano in sofferenza

Secondo l’Upb, qualche miglioramento potrebbe intravedersi solo nello scorcio finale dell’anno, ma la crescita dell’intero 2025 resta inchiodata allo 0,5%. Una previsione macroscopica che cammina su un filo sospeso sopra il vuoto di un contesto internazionale altamente frammentato, dove tensioni geopolitiche, protezionismo e guerre commerciali riscrivono ogni settimana le regole del gioco.

Se la locomotiva italiana rallenta, gran parte della colpa arriva dal commercio con l’estero. Il primo trimestre 2025 aveva beneficiato di un’impennata “pre-dazi”, legata alle esportazioni verso gli Stati Uniti, ma la primavera ha ribaltato il quadro: export in calo dell’1,9% e indicazioni recenti che parlano di un agosto nero, con vendite in netta ritirata.

Lo scenario peggiora alla luce di due fattori esplosivi:

  • apprezzamento dell’euro sul dollaro (+13% da inizio anno) che erode competitività;
  • dazi e protezionismo Usa, con i cui effetti più pesanti dovremo fare i conti solo nei prossimi mesi.

Upb calcola un possibile “onere aggiuntivo” fino al 30% per gli importatori americani, un macigno sulle aziende europee e italiane, soprattutto quelle del Nord-Est e dei settori più esposti al Made in Italy.

Inflazione stabile, ma salari al palo

Un quadro non del tutto oscuro arriva dai prezzi: l’inflazione Nic italiana resta all’1,6%, inferiore alla media dell’Eurozona. Una boccata d’ossigeno dunque? Non proprio. Le retribuzioni contrattuali hanno rallentato al 3,2% su base annua nel secondo trimestre, con tendenza al ribasso nel privato e un recupero nel pubblico.

Il saldo finale è una verità difficile da digerire: i salari reali restano inferiori dell’8,8% ai livelli del 2020. Una distanza che si traduce in consumi ancora frenati e in una propensione al risparmio che continua a mordere l’economia.

L’occupazione resiste ma non corre

Il mercato del lavoro tiene, almeno in apparenza. La crescita occupazionale sfiora appena lo 0,1% nel terzo trimestre. Nel dettaglio:

  • calano i lavoratori dipendenti;
  • aumentano (poco) gli autonomi;
  • si rafforza la presenza dei 50-64enni, complice l’innalzamento dei requisiti pensionistici;
  • diminuisce la quota dei giovani lavoratori;
  • crescono gli inattivi.

Segnali che raccontano una demografia che cambia e un mercato che fatica ad attrarre e trattenere nuova forza lavoro.

La crisi non colpisce solo l’Italia

Nel grande teatro dell’economia mondiale, l’Italia non è sola e anche le grandi istituzioni navigano a vista. Il Fondo monetario internazionale migliora le previsioni per il 2025 ma taglia quelle del 2026. Le Banche centrali, tra timori d’inflazione e timido allentamento delle condizioni finanziarie, mantengono il piede sul freno.

La Germania frena, l’Eurozona rallenta, gli Stati Uniti monitorano sperando di non sbandare. Le materie prime restano meno care rispetto ai picchi recenti, sebbene la volatilità minacci un ritorno alle montagne russe.

I contesti che potrebbero peggiorare ulteriormente riguardano:

  • prezzi dell’energia più ballerini;
  • conflitti e tensioni geopolitiche in crescita;
  • dazi Usa sempre più pervasivi;
  • fiducia bassa di famiglie e imprese;
  • cambio euro-dollaro sfavorevole.