Quando si parla di paradisi fiscali, si pensa a qualche isola remota nei Caraibi. Tuttavia, secondo un recente studio del World Inequality Lab, i cinque principali paradisi fiscali al mondo includono il Principato di Monaco, il Granducato del Lussemburgo, il Liechtenstein e le Isole del Canale, situate nel Canale della Manica. Solo al quinto posto compaiono le Bermuda, l’unico paradiso fiscale non europeo presente in questa lista nera. Questi luoghi, caratterizzati da una popolazione esigua, vantano redditi pro capite che non trovano paragoni altrove nel mondo, come evidenziato dall’Ufficio studi della Cgia.
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Dove si trovano i super-ricchi italiani
Molti contribuenti italiani, siano essi persone fisiche o società, hanno scelto di trasferirsi in località come Montecarlo e Lussemburgo. Nel Principato di Monaco, circa 8mila italiani hanno stabilito la loro residenza, attratti dall’assenza di tasse sul reddito e sugli immobili. Tra questi figurano imprenditori di spicco, sportivi e celebrità del mondo dello spettacolo.
Il Lussemburgo, invece, ospita sei banche italiane, circa cinquanta fondi d’investimento, diversi istituti assicurativi e numerose multinazionali, sia italiane che estere, attive sul nostro territorio. Si calcola che, a causa dei super-ricchi residenti all’estero, delle pratiche al limite della legalità adottate da multinazionali e grandi gruppi industriali nei paradisi fiscali, l’erario italiano perda ogni anno circa 10 miliardi di euro.
“Quando questi elusori fanno profitti miliardari senza pagare le tasse nel nostro Paese, non fanno altro che impoverirci – spiega la Cgia nel report – Le multinazionali usufruiscono delle nostre infrastrutture materiali (porti, aeroporti, strade, ferrovie), ricorrono a quelle sociali (giustizia, sanità, scuola, università), sfruttano quelle immateriali (reti informatiche), senza però contribuire con le tasse”.
Cosa può cambiare con la Global Minimum Tax
Secondo l’Area Studi di Mediobanca, riportata dalla Cgia nel 2022 le filiali italiane delle 25 principali multinazionali del web hanno registrato un fatturato complessivo di 9,3 miliardi di euro, ma hanno versato all’erario solo 206 milioni di euro di imposte. Purtroppo, mancano dati completi per stimare con precisione il contributo fiscale di tutte le multinazionali attive in Italia. Tuttavia, secondo l’Istat, sono 18.434 le multinazionali estere presenti nel nostro Paese attraverso società controllate.
Per contrastare i Paesi che adottano politiche fiscali favorevoli per le grandi aziende, dal 2024 è stata introdotta la Global Minimum Tax. Questa misura prevede un’aliquota minima del 15% per le multinazionali, ma il gettito atteso risulta piuttosto limitato. Secondo le stime, l’erario italiano incasserà 381,3 milioni di euro nel 2025, che saliranno a 427,9 milioni nel 2026 e a 432,5 milioni nel 2027. Entro il 2033, ultimo anno per cui sono disponibili proiezioni, il gettito dovrebbe avvicinarsi ai 500 milioni di euro.
Nel 2024 la Global Minimum Tax è stata adottata da 19 Paesi dell’Unione Europea. Spagna e Polonia inizieranno ad applicarla quest’anno, mentre Estonia, Lettonia, Lituania e Malta hanno ottenuto una proroga fino al 2030. Cipro e Portogallo, invece, sono stati sollecitati da Bruxelles con una lettera di messa in mora per il mancato adeguamento.
Quando un Paese è considerato un paradiso fiscale
Le caratteristiche dei Paesi considerati paradisi fiscali, inseriti nella black list, sono state delineate dall’Ocse già nel 1998 nel rapporto Harmful Tax Competition – An Emerging Global Issue. Tali Paesi presentano i seguenti tratti distintivi:
- assenza o sostanziale riduzione delle imposte sui redditi delle imprese registrate nei loro territori;
- mancanza dell’obbligo di svolgere attività d’impresa effettiva all’interno dei propri confini per le società costituite;
- scarsa trasparenza legislativa e amministrativa, che permette a determinati soggetti di ottenere vantaggi fiscali significativi;
- assenza di un sistema di scambio di informazioni fiscali con altri Stati, ostacolando la potestà impositiva di questi ultimi e favorendo l’evasione e l’elusione fiscale a livello internazionale.