Maxi sequestro a Esselunga: di cosa è accusato l’impero Caprotti

La Guardia di finanza di Milano ha eseguito un decreto di sequestro preventivo d’urgenza da 47,7 milioni di euro nei confronti di Esselunga

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

La Guardia di finanza di Milano, guidata da Marcello Viola, ha eseguito un decreto di sequestro preventivo d’urgenza da 47,7 milioni di euro nei confronti di Esselunga, nell’ambito di un’indagine del pm Paolo Storari della Procura di Milano su una presunta “somministrazione illecita di manodopera”. Le accuse, infatti, parlano di “una complessa frode fiscale” col meccanismo dei cosiddetti “serbatoi di manodopera“. Già nel 2002 un’inchiesta giornalistica del settimanale Diario accusava Esselunga di soprusi continui sui dipendenti e di comportamenti antisindacali.

Le indagini, condotte dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Gdf di Milano, con la collaborazione del Settore contrasto illeciti dell’Agenzia delle Entrate, hanno al centro il “fenomeno della somministrazione illecita di manodopera” e ricalcano il presunto “schema illegale” già accertato in altre indagini del pm Storari su altri grandi gruppi della logistica e della distribuzione, tra cui DHL e BRT.

L’indagine riguarda gli anni fiscali 2016, 2017, 2018, 2019, 2020 e 2021. Risultano al momento indagati la stessa società, il suo Cfo Albino Rocca e il suo predecessore, Stefano Ciolli.

Di cosa è accusata Esselunga

Le indagini hanno rivelato – si legge nella nota della procura di Milano – “una complessa frode fiscale caratterizzata dall’utilizzo, da parte della beneficiaria finale del meccanismo illecito, di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti e dalla stipula di fittizi contratti di appalto per la somministrazione di manodopera, in violazione della normativa di settore, che ha portato all’emissione e al conseguente utilizzo di fatture inesistenti per un oltre 221 milioni di euro, più Iva superiore a 47 milioni di euro”.

Rocca e Ciolli, firmatari delle dichiarazioni Iva di Esselunga, il primo a partire dal 2022 e il secondo fino al 2021, sono indagati per frode fiscale per essersi “in tempi diversi e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso” avvalsi di fatture per operazioni inesistenti, simulando contratti di appalto invece che di somministrazione di manodopera. Esselunga, secondo l’accusa, avrebbe così ottenuto un vantaggio patrimoniale di quasi 41,5 milioni di euro.

Una “condotta posta in essere da Esselunga, di carattere fraudolento”, che, si legge ancora nelle quasi 100 pagine della Procura, “dura da numerosi anni e perdura tutt’ora e ha comportato non solo il sistematico sfruttamento dei lavoratori ma anche ingentissimi danni all’erario”, nonostante la regina dei supermercati italiani sia da tempo al primo posto tra i migliori in Italia.

La Procura fa sapere che sono in corso anche diverse perquisizioni nei confronti di persone fisiche e giuridiche coinvolte nell’indagine tra le province di Milano, Novara e Bergamo, a cui i finanziari stanno notificando informazioni di garanzia “oltre che per le responsabilità personali in ordine ai reati di emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, anche in tema di responsabilità amministrativa degli enti in relazione agli illeciti penali commessi dai dirigenti della società”.

Esselunga, contattata via mail da QuiFinanza per un commento, ha dichiarato che “l’azienda si è immediatamente attivata per offrire la più ampia collaborazione alle autorità giudiziarie e pieno supporto per lo svolgimento delle attività. Attendiamo con fiducia le verifiche e gli approfondimenti, nella consapevolezza di aver operato sempre nel rispetto della legalità“.

L’inchiesta di Diario del 2002

Nell’inchiesta di Diario del 2002 venivano citate le lettere a giornali locali e a vari siti di chainworkers, in cui ex dipendenti parlavano – scriveva Diario – “di ricatti continui, di mobbing diffuso, di controlli a vista, di lavoratori part-time costretti al tempo pieno, di attività antisindacali e di angherie degli ispettori“.

Ma il “bubbone”, come lo definì il giornale, esplose “quando in Lombardia l’azienda ha licenziato e querelato (con richiesta milionaria di danni) due suoi dipendenti – Massimo Brunetti e Cosmi Panza – che su un sito internet avevano definito ‘mafioso’ l’atteggiamento aziendale nei confronti del personale. Questo atto di forza si è rivelato un mezzo boomerang, perché la vertenza ha convinto il sindacato ad aprire finalmente il dossier Esselunga, facendo venire a galla (e non più in forma anonima) decine di denunce sulle condizioni di lavoro, sul clima di paura interno e sulla grande arbitrarietà – al limite del potere assoluto – con cui i capi gestiscono turni e mansioni, domeniche e straordinari, permessi e punizioni” si legge nell’articolo.

Giovanni Gazzo, segretario lombardo della Uil-TuCs citato da Diario, parlò di “un’azienda dove c’è un rigido sistema di controllo del sacro canone, un sistema dove tutti sono controllori e controllati, un universo totalitario, un regime di fatto, un caso di negazione della libertà e dell’integrità psicofisica della persona, un luogo dove avviene un processo di annientamento dei diritti dei lavoratori e chi non si consegna all’azienda viene inserito nel libro nero”.

Secondo Gazzo, “il meccanismo repressivo è più grande e riguarda tutti i dipendenti: si tratta di un mobbing strutturale e non occasionale, insito nella cultura organizzativa dell’azienda, che intende la flessibilità come espianto dei diritti, secondo un’ideologia di estremismo imprenditoriale”.

La storia di Esselunga, tra luci e ombre

Una storia che accompagna il boom economico italiano, quella di Esselunga. Fondata a Milano da Bernardo Caprotti nel 1957, la sua origine merita un ricordo particolare. A metà degli anni ’50 l’imprenditore Nelson Rockefeller diede vita, tramite la International Basic Economy Corporation (IBEC) e assieme ad alcuni soci italiani, alla prima catena italiana di supermercati, la Supermarkets Italiani S.p.A.

Durante un weekend a Saint Moritz, i futuri soci Guido Caprotti e Marco Brunelli, amici ed ex compagni di scuola, vennero a conoscenza del progetto sentendo parlare i top manager del gruppo La Rinascente, i due fratelli Brustio. Come riportava l’Espresso in un articolo di qualche anno fa, “i due amici capiscono al volo che si tratta di un’opportunità unica. A Milano convincono Bernardo, fratello di Guido, e parte subito l’operazione per battere la Rinascente. Grazie alla mediazione della contessa Laetitia Boncompagni Pecci Blunt, contattano il magnate di New York e riescono ad averlo ospite nella dimora alle spalle della Scala: una cena lombarda, con risotto e involtini, che sancisce la nascita di Esselunga”.

La società fu costituita il 13 aprile 1957 a Milano come Supermarkets Italiani S.p.A e un capitale sociale di 1 milione di lire, sottoscritto per il 51% dall’IBEC e per il restante da azionisti italiani – gli industriali tessili Bernardo e Guido Caprotti (18%), gli imprenditori e proprietari del Corriere della Sera Mario e Vittorio Crespi (16,5%), Marco Brunelli, figlio di un notorio antiquario milanese (10,3%), la principessa Laetitia Boncompagni, amica personale di Nelson Rockefeller (3%) e Franco Bertolini, consigliere finanziario dei Crespi (1,2%). In appena 3 mesi il capitale sociale fu alzato prima a 60 milioni e poi a 420.

Passa alla storia la celebre campagna pubblicitaria creata nel ’69 da Alberto Gandin del ““vieni a spendere 1000 lire lunghe al supermarket con la esse lunga”: è allora che nascono nome e logo. Un grande successo, ispirato al modello Usa, che attraversa la storia d’Italia, anche con qualche criticità, come le difficoltà a espandersi nelle regioni “rosse” dominate dalle Coop, come raccontò lo stesso Caprotti nel suo libro “Falce e carrello”, parlando di “gravi scorrettezze commerciali, oltre che di intrecci con la politica”, tanto che Coop Liguria e Coop Estense citarono in giudizio Esselunga e il suo proprietario.

Nei primi anni Sessanta, quei magazzini in stile stelle e strisce furono l’emblema della modernizzazione e vennero presto imitati da altri, Coop comprese. Mentre in ogni parte del mondo si diffondevano i movimenti pacifitsti, Esselunga usciva con lo slogan “Fate la spesa, non la guerra”. Nel 1979, con l’inflazione alle stelle oltre il 20%, nacque il celeberrimo “Esselunga, prezzi corti”. Negli anni Novanta e 2000 arrivano poi le premiatissime campagne di Armando Testa che creavano curiosi giochi di parole con  personaggi famosi e cibi tipici della spesa al supermercato, come “Antonno e Cleopasta”, “Riccardo Cuor di Melone”, “Aglioween”, “John Lemon” e tanti altri.

Nel ’96 Caprotti patteggiò 9 mesi di condanna più una multa pari all’importo di una tangente pagata alla Guardia di Finanza, nell’ambito di un’inchiesta su presunte tangenti fiscali elargite dai big della moda: l’unico a riconoscere l’accusa di corruzione e a patteggiare la pena (9 mesi di carcere, con sospensione condizionale, e 100 milioni di lire di risarcimento) fu Giorgio Armani.

Oggi, Esselunga gestisce circa l’8,7% delle vendite in supermercati e ipermercati italiani con 185 store in Italia guidati dalla figlia di Bernardo, Marina Caprotti. I punti vendita sono presenti nelle regioni Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Liguria e Lazio: 25mila i dipendenti, con un impegno economico di circa 10 milioni di euro e un importante piano assunzioni. Determinante anche l’approdo all’online: oggi nel settore della vendita online Esselunga è il primo sito italiano di vendita online di prodotti fisici. 5,7 milioni i clienti, 40mila in più solo a inizio 2022.

Esselunga, i numeri dell’impero Caprotti

Esselunga ha chiuso il 2022 con ricavi stabili, pari a 4,3 miliardi di euro, in sostanziale pareggio con un -0,2% rispetto al primo semestre 2021, anno record di crescita post pandemia, con un margine operativo lordo pari a 214,6 milioni, in contrazione rispetto ai 427,1 milioni di un anno fa. Nel frattempo i prezzi allo scaffale hanno registrato un incremento medio del +1,7% contro un’inflazione media del +7,4% ricevuta dai fornitori, assorbita per il 5,7% dal gruppo.

Un esercizio che si è chiuso dunque con segno positivo, tra i migliori in Italia, dopo il ritorno all’assetto familiare originario, con l’acquisizione del 32,5% dell’immobiliare La Villata da Unicredit. Tutte le società del gruppo Esselunga oggi sono quindi interamente di proprietà della presidente Caprotti e della madre Giuliana Albera.

“È stato un anno di impegno verso clienti e dipendenti per proteggere il loro potere di acquisto. Una decisione meditata e contro corrente”, aveva commentato Marina Caprotti al Corriere della Sera. “Nel primo semestre abbiamo dovuto affrontare un contesto economico particolarmente complesso, con l’impennata dell’inflazione, l’incremento dei costi delle materie prime e la crisi energetica. Questo scenario ha avuto e sta continuando ad avere pesanti ricadute sulle imprese e sulle famiglie, e proprio per questo ci impegniamo a offrire convenienza ai nostri clienti e a tutelarne il potere di acquisto”.

L’erede di Caprotti aveva dichiarato che “già a partire dal novembre 2021 abbiamo fatto una scelta strategica che ci ha portato ad assorbire in modo significativo gli aumenti ricevuti dai fornitori, per non scaricarli completamente sui nostri clienti. Con questa decisione abbiamo rinunciato, consapevolmente, ad una parte sensibile del nostro margine”.