Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha diramato un comunicato in cui intima ai negoziatori di Hamas di raggiungere un accordo con la delegazione diplomatica di Israele per il rilascio dei rimanenti ostaggi ancora in vita entro una settimana. Se questo termine non venisse rispettato, dice il capo del governo, l’Idf attaccherà la città di Rafah con un’operazione di Terra. Rafah è l’ultima grande città della Striscia di Gaza a non essere ancora stata invasa dalle truppe di Israele. Prima della guerra contava 170mila abitanti ma oggi vi si trovano circa 1,4 milioni di rifugiati.
Nel frattempo la Turchia ha interrotto completamente gli scambi commerciali con Israele. Una decisione confermata anche dal ministro degli esteri di Tel Aviv e che arriva dopo mesi di tensioni tra i due Paesi che avevano già portato a una riduzione dell’export turco verso lo Stato ebraico.
Israele minaccia Rafah: accordo entro una settimana o attacco
Le trattative per un accordo per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas sembrano essere arrivate a una nuova fase di stallo. Nelle scorse settimane sembrava possibile un’intesa tra le parti: 40 giorni di tregua in cambio di 33 ostaggi israeliani, quelli che l’esercito ritiene siano rimasti in vita dopo sei mesi di guerra. Le delegazioni da allora si sono però nuovamente allontanate e il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione molto simile a un ultimatum.
Le condizioni imposte dal governo di Tel Aviv sono il raggiungimento di un accordo tra le delegazioni diplomatiche di Hamas e quelle israeliane entro la prossima settimana. In caso contrario l’Idf comincerà la sua operazione di terra su Rafah, annunciata ormai da settimane. Netanyahu ha affermato negli scorsi giorni che un attacco di questo tipo avverrà anche con un accordo per la liberazione degli ostaggi, per portare alla totale sconfitta di Hamas. Il primo ministro minaccia però un’azione rapida, che potrebbe causare una crisi umanitaria.
Hamas ha risposto alla dichiarazione di Netanyahu accusandolo di voler far saltare il tavolo delle trattative con queste dichiarazioni ai media. Al momento sembra che il gruppo palestinese stia cercando di metter d’accordo le varie milizie che lo compongono nella Striscia di Gaza e che hanno prigionieri gli ostaggi per poi portare una risposta o una contro proposta al Cairo, dove le delegazioni diplomatiche attendono.
La situazione a Rafah: 1,4 milioni di sfollati
Nel frattempo Israele sta preparando l’evacuazione della città di Rafah, un’operazione non semplice. Si tratta infatti dell’ultimo grande centro abitato della Striscia di Gaza ancora non invaso dalle truppe dell’Idf. Si trova al confine con l’Egitto, a poche centinaia di metri dall’omonimo valico, unica strada che collega la regione a uno Stato che non sia Israele. Vi abitavano, prima dello scoppio della guerra, 170mila persone circa, ma oggi la situazione è cambiata in maniera radicale.
Essendo l’ultima città a non essere stata invasa, a Rafah si sono rifugiate centinaia di migliaia di profughi dal nord della Striscia di Gaza. Oggi si stima che vi abitino 1,4 milioni di persone, in condizioni umanitarie al limite del collasso. Israele ha previsto tende e campi di accoglienza per circa 500mila di loro.
Un piano che sarebbe simile a quanto visto durante il resto della guerra, in cui solo parte della popolazione civile delle città attaccate è stata evacuata. Normalmente però i restanti erano fuggiti a sud. Oltre a Rafah però, non rimangono lunghi in cui fuggire nella Striscia di Gaza e quindi diverse associazioni internazionali temono che un attacco possa trasformarsi in una catastrofe umanitaria.
Israele nel frattempo sta però continuando i suoi bombardamenti sulla città, con diverse vittime collaterali a causa dell’alta densità di popolazione raggiunta dopo l’afflusso dei rifugiati. La scorsa notte un attacco aereo ha causato 7 vittime di cui, secondo le autorità locali, 4 bambini. La guerra non è finita nemmeno in alcune parti del Nord della Striscia: a Sheikh Ijlin sarebbe stata portata a termine una salva di colpi di artiglieria molto intensa, stando a quanto riportato dalla rete araba Aljazeera.
La Turchia chiude le rotte commerciali verso Israele
Numerose le reazioni internazionali all’atteggiamento di Israele. Dall’inizio della guerra sempre più Stati esteri hanno intiepidito i propri rapporti con lo Stato ebraico, causando un raffreddamento delle relazioni diplomatiche. Anche gli Usa, storici alleati di Tel Aviv, hanno criticato duramente la condotta dell’Idf, pur continuando a garantire fondi e aiuti militari all’esercito israeliano. La guerra ha anche compromesso i rapporti personali tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu.
Una di queste conseguenze internazionali si è palesata durante la settimana. Secondo l’agenzia di stampa Bloomberg, la Turchia ha sospeso le esportazioni verso Tel Aviv come rappresaglia contro quanto accaduto nella Striscia di Gaza e contro gli atteggianti del governo nei confronti delle possibilità di un cessate il fuoco. Non si tratta di una tratta commerciale irrilevante: ogni anno lo Stato ebraico acquista beni per 4 miliardi di euro da Ankara, con una bilancia commerciale passiva di oltre 2 miliardi. La notizia è poi stata confermata sia dal ministro del commercio turco che da quello degli esteri israeliano.
Non è nemmeno la prima volta che la Turchia utilizza i suoi rapporti economici con Israele per punire Tel Aviv delle condotte tenute in guerra. A seguito del divieto di Tel Aviv agli aerei cargo di paracadutare aiuti umanitari all’interno della Striscia di Gaza, Ankara aveva ristretto le esportazioni verso Israele di 54 prodotti. Tra questi anche il carburante per aerei, il cemento, i pesticidi e le attrezzature meccaniche e edili. Ora l’embargo diventa totale.
“Erdogan, il dittatore che sogna di essere sultano, lavora al servizio di Hamas, viola gli accordi e vuole danneggiare Israele ma in realtà danneggia i suoi palestinesi che finge di aiutare. Lavoreremo per ridurre ogni legame finanziario tra lui e l’Autorità nazionale palestinese e Gaza. Coloro che intraprenderanno azioni unilaterali contro l’economia israeliana riceveranno una risposta dolorosa e adeguata. Erdogan vuole danneggiare Israele, ma danneggerà soprattutto l’economia palestinese” ha detto il ministro degli esteri israeliano Israel Katz.