Guerra Russia-Ucraina, così l’Italia armava Mosca sotto sanzioni

C'è anche e soprattutto l'Italia fra i responsabili dell'armamento russo, anche in regime di sanzioni. I governi Renzi e Berlusconi primi protagonisti.

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Paolo Viganò

Giornalista di attualità politico-economica

Classe 1974, giornalista professionista dal 2003, si occupa prevalentemente di politica, geopolitica e attualità economica, con diverse divagazioni in ambito sportivo e musicale.

Pubblicato: 4 Marzo 2022 09:55

Oggi la Russia di Putin fa paura, e l’isolamento economico subordinato a pesanti sanzioni economiche ed espulsione dai circuiti finanziari punta a far implodere da dentro il gigante russo, nel momento in cui rappresenta una seria minaccia per tutta l’Europa. Ma c’è stato un tempo in cui, al di là dei rapporti personali fra Putin e i protagonisti della politica europea, fare affari con Mosca era all’ordine del giorno anche sul piano militare. E l’Italia non ne è rimasta fuori, nemmeno quando erano in vigore altre sanzioni.

Gli armamenti russi

Al di là dell’arsenale nucleare, che merita un discorso a parte, l’esercito russo è generalmente considerato il secondo più potente al mondo, dopo quello degli Stati Uniti. Nel 2022, la Cina aveva le più grandi forze armate del mondo per personale militare in servizio attivo, con circa 2 milioni di soldati attivi. India, Stati Uniti, Corea del Nord e Russia completano rispettivamente i primi cinque eserciti più grandi, ciascuno con oltre 1 milione di militari attivi.

Mosca conta una riserva di 2 milioni di persone, e per le sue forze armate nel 2020-21 ha speso qualcosa come 61,7 miliardi di dollari, in euro quasi 55 miliardi: è al quarto posto al mondo per spesa militare. Alimentando la tensione prima di entrare in Ucraina, la Russia ha effettuato test missilistici lo scorso fine settimana. Tutti “hanno raggiunto i loro obiettivi”, ha affermato il Cremlino.

Le armi che vengono dall’Italia

Una parte di questa disponibilità viene anche dall’Italia, con l’aggravante che alcuni di questi accordi commerciali-militari è avvenuta in regime di sanzioni. L’esportazione di armamenti verso la Federazione russa inizia nel 2003, ma il record si raggiunge solo nel 2011 con il governo guidato da Silvio Berlusconi, quando viene autorizzata la vendita di blindati Iveco noti con il nome di Lince, per un valore di 106 milioni di euro. L’autorizzazione fu rilasciata tre anni dopo l’invasione della Georgia, ma non era ancora in vigore alcun embargo nei confronti di Mosca. Diverso è invece il caso dell’autorizzazione contenuta nella relazione per l’export di armamenti del 2015 e consegnata al parlamento l’anno seguente.

Embargo aggirato?

Come evidenziato nel 2019 dal sito investigativo Bellingcat, nel 2015 il governo guidato da Matteo Renzi rilasciò una nuova autorizzazione per la vendita di 94 blindati Lince alla Russia, per un valore di oltre 25 milioni. In quello stesso anno furono esportati 83 dei 94 mezzi corazzati Iveco.

L’autorizzazione definitiva fu concessa nel 2015, ma – come scrive l’analista dell’Opal Giorgio Beretta ripreso da Furia d’Aprile su Domani – il 31 luglio del 2014 l’Unione europea impose un embargo sull’invio di armamenti verso la Russia in risposta al conflitto ucraino. Tuttavia, il documento con cui l’Ue limita l’invio di materiale bellico verso la Russia presenta delle falle: la decisione non ha valore sanzionatorio, pertanto chi lo viola non incorre in alcun tipo di misura punitiva. Il cavillo con cui l’Italia trovò il modo di aggirare l’embargo e vendere armi ai russi.