Il mese scorso ha messo a dura prova la stabilità dei mercati finanziari, colpendo gli investitori con una serie di eventi di rilevanza globale. Dati macroeconomici, tensioni geopolitiche e decisioni delle politiche monetarie hanno contribuito a delineare un paesaggio di incertezza e fluttuazioni significative.
Lo scrive Roberto Gusmerini, Head of Dealing Ebury Italia in una lunga analisi nella quale spiega che “il conflitto in Medio Oriente, aggravatosi improvvisamente, ha catalizzato l’attenzione dei mercati. La crescente inquietudine geopolitica ha spinto gli investitori verso beni rifugio, determinando un picco del prezzo del petrolio Brent, che ha oltrepassato la soglia psicologica dei 90 dollari al barile – il punto più alto dallo scoppio delle ostilità nella Striscia di Gaza. Questa ondata di instabilità ha minacciato di esasperare le già tese relazioni internazionali. Tuttavia, è stato evitato uno scenario di guerra totale, e questo ha, per ora, parzialmente calmato il nervosismo degli investitori”.
Riflettori sulle Banche centrali
La politica monetaria delle banche centrali – spiega ancora l’esperto – “continua a esercitare la sua influenza predominante sull’animato palcoscenico valutario. Le aspettative di taglio dei tassi di interesse sono state temperate, con particolare riferimento agli Stati Uniti dove è cresciuta la percezione che i tassi possano rimanere elevati più del previsto. Gli indicatori di inflazione nell’economia più grande al mondo hanno indotto i mercati a ridimensionare le probabilità di vedere manovre espansive dalla Federal Reserve quest’anno, mentre si sono levate voci di possibili rialzi, prontamente mitigate dalle dichiarazioni del governatore Powell. Nonostante ciò, il dollaro americano ha mostrato un apprezzamento significativo nel corso dell’anno, anche se di recente ha assistito a un arresto del rally, allentando parte dei guadagni nei confronti delle valute principali”.
L’analisi
Quanto alle recenti dichiarazioni della Fed “hanno delineato un approccio più cauto e accomodante, aumentando l’asticella per l’ipotesi di rialzi futuri dei tassi negli USA. Inoltre, un rallentamento della crescita economica e un mercato del lavoro non più così fervido negli Stati Uniti hanno riportato sul tavolo delle discussioni la possibilità di tagli dei tassi anticipati a settembre, mentre il mercato sconta due tagli entro la fine dell’anno”.
In tale scenario, “il dollaro australiano si è distinto, raggiungendo un picco di performance contro il dollaro USA grazie all’aspettativa che la Reserve Bank of Australia possa assumere una posizione più incisiva per arginare l’inflazione. Un mercato del lavoro vigoroso e la pressione inflattiva lasciano presagire non solo l’assenza di tagli imminenti ma l’orientamento verso una politica di rialzi dei tassi”.
Europa, segnali incoraggianti
Ultimo ma non meno importante, assistiamo a “un’incoraggiante ripresa economica in Europa, con le economie dell’Eurozona e del Regno Unito che sembrano essersi lasciate alle spalle la fase più critica. Questo dinamismo ha portato sostegno e vigore a euro e sterlina, le quali hanno recuperato terreno nei confronti del dollaro negli ultimi tempi. Come sempre, è fondamentale monitorare incessantemente il panorama dei mercati finanziari poiché gli scenari possono evolversi rapidamente”.
A completamento dell’analisi sui mercati finanziari e valutari, “emergono sviluppi rilevanti riguardanti alcune delle valute fondamentali e alcune meno centrali nel contesto globale”.
Yen giapponese e corona svedese protagonisti
Il marasma che ha afflitto i mercati il mese scorso ha visto lo yen giapponese e la corona svedese come “i protagonisti meno lusinghieri. Quest’ultima, in particolar modo, ha subito il contraccolpo di un’economia che procede a passo rallentato e di un atteggiamento ultra-cauto adottato dalla Riksbank, la banca centrale di Svezia. Le indicazioni di un possibile taglio dei tassi nella prossima riunione di maggio hanno avuto un impatto tangibile sulla posizione della corona, addirittura mandandola al suo livello più basso dallo scorso novembre contro eur”o.
Focus sui mercati emergenti
Spostando lo sguardo ai mercati emergenti, il peso cileno ha sfoggiato una performance notevolmente più positiva il mese scorso, guadagnando terreno fino a posizionarsi intorno al livello di 929 contro il dollaro USA e tornando sotto 1000 contro l’euro.livello che non si vedevano da fine gennaio. Fattori come il costante prezzo elevato del rame e un contesto macroeconomico cileno generalmente positivo hanno certamente contribuito a questo rafforzamento.
Bce verso la sforbiciata
In termini di politiche monetarie, abbiamo assistito ad un’apertura della Bce ad un primo taglio dei tassi a partire da giugno. La Presidente Christine Lagarde ha percepito una maggiore tranquillità in un ambiente meno teso, mentre l’inflazione, seppur mitigata, continua a richiedere attenzione.
Per quanto riguarda la Banca del Giappone, ad aprile i tassi sono stati mantenuti invariati dopo il rialzo del mese precedente. Di contro – si legge ancora nell’analisi – l’inerzia nell’ultima riunione ha causato un calo dello yen giapponese, portandolo vicino ai livelli minimi degli ultimi 30 anni. Sembra che la banca centrale sia intervenuta per rafforzare lo yen, l’iniziativa ha riportato USD/JPY sotto 153, ma come manovre simili fatte in passato da altre banche centrali anche questa non convince i mercati, infatti il cambio è tornato nel giro di pochi giorni in area 156.
Incognita inflazione
I mercati “restano in trepidante attesa per qualsiasi segno che possa fornire indicazioni sulla direzione futura dei tassi d’interesse da parte delle maggiori economie mondiali. In aggiunta, la situazione dell’inflazione rimane al centro di tutte le attenzioni, poiché il percorso verso la disinflazione non sembra ancora del tutto spianato. Stati Uniti e Area Euro mostrano segnali di un’inflazione che, sebbene lontano dai picchi, non dà segni di arrendersi facilmente”.
I dati sull’attività economica e sulle prospettive di crescita sono altresì cruciali. Nonostante le tensioni inflattive e la stretta monetaria, le economie sembrano dimostrare una resistenza maggiore del previsto. In questo contesto, gli indicatori PMI sia in Eurozona sia nel Regno Unito riflettono un “ottimismo moderato, suggerendo un’espansione dell’attività economica. Sorprendentemente, una convergenza dei dati tra Stati Uniti ed altre aree economiche principali potrebbe rafforzare le posizioni di euro e sterlina nei confronti del dollaro”.