Senza dubbio nel novero delle personalità più complesse e ammirate del Novecento trova spazio il nome di Albert Camus. Scrittore, filosofo, drammaturgo, saggista, giornalista e attivista politico. Tante anime differenti e al tempo stesso unite, che hanno riversato in svariati testi i pensieri di una mente assediata da costanti turbamenti, resasi specchio universale.
La sua carriera raggiunge il successo nel 1942, in seguito alla pubblicazione del suo primo grande capolavoro, Lo Straniero. Di grande rilevanza per l’espressione del suo pensiero è anche il saggio Il mito di Sisifo, a sua volta precedente al trionfo di pubblico. Gli bastano meno di vent’anni per raggiungere la vetta del mondo, ricevendo l’onore del premio Nobel per la letteratura, consegnatogli tre anni prima della sua prematura morte.
La sua filosofia risente chiaramente della corrente esistenzialista, che viene però modificata nell’elaborazione personale che ne fa l’autore. La prospettiva è totalmente nuova e così l’uomo viene posto al centro di qualsiasi riflessione. L’obiettivo è quello di analizzarne principalmente i suoi comportamenti contradditori. Albert Camus si sofferma sugli stati d’animo che determinano, spesso nella loro assurdità, il rapporto con il mondo esterno.
Il mito di Sisifo
Una frase esemplificativa della riflessione sulla vita condotta da Camus è presente ne Il mito di Sisifo: “Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta”. Pubblicato nel 1942, questo testo è a metà strada tra il saggio filosofico e la critica letteraria.
Nelle sue pagine si analizza il rapporto tra l’uomo e la realtà. Nello specifico si tenta di capire come l’uomo reagisca dinanzi alla consapevolezza di vivere in un mondo totalmente assurdo e privo di un senso logico.
Il riferimento a Sisifo ci riporta al mito greco, quindi all’immagine di un uomo condannato a far rotolare eternamente un macigno su una collina. Una volta giunto in cima, il macigno rotola nuovamente verso il basso. La costante delusione è la caratteristica chiave della vita dell’uomo descritto da Camus. Un essere confinato in un perenne stato di umiliazione e impotenza, che scopre come tutte le sue azioni siano, in ultima analisi, inutili. È per questo costretto a imparare a coabitare con l’assurdo. Comprendere ciò vuol dire essere realmente liberi da una vita di dolori. Al tempo stesso, però, ci si ritrova dinanzi al quesito iniziale: questa viva val la pena d’essere vissuta?
Lo straniero
Nel 1942, a soli 30 anni, Albert Camus vede pubblicato uno dei suoi testi più famosi e rilevanti, Lo straniero. In Italia questo titolo è decisamente noto, considerando come nel 1967 Marcello Mastroianni sia stato protagonista del film a esso ispirato, diretto da Luchino Visconti.
Al centro della trama vi è un impiegato di Algeri decisamente modesto, nel quale in tantissimi non hanno fatto fatica a immedesimarsi. Un giorno, in maniera del tutto inspiegabile, si macchia di omicidio. Uccide un arabo dopo una discussione. A tale azione indegna segue un processo e la conseguente condanna a morte. Il protagonista, Meursault, non fa però nulla per difendersi. Resta quasi inanimato, senza proferire parola di difesa o pentimento. Non confessa neanche, per ciò che possa valere, andando soltanto incontro al proprio destino.
Un tipo di eroe dell’assurdo, ben delineato da Camus ne Il mito di Sisifo. Un uomo che non si sforza di contrastare la realtà, accettandola per quella che è, ovvero arrendendosi al suo essere incomprensibile. Quella sua rabbia lo ha di colpo liberato dalla speranza e dal male. Si è di colpo ritrovato in sintonia con il mondo indifferente nel quale ha sempre vissuto, finalmente simile a lui e fraterno in questo.