Le elezioni per il Parlamento Europeo tenute a inizio giugno hanno portato un nuovo fattore di attenzione sui mercati finanziari. L’annuncio da parte del presidente francese Macron di sciogliere il parlamento e indire elezioni anticipate dopo la cocente sconfitta elettorale a favore della destra guidata da Marine Le Pen, ha causato tensioni sugli attivi europei, a partire dagli spread sovrani. Il differenziale tra titoli francesi e Bund tedeschi a 10 anni è quasi raddoppiato, passando da poco più di 45 punti base a oltre 80 nel giro di poche sedute.
Lo scrive Filippo Casagrande, chief investment steering & sustainability officer, Generali Investments in una lunga analisi nella quale spiega che “si tratta del movimento più violento dalla crisi del debito sovrano nella primavera 2012, poco prima del famoso “Whatever it takes” da parte dell’allora presidente BCE, Mario Draghi”.
Anche il listino azionario francese “ha subito un contraccolpo, in particolare le banche, con i principali istituti in calo di oltre il 10% in una settimana. Le tensioni sullo spread governativo francese hanno, ovviamente, impattato anche altri spread di mercato. Il differenziale BTP-Bund a 10 anni è risalito da 130 fino a 160 punti base, il valore più alto da febbraio 2024, prima di ritracciare sotto i 150 punti base. Anche gli spread del credito si sono allargati, salendo di 15 punti base per l’indice Investment Grade e di 40 punti base per il settore High Yield.
In entrambi i casi, si partiva però dai livelli più bassi da inizio 2022 dove In termini di mercato azionario, l’indice MSCI EMU ha decisamente sottoperformato, con un calo nell’ordine del 3% (cali del 6% per l’indice francese Cac40 e del 5% per l’indice italiano FTSE MIB)”.
L’impatto degli eventi politici post-elezioni EU “si è inserito in un contesto nel complesso positivo per i mercati. Dati di inflazione sotto le attese negli Stati Uniti hanno portato ad un deciso calo dei tassi Treasury (in area 4,2% rispetto al picco del 4,7% a fine aprile), cosa che ha favorito un nuovo rally degli indici azionari americani. Naturalmente non è possibile ignorare i segnali positivi della reporting season americana, con nuovi risultati ben sopra le attese per Nvidia, la regina di mercato, la cui capitalizzazione ha superato i 3000 miliardi, superando così Microsoft e Apple”, prosegue Casagrande.
In Europa, il contesto di crescita “sembra migliorare e la BCE ha effettuato l’atteso primo taglio dei tassi di politica monetaria nel meeting di inizio mese. Al tempo stesso, la riaccelerazione dell’inflazione registrata nell’Eurozona a maggio e la mancanza di un chiaro impegno da parte della BCE circa successivi tagli dei tassi quest’anno avevano spinto i tassi al rialzo, con il Bund decennale arrivato in area 2,70%, prima di correggere sotto il 2,4% in un movimento di flight-to-quality dopo l’annuncio del presidente Macron.
Guardando in avanti, le prossime settimane saranno caratterizzate dall’attesa del voto francese, sicuramente l’evento più importante nel breve termine.
È quindi lecito aspettarsi che spread e azionario europeo saranno guidati dai sondaggi sul voto in Francia. Guardando agli Stati Uniti, l’attenzione sarà come sempre rivolta sui dati sul mercato del lavoro e sull’inflazione, in attesa di capire la possibilità e il timing di un primo taglio della Fed nella seconda metà dell’anno”.
Segnali contrastanti dal mercato lavoro USA
Guardando i dati sulla crescita, gli ultimi dati mostrano un progressivo miglioramento in Europa, pur partendo da livelli generalmente bassi. Le stime di crescita del PIL reale nell’Eurozona per il 2024 e 2025 sono state riviste al rialzo, passando dal +0,5% al +0,7% per il 2024 e dal +1,3% al +1,4% nel 2025.
Sono positive le dinamiche dell’indice PMI Composito, in area 52,2 a maggio, in accelerazione rispetto al 51,7 di aprile e ai massimi da maggio 2023. Sorprendono in positivo in particolare i dati tedeschi, con l’indice PMI Composite e l’indice IFO Expectations ai massimi dalla primavera 2023. Delude, invece, la Francia, con l’indice PMI in discesa a 48,9 a maggio, guidato dalla debolezza dei servizi.
Per quanto riguarda l’economia statunitense, si osserva un certo indebolimento (da livelli elevati) dell’attività economica. L’indice delle sorprese macroeconomiche è scivolato in territorio negativo in maggio e non ha recuperato in giugno. Questo deterioramento non è però presente nelle stime di crescita degli analisti, che hanno perfino aumentato le loro stime per il 2024 (da +2,2% a +2,4%) e il 2025 (da +1,7% a +1,8%).
Migliorano i dati in Europa
I dati più interessanti negli Stati Uniti “vengono dal mercato del lavoro. Qui siamo di fronte a segnali fortemente contrastanti a seconda dei diversi report analizzati. I dati sui nonfarm payroll rilasciati a inizio giugno mostrano, infatti, la creazione di 272mila posti di lavoro, ben al di sopra delle stime ferme a quota 180mila. Al contrario, il report Household Survey, pubblicato lo stesso giorno, mostra la perdita di 408mila posti nello stesso periodo. Dato che il tasso di disoccupazione è calcolato su quest’ultima indagine, quello che vediamo è un aumento dello stesso al 4,0%, il valore più alto da inizio 2022 e in rialzo 6 decimali dai minimi raggiunti l’anno scorso. Lo stesso report mostra un progressivo deterioramento della qualità dei posti di lavoro, con gli occupati part-time che rimpiazzano gli occupati a tempo pieno.
C’è un grande dibattito sulla divergenza tra le due principali indagini sul mercato del lavoro. Una delle spiegazioni più comuni è quella di considerare i dati sui nonfarm payroll “gonfiati” dall’impatto dell’occupazione degli immigrati, cresciuti in misura marcata durante gli anni di Presidenza Biden. Lo stesso presidente della Fed, Jerome Powell, ha aperto alla possibilità che questi dati siano sovrastimati, e che l’effettiva salute del mercato del lavoro USA sia meno brillante di quanto appaia”.
Quello che è certo è “che ci sono segnali di rallentamento dell’economia USA, ma non tali da destare preoccupazioni circa una recessione. Rimane, infatti, marcato il contributo della spesa governativa alla crescita, e con le elezioni di novembre in avvicinamento, è improbabile pensare a politiche fiscali restrittive implementato da qui a fine anno”.
Riaccelerano i dati di inflazione in Eurozona
Sul lato inflazione gli ultimi dati mostrano una “riaccelerazione in Europa e un rallentamento negli Stati Uniti. Come avevamo anticipato negli scorsi webinar, questo è per lo più spiegato dal ritardo temporale tra le due regioni, con l’Eurozona che sta cominciando a subire il venir meno dell’effetto base favorevole dei prezzi dell’energia dei mesi passati.
Al netto di questo, va però sottolineato come i trend sottostanti non siano cambiati in maniera significativa: vi è un lento calo dell’inflazione sottostante, ma arrivare all’obiettivo del 2% con una disoccupazione ancora bassa rimane un’impresa tutt’altro che semplice”.
Guardando ai numeri, negli Stati Uniti, “l’inflazione core è scesa al +3,4% anno/anno a maggio, il livello più basso da aprile 2021. L’inflazione complessiva si assesta al +3,3%, il lieve riduzione rispetto ai due mesi precedenti, ma sempre sopra il 3,0% toccato a giugno 2023. Nell’Eurozona, l’inflazione core accelera al +2,9% a maggio dal precedente +2,7%, mentre l’inflazione complessiva risale dal 2,4% al 2,6%”.
Rallentano negli USA
Per quanto riguarda le stime degli analisti, in Eurozona “non si registrano cambiamenti significativi, con una previsione del +2,4% medio nel 2024 e del +2,1% nel 2025. Per gli Stati Uniti, le stime di inflazione complessiva per il 2024 sono, invece, risalite al +3,2% dal +3,2% di fine primo trimestre, in ragione dei dati sopra le attese avuti ad inizio del secondo trimestre. Per il 2025, l’inflazione è prevista rallentare al +2,4%.
Guardando alla seconda metà del 2024, a nostro avviso la situazione non è granché cambiata rispetto ai mesi precedenti. Da un lato, il venire meno dell’effetto base favorevole sui beni energetici può portare pressione al rialzo sull’inflazione complessiva: in questo processo l’Europa è più indietro rispetto agli Stati Uniti e quindi qualche sorpresa negativa potrebbe arrivare proprio nel vecchio continente”.
Per quanto concerne l’inflazione core, e in particolare l’inflazione dei servizi, quello che vediamo è un calo molto graduale, che però appare insufficiente per riportare l’inflazione stabilmente attorno all’obiettivo del 2%. Ribadiamo ancora una volta il forte legame tra inflazione dei servizi, dinamiche salariali e livelli di disoccupazione. Con quest’ultima a livelli molto contenuti, sia negli USA sia nell’Eurozona, è difficile vedere un calo significativo dell’inflazione sottostante. Ovviamente questo ha implicazioni importanti per la politica monetaria, in quanto una mancata convergenza dell’inflazione core verso il target rischia di ritardare e/o ridurre l’entità dei tagli da parte di Fed e BCE.
Banche centrali: il punto
Guardando alle banche centrali, come largamente atteso è arrivato a giugno il primo taglio della BCE. La presidente Lagarde ha annunciato la riduzione di 25 punti base dei tassi di politica monetaria, portando il tasso di rifinanziamento principale al 4,25% e il tasso sui depositi al 3,75%. Nella conferenza stampa, però, la presidente Lagarde non ha voluto dare una guidance chiara sui prossimi tagli, che dipenderanno dai progressi dell’inflazione nel convergere verso il target del 2%. Come detto, infatti, anche nell’Eurozona appare più chiara la persistenza dell’inflazione core e della difficoltà di compiere l’ultimo miglio nel processo di riduzione della crescita dei prezzi nell’area. Il mercato al momento stima 43 punti base di tagli da qui a fine 2024, con un secondo taglio possibile tra settembre e ottobre, e un terzo taglio tra dicembre e gennaio 2025.
Riflettori sulla FED
Per quanto riguarda la Fed, nel meeting di giugno i tassi sono rimasti fermi al 5,25%-5,50%, come largamente atteso dagli analisti. Le previsioni dei membri del FOMC vedono fino a 2 tagli da qui a fine anno, pressoché in linea con quelle che sono le stime di mercato in questo momento (che vedono 48 punti base di riduzione, quindi due tagli da 25 punti base).
Mentre il timing del primo taglio della Fed rimane incerto, va registrata la prima operazione di allentamento monetario da parte negli USA. La Fed ha, infatti, ridotto il ritmo di run-off dei Treasury detenuti nel bilancio, prevendo adesso un tetto di US$ 25 miliardi di scadenze al mese rispetto ai 60 precedenti (il tetto per i Mortgage Backed Securities rimane a US$ 35 miliardi al mese).
Questo si traduce in un ritmo più lento di Quantitative Tightening, ossia una riduzione più lenta del bilancio della Fed e, soprattutto, della liquidità in eccesso, fattore molto importante per il mercato azionario e gli attivi rischiosi in generale. La riduzione del Quantitative Tightening di fatto riduce un rischio al ribasso (riduzione della liquidità) per i mercati.
I mercati finanziari e le prospettive
Come anticipato ad inizio intervento, le dinamiche sui mercati finanziari si sono differenziate tra Stati Uniti ed Eurozona nell’ultimo mese, con performance positive negli USA (sia per bond sia per azioni) e un andamento meno favorevole nell’Unione.
Per quanto concerne i tassi core, abbiamo visto un deciso restringimento del differenziale tra Treasury e Bund, e in generale un calo di entrambi, in area 4,20-4,25% e 2,4% rispettivamente. Nel brevissimo termine, questi livelli si collocano nella parte bassa del range degli ultimi mesi e suggeriscono un approccio più bilanciato alla duration nel brevissimo. Va però detto che nel medio termine permangono i fattori a supporto di questa classe di attivi.
Il carry interessante, il livello elevato dei tassi reali e il contesto macroeconomico (crescita USA meno brillante, inflazione core in calo, seppur lento) proteggono da uno scenario di ritorni particolarmente negativi e lasciano aperta la possibilità di ritorni sopra la media in caso di un deterioramento più marcato del quadro macroeconomico (seppur oggi non previsto). Per quanto concerne i prodotti a spread, le tensioni legate alle imminenti elezioni francesi possono presentare opportunità di ingresso / aumento delle strategie di carry in Eurozona.
Sul lato governativo, i titoli italiani possono rappresentare una buona opportunità in caso di ulteriore allargamento dello spread BTP-Bund.
Sui titoli francesi, per contro, manteniamo una certa prudenza, in quanto il contesto governativo risulterà, con ogni probabilità meno favorevole rispetto a quello pre-elezioni. Sul lato credito, unire strategie a bassa duration e spread interessanti (inclusi titoli selezionati nel comparto High Yield) rimane l’approccio vincente.
Guardando al lato azionario, nel breve termine è consigliabile un atteggiamento neutrale, in quanto l’impatto negativo delle elezioni francesi potrebbe non essere ancora esaurito.
Sul lato americano, impressiona la forza del mercato, ma va detto che è sempre un numero più esiguo di emittenti a guidare i guadagni. Da inizio anno, Nvidia da sola spiega circa un terzo dei guadagni dell’intero indice statunitense, con le altre 5 delle Magnifiche 7 (esclusa Tesla) che pesano per un altro 30%. L’elevata concentrazione dei guadagni nasconde una dinamica decisamente meno brillante per la maggioranza dei titoli e questo fenomeno è solitamente visto con apprensione dagli analisti.
Riassumendo:
Per i bond governativi, conferiamo un atteggiamento costruttivo nel medio termine e più tattico nel breve. Consideriamo i range 4,2%-4,5% per il tasso decennale USA e 2,3-2,5% per quello tedesco.
Sui BTP, vanno monitorati eventuali allargamenti degli spread (attualmente poco sotto i 150 punti base) con l’approssimarsi delle elezioni francesi. Data la stabilità del governo italiano e l’impegno sul piano del consolidamento fiscale, la posizione dei BTP sembra più interessante rispetto a quella dei titoli francesi.
Per quanto concerne il credito, i recenti allargamenti degli spread in Europa in ragione delle elezioni francesi possono altresì essere usati come punti di ingresso, specie sui nomi più solidi. Privilegiamo una combinazione di bassa duration e spread attraenti, uniti alla qualità del portafoglio. Sui paesi emergenti si nota una incrementata volatilità, specie in seguito al ciclo elettorale in paesi come Messico, Sudafrica e India, e al recente rafforzamento del dollaro. I bond in valuta locale mostrano rendimenti interessanti, anche in termini reali e continuano a rappresentare un’opportunità di investimento, seppur in un contesto di aumentata volatilità.
Volatilità in aumento
“Ribadiamo, invece, la raccomandazione, già espressa nei mesi precedenti, di un approccio più cauto sulle valute locali, proprio in ragione dell’aumentata volatilità. Infine, sull’azionario l’atteggiamento rimane neutrale. Nel breve termine, riduciamo la preferenza sull’Europa in ragione delle potenziali ulteriori ripercussioni derivanti dalle elezioni francesi. In caso si volesse puntare su una soluzione benevola e un recupero dei listini dopo il voto, “crediamo sia preferibile implementare strategie opzionali”.
Negli Stati Uniti, la riduzione del ritmo di Quantitative Tightening, il calo dei rendimenti dei Treasury e le buone trimestrali delle imprese “sono elementi di supporto per il mercato, ma le valutazioni sono sicuramente elevate. Inoltre, la forte concentrazione dei guadagni nelle Mega Cap (per lo più Tech) statunitensi, è un elemento che richiede ulteriore prudenza, anche nella scelta degli strumenti usati per prendere esposizione al mercato americano”, conclude l’esperto.