Il governo Meloni sembra destinato a pagare dazio sui fronti a lui più cari, o quanto meno identitari: sul dramma migranti è clamorosamente fallito l’accordo con la Tunisia di Saied, e gli sbarchi a Lampedusa sono ripartiti. Il ‘piano Mattei’ sull’hub petrolifero è rimasto poco più che un’idea (e la benzista è stabile a quota 2 euro, toccare le accise è fantascienza). Inoltre abbiamo speso un fiume di denaro pubblico regalato alla ‘odiata’ Bruxelles (circa un miliardo) per non esserci messi in regola con le direttive comunitarie, a partire da quella sulla liberalizzazione delle concessioni balneari. Ora però, come paventato più volte negli ultimi giorni, il vero incubo per l’esecutivo è lo spread legato al rendimento dei BTP, che suggerisce scenari foschi paragonabili, secondo alcuni investitori, a quelli che costarono la caduta al governo Berlusconi nel 2011. Lo stesso ministro dell’Economia Giorgetti non ne ha fatto mistero, gelando i colleghi di governo con una battuta esplicativa.
L’uscita di Giorgetti
La settimana scorsa il ministro Giancarlo Giorgetti durante una riunione con vice e sottosegretari all’Economia a proposito di Nadef, manovra, scenari e dintorni si è rivolto a Maurizio Leo: “Se continuano ad aumentare lo spread e i tassi d’interesse sai come finisce, caro mio? Io torno a vendere le case e tu a fare il commercialista”.
A riportarla è un articolo di Simone Canettieri per “il Foglio”, in cui si sottolinea la risolutezza di Giorgetti nel prepararsi a fare tagli da 2 miliardi che non hanno voluto fare i singoli ministeri ma soprattutto la fragilità del governo rispetto agli attacchi interni. Una semplice battuta, nello stile dissacratorio tipico di Giorgetti, ma che lascia intravvedere bene quali siano i rischi per il governo in autunno.
Il problema spread e banche
Il clima di assedio dei mercati va a braccetto con le perplessità della struttura dirigenziale, poi c’è il mondo bancario con cui i rapporti si sono guastati non poco col balletto sulla tassa agli extra-profitti. Così come non piace idea che avrebbe il governo per far fronte ai crediti deteriorati e infine sulle norme parlamentari in discussione a proposito dei cda degli istituti di credito.
La spada di damocle del rating
E poi c’è il prossimo rating sul debito italiano, che è forse il maggiore timore del governo vista l’aria che tira sui mercati. Un downgrade dei nostri titoli a ‘spazzatur’ rischierebbe davvero di imporci interessi tali sul debito da mandare all’aria il sistema. La data da circoletto rosso è il 17 novembre. In piena legge di stabilità, Moody’s deciderà sull’affidabilità dell’Italia. Se dovesse scegliere la strada del downgrading, cioè del declassamento dell’affidabilità del Paese, si passerebbe dal livello di “investment grade” a quello dello “speculative grade”. E si rischierebbe un nuovo 2011.