Spread a 200: cresce l’indice della “paura” sul governo Meloni

Il differenziale con il Bund incorpora una situazione più tesa di bilancio e le divisioni all'interno dlela maggioranza

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Redazione

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Torna l’incubo dello Spread, il termometro della paura dei mercati verso un debito che continua a crescere e politiche fiscali incentrate su un aumento del deficit. Ne fa le spese l’Italia, uno dei Paesi con il più alto debito pubblico in Europa, scontando le previsioni formulate nella Nadef approvata questa settimana. Sembra di aver fatto un salto indietro di 12 anni a quel lontano 2011, quando il governo Berlusconi fu costretto a dimettersi dalla continua crescita del differenziale fra il BTP del il Bund. Un evento tornato alla mente già la scorsa primavera.

Lo Spread vola a 200 punti

Il rendimento del BTP a 10 anni è lievitati sono al 4,96% e quello del  “più sicuro” Bund tedesco sino al 2,97%, con un allargamento dello Spread a 199 punti. A questi livelli, il differenziale risulta ai massimi da aprile 2022 e si confronta con i circa 150 punti di inizio estate (metà giugno), dopo esser salito, solo nell’ultimo mese, di circa 30 punti.

Per il sottosegretario all’Economia Federico Freni, 200 punti di Spread “non è affatto un tasso preoccupante”. “Il livello dei tassi attuali con il tasso su Btp decennale a 4,8 crea sicuramente un peso per le finanze pubbliche in termini di spesa per interessi” – ammette – ma “non siamo nel 2011, non c’è assolutamente il rischio reazioni dei mercati, anche perché l’Italia è considerato oggi un paese molto più affidabile di quanto non lo fosse considerato In altri tempi”.

Malumore per la Nadef

L’aumento dello Spread sta generalmente ad indicare un aumento del maggior rischio Paese percepito dal mercato. E infatti, questa settimana il CdM ha approvato la Nadef, che formula stime peggiorative di crescita dell’economia italiana e indica un aumento del deficit sino al 4,3%.

Un allargamento che gli operatori non vedono di buon occhio per un Paese che ha un debito pubblico alle stelle, in vista anche del rinnovo del patto di stabilità attualmente in discussione in UE.

Un Ponte che divide

A peggiorare le cose si è inserita la polemica sul Ponte di Messina, con il Ministro dei Trasporti Matteo Salvini che tira dritto, nonostante non ci siano risorse sufficienti a realizzare l’opera.

“Non sono sereno, di più, sono assolutamente soddisfatto di quello che abbiamo pianificato in questi 11 mesi”, ha detto il vicepremier, aggiungendo “il finanziamento del ponte ci sarà, l’obiettivo è che il primo treno attraversi lo stretto nel 2032. Non sarà tutto nella legge di bilancio 2023, abbiamo altri quattro anni”.

“Il ponte è una spesa d’investimento e quindi penso possa essere una posta di bilancio che riguarda un programma pluriennale. Nel 2024 bisogna vedere se saremo già agli appalti”, aveva detto intanto il capogruppo alla Camera di FdI Tommaso Foti.

Su tutti incombe la BCE

In realtà, sono cresciuti negli ultimi giorni i rendimenti di tutti i titoli di Stato Europei, dal Bund all’OAT francese che rende il 3,40%, senza tralasciare i Bonos spagnoli che evidenziano un rendimento del 3,94%.

Ad innescare la crescita dei rendimenti dei titoli di stato europei concorre la politica monetaria della BCE, che si conferma restrittiva ad oltranza, di riflesso ad un’inflazione che rimane elevata. Un trend acuito anche dall’ascesa dei prezzi dell’energia.

Il prezzo del gas naturale da qualche giorno ha ripreso la sua corsa, in vista dell’inverno e dl riflesso al prolungarsi delle operazioni di manutenzione in Norvegia e degli scioperi in Australia. Il prezzo è lievitato a 42,47 euro per Mwh, ia dispetto dell’alto livello di stoccaggi che hanno già superato il 95%.

Stessa situazione per il petrolio che, a causa della politica dell’Opec Plus, resta vicinissimo ai 100 dollari al barile: oggi il Brent scambia  a 93,97 USD/b ed il Light crude a 92,95 dollari.