Mutti contro la Cina, chiesto dazio del 60% sul pomodoro

Mutti lancia un appello: la concorrenza cinese minaccia il futuro del pomodoro italiano e il lavoro degli agricoltori

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Pubblicato: 25 Ottobre 2024 17:12

Francesco Mutti, amministratore delegato dell’omonima azienda italiana, ha lanciato un appello all’Unione Europea per difendere la “dignità” del pomodoro italiano. Secondo Mutti, infatti, questa sarebbe minacciata dalla concorrenza cinese. Per farlo, è stato proposto di introdurre dazi o blocchi sulle importazioni di concentrato di pomodoro proveniente dalla Cina per salvaguardare gli agricoltori e garantire la competitività del settore italiano.

Mutti inizia una battaglia per proteggere il pomodoro italiano

In un’intervista, Mutti ha esposto il suo punto di vista su quella che definisce una “concorrenza sleale” da parte della Cina, in particolare per i prodotti provenienti dalla regione dello Xinjiang. Il concentrato di pomodoro cinese, sostiene Mutti, arriva sul mercato europeo con costi ridotti, grazie alle sovvenzioni statali e a normative ambientali poco, soprattutto se confrontate a quelle italiane.

Secondo Mutti, per mantenere la competitività del prodotto italiano è necessario introdurre un dazio del 60% sui prodotti cinesi, o in alternativa, bloccarne completamente le importazioni, seguendo l’esempio degli Stati Uniti, che nel 2021 hanno imposto restrizioni alle importazioni dallo Xinjiang per motivi legati ai diritti umani. Le autorità cinesi respinsero le accuse, ma diversi report internazionali continuano a denunciare violazioni dei diritti della minoranza degli Uiguri, compreso l’uso di lavoro forzato.

“Dovremmo bloccare l’importazione di concentrato di pomodoro dalla Cina o applicare una tassa del 60% su di esso,” ha dichiarato Mutti, puntando l’attenzione sul costo inferiore dei prodotti cinesi. Una realtà che però rischia di mettere seriamente in difficoltà gli agricoltori italiani.

Cosa significa “rischio per gli agricoltori”

Un altro tema sollevato da Mutti riguarda il cosiddetto dumping ambientale: mentre gli agricoltori italiani sono obbligati a rispettare stringenti normative in tema di sostenibilità, la produzione cinese non è sottoposta a simili regole. Questo creerebbe una “competizione impari e non sostenibile”, che rende difficile per il pomodoro italiano competere a parità di prezzo con il prodotto cinese.

Mutti sottolinea come questa disparità di regolamentazione potrebbe portare a conseguenze gravi per il settore agricolo italiano, con molti produttori che potrebbero essere spinti a delocalizzare le proprie attività in Paesi con regole meno rigide. Il risultato sarebbe una perdita non solo economica, ma anche ambientale, dal momento che la sostenibilità ambientale non è tutelata allo stesso modo in altre aree produttive.

Coldiretti, la principale associazione degli agricoltori italiani, ha supportato la posizione dell’azienda, manifestando la propria preoccupazione per le importazioni di concentrato cinese, che arrivano a prezzi dimezzati rispetto al prodotto italiano. Anche per Coldiretti l’importazione penalizza il lavoro degli agricoltori italiani, creando un contesto di concorrenza non equa.

Proposti dazi fino al 60%

Con il crescente ruolo della Cina nella produzione mondiale di pomodori, che ha raggiunto circa il 23% del totale globale, Mutti considera l’imposizione di dazi una misura necessaria per proteggere l’industria agricola nazionale.

Un intervento simile a quello statunitense, che già vieta le importazioni dallo Xinjiang, potrebbe rappresentare una tutela importante per i lavoratori e l’economia agricola italiana.

In assenza di provvedimenti, l’Italia rischia di perdere competitività a favore di una produzione massiccia e sovvenzionata, che potrebbe avere impatti a lungo termine sull’intero settore. Il tema è sempre lo stesso: la produzione cinese è di più e costa meno e crea concorrenza sleale, proprio come nel caso delle auto elettriche.