L’Istat rivede al rialzo il PIL: piccola luce ma consumi ristagnano

La crescita dell'Italia è stata rivista a +0,1% dalla stima di una variazione nulla segnalata a ottobre

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Redazione

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Arrivano ottime notizie dall’Istat: il PIL italiano è stato rivisto al rialzo rispetto alla stima preliminare e segna ora una crescita dello 0,1% sia rispetto al trimestre precedente sia rispetto allo stesso trimestre del 2022. Tale variazione rappresenta una revisione al rialzo rispetto alla stima preliminare diffusa a fine ottobre, quando il tasso di crescita era risultato nullo in termini sia congiunturali, sia tendenziali.

I numeri dell’Istat

L’Istituto di statistica ha anche confermato che, in seguito all’aumento registrato nel terzo trimestre, la variazione acquisita per il 2023 si conferma a +0,7%, uguale a quella stimata il 31 ottobre 2023.

Rispetto al trimestre precedente, tra i principali aggregati della domanda interna risultano in crescita i consumi finali nazionali in misura pari allo 0,6%, mentre gli investimenti si riducono dello 0,1%. Le importazioni sono diminuite del 2% e le esportazioni sono aumentate dello 0,6%.

La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito per +0,4 punti percentuali alla crescita del Pil: +0,4 i consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private, mentre è risultato nullo il contributo sia degli investimenti fissi lordi, sia della spesa delle Amministrazioni Pubbliche (PA). La variazione delle scorte ha contribuito negativamente alla variazione del Pil per 1,3 punti percentuali, mentre il contributo della domanda estera netta è risultato pari ad un punto percentuale.

Andamento  negativo del valore aggiunto nell’agricoltura, silvicoltura e pesca (-1,2%) e andamento positivo sia nell’industria (+0,3%) sia nei servizi (+0,1%).

Positivi gli andamenti di posizioni lavorative, unità di lavoro e ore lavorate, cresciuti rispettivamente dello 0,1%, 0,2% e 0,4%, così come i redditi pro-capite, cresciuti dell’1,1%.

Consumatori tirano un sospiro: salvi dalla recessione

“Salvi dalla recessione, anche se per un soffio!”, esclama Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, rimarcando “certo non si può dire che il dato sia entusiasmante o che l’Italia sia la locomotiva d’Europa solo perché va appena meglio di chi sta peggio come la Germania. Sarebbe una magra consolazione. Il Paese arranca e naviga a vista”.

Per l’UNC “non sono consolanti nemmeno i dati della spesa delle famiglie, che se è vero che salgono dello 0,7% sul secondo trimestre, quando la variazione congiunturale era stata nulla, ma diminuiscono dello 0,2% rispetto allo scorso anno”. “Quello che servirebbe – si sottolinea – è una manovra coraggiosa, che metta in campo risorse ingenti per ridare capacità di spesa alle famiglie”.

Anche le imprese sono preoccupate per i consumi

“La revisione al rialzo da parte di Istat delle stime di crescita del Pil per il III trimestre, sebbene minima, è senz’altro una buona notizia.  – nota Confesercenti – Ma continua a preoccupare la dinamica dei consumi delle famiglie italiane: quest’estate, pur registrando un aumento rispetto al periodo primaverile, sono diminuiti dello 0,2% rispetto alla stessa stagione 2022, per una flessione di circa 535 milioni di euro in meno anno su anno”.

“L’auspicio è che il calo dell’inflazione, e il conseguente progressivo recupero del potere d’acquisto dei redditi, possano riportare velocemente i consumi su un trend positivo. A patto, però, che le famiglie mantengano l’attuale propensione di spesa, particolarmente elevata nella prospettiva storica”, afferma Confesercenti, aggiungendo “nella manovra di bilancio ci sono provvedimenti che vanno nella giusta direzione dando un po’ di respiro alle famiglie e dunque sostegno ai consumi, in particolare per quel che riguarda il taglio del cuneo contributivo e la riduzione delle prime aliquote di imposta. Ma nel corso del prossimo anno è necessario accompagnare queste misure ad un alleggerimento più sostanziale del peso del fisco, prestando attenzione anche al fiscal drag, che avviene quando l’aumento nominale dei redditi correlato all’inflazione porta automaticamente all’applicazione di aliquote più elevate e quindi all’incremento del prelievo fiscale”.