Divario Nord-Sud, il Mezzogiorno sta già ricevendo meno: cosa cambia con l’Autonomia

Non è un problema conseguente al Ddl autonomia differenziata, il divario economico tra Nord e Sud esiste, lo conferma l'ultimo report Istat pubblicato il 19 maggio 2024, dove sono emerse disparità significative nelle risorse destinate ai servizi sociali e socio-educativi

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Considerare il divario economico tra Nord e Sud un problema strettamente correlato e conseguente all’approvazione del Ddl autonomia differenziata è forse una conclusione poco attenta e puntuale. Poiché, nel contesto attuale, i dati evidenziano già disparità significative che, anche se non scaturite dalla riforma voluta da Meloni, sicuramente da questa rischiano di essere accentuate.

A confermarlo anche l’ultimo report Istat sulle risorse destinate ai servizi sociali e socio-educativi, pubblicato il 19 giugno 2024, da cui emerge chiaramente come il Mezzogiorno sia già in svantaggio rispetto alle regioni settentrionali.

Vediamo, nel dettaglio cosa ci dicono i dati.

Il Nord sta già ricevendo di più rispetto al Sud

Secondo i dati Istat aggiornati al 2024, nel 2021 la spesa dei Comuni per questi servizi ha raggiunto i 10,3 miliardi di euro, con il Servizio Sanitario Nazionale e i contributi degli utenti che hanno coperto una parte consistente di tali costi. Tuttavia, considerando le cifre al netto delle quote di compartecipazione, l’aumento del 6,7% rispetto all’anno precedente evidenzia una crescita particolarmente marcata al Sud, con incrementi significativi in Calabria (27,6%), Puglia (18,5%) e Basilicata (17,2%). Nonostante questi incrementi positivi, però, il divario regionale rimane notevole.

Nel dettaglio, anche se la spesa dei Comuni, al netto delle integrazioni del SSN e delle quote pagate dagli utenti, è aumentata del 6,7% rispetto al 2020 (4,7% tenendo conto dell’inflazione), con un maggiore incremento al Sud (8,1% in valuta corrente, 6,1% in termini reali), restano comunque ampi differenziali rispetto alle altre aree del Paese.

Al Nord-Est, infatti, si registra la spesa più alta (197 euro pro-capite), quasi tre volte superiore rispetto al Sud (72 euro). Il Nord-Ovest e il Centro (156 e 151 euro pro-capite rispettivamente) sono poco al di sopra della media nazionale (142), le Isole poco al di sotto (134 euro), ma con una notevole differenza fra la Sardegna (ben 279 euro pro-capite) e la Sicilia (86 euro).

A livello regionale i maggiori incrementi di Calabria (27,6%), Puglia (18,5%) e Basilicata (17,2%) non sono sufficienti per modificare sostanzialmente questi divari. La spesa dei Comuni della Calabria, ad esempio (37 euro pro-capite), mantiene una grande distanza rispetto alla media nazionale (142 euro) e soprattutto ai territori che investono più risorse: la Provincia Autonoma di Bolzano si attesta su 592 euro, seguono tre regioni a statuto speciale (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Valle D’Aosta), la Provincia Autonoma di Trento, l’Emilia-Romagna (al di sopra dei 200 euro pro-capite).

Inoltre, per quanto riguarda la disponibilità di risorse per i servizi sociali, i Comuni più grandi del Centro e del Nord sono ben al di sopra del resto del Paese, mentre al Sud spendono meno della media italiana e dei Comuni più piccoli del Nord.

Comuni a confronto, vince sempre il Nord

La disparità nell’erogazione dei servizi socio-assistenziali in Italia emerge anche se si guarda l’integrazione delle offerte gestite dai Comuni, singolarmente o attraverso Enti sovracomunali come gli Ambiti Territoriali Sociali. Infatti, come emerge dal report Istat, che fa un quadro generale di quelli che sono gli interventi delle Amministrazioni Provinciali e Regionali, il Nord del Paese continua a primeggiare.

Le statistiche parlano chiaro: mentre in regioni come la Valle D’Aosta e la Provincia Autonoma di Trento la spesa pro-capite per il welfare locale raggiunge cifre significative (98 euro e 83 euro annui rispettivamente), al Sud la situazione è drasticamente diversa, con una spesa che si attesta a soli 80 euro. Il Nord-Est, con 203 euro pro-capite, emerge come il leader incontrastato in termini di investimenti per il benessere dei suoi cittadini, seguito dal Nord-Ovest (158 euro) e dal centro (152 euro).

Negli ultimi anni, le Leggi di Bilancio (2021 e 2022) hanno tentato di standardizzare l’offerta dei servizi sociali attraverso i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPSi), stabilendo criteri minimi di assistenza in base alla popolazione residente. Tuttavia, nonostante questi sforzi normativi, i divari territoriali rimangono marcati, con il Nord che continua a beneficiare di risorse superiori rispetto al Sud e alle isole.

Dal punto di vista geografico, persino le differenze nell’accesso al servizio sociale sono estremamente marcate. Dal punto di vista territoriale, le variazioni sono molto importanti e non sembrano corrispondere alla distribuzione dei bisogni dei residenti: i fruitori del servizio sociale professionale variano da un minimo di due su 100 abitanti al Sud a un massimo di cinque al Nord-Est (quattro la media nazionale). La spesa corrispondente varia da 4 euro l’anno per abitante al Sud, a 12 euro al Nord-Est (otto euro per abitante la media nazionale).

Servizi destinati a famiglie e minori, spesa minore al Sud

Diversi interventi socio-assistenziali possono contribuire a limitare l’allontanamento dei minori dalla famiglia, come, ad esempio, i contributi economici alle famiglie con figli (comprese le madri sole) e le attività di sostegno alla genitorialità. Tali interventi però sono in netta diminuzione: a livello nazionale le famiglie in difficoltà che hanno ricevuto contributi economici dai Comuni sono passate da circa 145mila nel 2011 a 140mila nel 2021 e i beneficiari del sostegno alla genitorialità sono passati da quasi 73mila a poco più di 54mila.

Ma non solo, la diffusione sul territorio di questi servizi resta comunque limitata e molto disomogenea: i contributi economici per le famiglie sono stati erogati dal 65,5% dei Comuni, quota che sale all’84,1% al Nord-Est e si riduce al 41,1% al Sud. Un po’ meno diffuso e con differenze territoriali sempre rilevanti il sostegno alla genitorialità, offerto dal 58,8% dei Comuni, mentre i centri per le famiglie sono presenti in una minoranza dei Comuni italiani (21,2%), con scarsissima diffusione nelle Isole.

Si tratta di risorse importanti, soprattutto se si pensa che la spesa sociale dei Comuni per le famiglie con figli, al netto delle contribuzioni degli utenti e del Servizio Sanitario Nazionale, ammonta a 3,2 miliardi di euro nel 2021, con un incremento del 9,1% rispetto all’anno precedente. Il 41,3% delle spese sostenute dai Comuni in quest’area di utenza riguarda la gestione dei nidi d’infanzia, comunali o convenzionati e degli altri servizi socio-educativi per i bambini sotto i tre anni, che afferiscono ormai al comparto dell’istruzione. Tutti servizi questi che, di fatto, vengono a mancare o sono garantiti in misura minore al Sud.

Meno risorse al Sud anche per persone con disabilità e anziani

Il quadro non è incoraggiante anche se si volge lo sguardo alle categorie più svantaggiate, come persone con disabilità e anziani. Sebbene infatti l’Istat conferma, nel 2021, un aumento della spesa sociale per queste categorie, dal punto di vista territoriale, le risorse impiegate per i servizi di supporto continuano a essere disomogenee.

La spesa media per una persona anziana residente al Nord-Est è quattro volte più alta rispetto al Sud: 166 e 38 euro rispettivamente, con un campo di variazione che va da ben 1.419 euro nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen a soltanto 18 euro in Calabria. E per le persone con disabilità la situazione non è molto diversa: al Sud la spesa è circa un terzo rispetto al Nord-Ovest e al Nord-Est e circa la metà rispetto al Centro e alla media nazionale.

Al Sud meno interventi per il contrasto alla povertà

Nel 2021 la spesa gestita dai Comuni singoli e associati nell’area della povertà e del disagio degli adulti è stata di 902 milioni di euro. Dopo il forte incremento registrato nel 2020 (+72,9%), a causa dell’emergenza sanitaria e della conseguente crisi sociale ed economica a cui i Comuni hanno dovuto far fronte, nel 2021, la spesa per l’area povertà in valore assoluto ha avuto un parziale ridimensionamento (-5,9%).

Al contempo, non sono diminuite le richieste di supporto da parte di cittadini e famiglie in difficoltà economica: se nel 2020 le persone prese in carico dal servizio sociale professionale per problemi di povertà ed esclusione sociale sono state oltre 500mila (circa 71mila in più rispetto all’anno precedente), nel 2021 sono state oltre 525mila.

Tuttavia, dal punto di vista territoriale, la spesa per il contrasto della povertà riproduce gli stessi divari della spesa sociale complessiva, nonostante si registri una diversa distribuzione del disagio economico: al Sud si ha la più alta percentuale di famiglie in povertà assoluta (oltre il 10% nel 2021) e la minore spesa pro-capite, ovvero 15 euro per un residente fra 18 e 64 anni, contro 25 euro della media nazionale.

In tutte le altre ripartizioni, con percentuali di povertà che variano dal 6% al Centro al 9,2% nelle Isole, la spesa pro-capite si mantiene invece al di sopra della media italiana: 32 euro al Nord-Est, 28 al Nord-Ovest, 27 al Centro e 26 nelle Isole.

Che cosa prevede l’autonomia differenziata? Perché la situazione rischia di peggiorare

Le risorse proprie dei Comuni costituiscono la spina dorsale del finanziamento per i servizi sociali a livello locale, rappresentando il 51,5% delle risorse nette, cui si aggiunge un ulteriore 5,9% proveniente dalle associazioni di Comuni. Questi fondi locali sono finanziati significativamente dai fondi regionali vincolati per le politiche sociali, che coprono il 18,3% della spesa complessiva.

L’introduzione dell’autonomia differenziata, con il trasferimento di competenze chiave alle Regioni, potrebbe influenzare la distribuzione e la gestione di queste risorse. Infatti, se da un lato potrebbe consentire una maggiore flessibilità nell’allocazione delle risorse secondo le esigenze locali specifiche, dall’altro potrebbe anche intensificare le disparità esistenti, specialmente se alcune Regioni non sono in grado di compensare adeguatamente la perdita di fondi centrali con risorse proprie sufficienti.

Questo potrebbe accentuare le differenze nella qualità dei servizi offerti e nella capacità di erogare servizi essenziali come sanità, istruzione, assistenza sociale, con le regioni più ricche in grado di investire maggiormente nei servizi sociali e infrastrutture rispetto alle regioni più povere. Di conseguenza, Il Mezzogiorno potrebbe trovarsi in una posizione più vulnerabile, con minori margini di manovra per affrontare emergenze e rischiando quindi di accumulare ritardi nello sviluppo socio-economico