Il candidato alla presidenza degli Usa Donald Trump ha concesso un’intervista al proprietario del social network X, già Twitter, Elon Musk, durante una diretta su uno degli “space” del sito. Musk è diventato in tempi recenti uno dei principali sostenitori della campagna elettorale dell’ex inquilino della Casa Bianca.
Tra i temi economici più importanti toccati dalla discussione c’è stato il disavanzo commerciale tra Ue e Usa, che vede gli Stati Uniti importare molti più beni di quanti ne esporti all’interno dell’Unione europea. Si tratta di un tema molto caro a Trump, ma da tempo l’America ha abbandonato la sua vocazione di Paese esportatore.
L’intervista di Trump a Elon Musk e i commenti sulla bilancia commerciale
Il candidato del Partito Repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti Donald Trump ha rilasciato un’intervista a Elon Musk, imprenditore sudafricano naturalizzato statunitense, proprietario di Tesla, SpaceX e anche della piattaforma su cui la conversazione ha avuto luogo, X, il social network in precedenza conosciuto come Twitter.
L’intervista, annunciata da alcuni giorni, si è tenuta in un “space” dedicato, un spazio virtuale dove gli utenti possono conversare. Musk e Trump hanno parlato principalmente di politica interna e di vari punti della campagna elettorale del candidato repubblicano, di cui l’imprenditore è diventato recentemente un grande sostenitore.
La discussione però si è poi spostata sull’estero, in particolare sull’Unione europea. Trump ha rispolverato un vecchio cavallo di battaglia della sua campagna elettorale del 2016, lo squilibrio commerciale tra l’Ue e gli Usa. Nel 2023 gli Stati Uniti hanno importato circa 156 miliardi di dollari in beni e servizi in più dall’Ue, rispetto a quanto l’Unione europea ne abbia importati dagli Usa.
Nonostante Trump avesse promesso di ridurre questo disavanzo commerciale, durante il suo mandato, dal 2016 al 2020, il dato ha continuato a salire raggiungendo il picco nel 2021. Solo con la presidenza Biden il disavanzo commerciale ha iniziato a scendere. Nonostante questo però, non è sicuro che agli Usa convenga rinunciare alle importazioni europee.
Perché una bilancia commerciale negativa non è sempre un male per l’economia
Essendo un Paese esportatore, l’Italia ha fin dagli anni della crisi della lira dato molta importanza alla bilancia commerciale. Un attivo significava, ai tempi, un’entrata di valuta forte in avanzo sul valore della valuta debole, la lira appunto, che usciva. Questo garantiva maggiore stabilità alla moneta, ma a lungo andare ha anche reso il nostro Paese molto dipendente dalle esportazioni e quindi dalle dinamiche geopolitiche e commerciali.
Gli Usa hanno fatto invece il percorso inverso. Tramite uno sviluppo del settore dei servizi, in particolare della tecnologia, e una deindustrializzazione a tratti anche esacerbata, hanno rinunciato a una bilancia commerciale positiva. Essendo emettitori della valuta di riferimento mondiale, il dollaro, questo non ha però portato svantaggi evidenti, almeno a livello monetario. Al contrario ha permesso lo sviluppo di una forte domanda interna, che sostiene una crescita tornata molto forte dopo la pandemia e un aumento dei salari, che oggi in media sono doppi rispetto a quelli italiani.
Le importazioni dall’Unione europea hanno quindi permesso una maggiore circolazione di dollari, rafforzando il ruolo della valuta americana nel commercio mondiale. Hanno risposto alla domanda crescente di beni sia a livello di consumo che di domanda industriale. Infine, hanno legato le economie europee a quella statunitense, rafforzando i legami con alleati storici a livello geopolitico.
Ad oggi, L’Europa esporta negli Stati Uniti soprattutto prodotti legati al mondo della medicina. Si tratta sia di apparecchiature mediche che di farmaci, di cui l’Ue è grande ideatrice e produttrice. Un ruolo importante lo ha anche il settore automotive, con i veicoli, in particolare le auto, che rappresentano uno degli export più importanti per Germania, Italia e Francia, le tre principali economie dell’Ue.
Invertire la bilancia commerciale tra Ue e Usa è difficile
Non è un caso che, in 4 anni di governo, Donald Trump e la sua amministrazione non siano riusciti a invertire la bilancia commerciale tra Usa e Ue. Il motivo sta principalmente nella natura degli scambi commerciali tra le due potenze. La manifattura ad alto valore aggiunto degli Stati Uniti produce soprattutto per il mercato interno. Quella europea al contrario punta principalmente alle esportazioni. Ciò che gli Stati Uniti vendono fuori dai propri confini è principalmente petrolio, o comunque materie prime energetiche.
Per quanto i volumi possano aumentare, il valore dei prodotti finiti è molto più alto di quello delle materie prime. La quantità di petrolio o di gas naturale che gli Usa dovrebbero esportare verso l’Ue per pareggiare le importazioni di beni è immensa e difficilmente realizzabile, dato anche l’allontanamento progressivo del blocco dalle fonti fossili per ragioni ambientali. Proprio la natura degli scambi commerciali ha aiutato gli Usa a ridurre il disavanzo durante gli ultimi tre anni.
Dopo la crisi del prezzo del gas dovuta all’invasione russa dell’Ucraina, l’Ue ha trovato negli Usa un partner commerciale fondamentale da cui acquistare LNG, gas liquefatto da trasportare in nave e rigassificare una volta raggiunti i porti europei. Per questo durante l’amministrazione Biden, il disavanzo commerciale tra Unione europea e Usa si è ridotto. Un risultato quasi non intenzionale, che ha però mostrato quanto poco i dazi americani e le ritorsioni europee durante la presidenza Trump abbiano influito su un legame commerciale così saldo.
L’alternativa a un aumento delle esportazioni sarebbe una riduzione delle importazioni, da applicare tramite dazi restrittivi. Questa alternativa però comporterebbe quasi sicuramente un aumento dei prezzi dei beni più coinvolti negli scambi commerciali tra Ue e Usa, quindi farmaci, apparecchiature mediche e automobili. I produttori americani, privati della concorrenza europea, si troverebbero davanti a una domanda che non avrebbero i mezzi di colmare e il costo di questi beni comincerebbe ad alzarsi.
Questo, dato il coinvolgimento dell’industria farmaceutica, aumenterebbe anche le spese dello Stato. Pur privi di un sistema sanitario universale come quello italiano, negli ultimi anni gli Usa hanno sviluppato un impianto di assicurazioni pubbliche che garantiscono, a determinate fasce della popolazione, accesso facilitato a cure e medicine. L’aumento dei farmaci peserebbe quindi anche sulle casse federali, o comunque direttamente sui consumatori in caso in cui Donald Trump abolisse le leggi che hanno introdotto queste misure di welfare.