Pechino non si piega a Washington e, nella guerra dei dazi commerciali, gioca a carte scoperte tenendo un ramoscello d’ulivo in una mano e una pistola nell’altra.
Dopo l’annuncio del presidente americano Donald Trump di nuovi dazi fino al 100% sui beni cinesi, la risposta è arrivata con toni di sfida: “Se volete combattere, combatteremo fino alla fine; se volete negoziare, la nostra porta rimane aperta”, ha dichiarato un portavoce del ministero del Commercio cinese.
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E la volontà di combattere del Dragone si è già concretizzata nella rappresaglia commerciale arrivata sotto forma di tasse portuali speciali per tutte le navi americane, o comunque riconducibili a interessi americani, in ingresso nei porti della Cina. Il provvedimento colpisce non solo gli Usa, ma ha drammatiche ricadute sul traffico marittimo e sulla logistica internazionale.
Secondo il ministero dei Trasporti cinese, le nuove tasse portuali speciali ammontano inizialmente a 400 yuan (circa 56 dollari) per tonnellata netta, ma potranno salire fino a 1.120 yuan entro il 2028. La misura si applica non solo alle navi battenti bandiera americana, ma anche a quelle gestite o controllate da entità Usa con partecipazioni superiori al 25%.
Si tratta di una mossa speculare ai dazi introdotti da Washington, che aveva colpito le industrie marittime e cantieristiche cinesi invocando la Sezione 301 del Trade Act, una norma che consente di agire contro pratiche commerciali ritenute da Trump “sleali”.
Secondo il think tank americano Csis, gli Stati Uniti oggi detengono appena lo 0,1% della quota mondiale nella cantieristica navale, contro oltre il 50% detenuto dalla Cina. La sproporzione fra le forze in gioco è evidente.
Pechino sanziona cinque società americane
Oltre ai dazi, la Cina ha annunciato sanzioni contro cinque filiali statunitensi della società sudcoreana Hanwha Ocean, accusate di “sostenere l’indagine statunitense sulle pratiche cantieristiche cinesi”. Tutte le transazioni e la cooperazione con queste aziende sono state vietate.
Il ministero del Commercio cinese ha accusato Washington di “minare la sovranità, la sicurezza e lo sviluppo della Cina”, aggiungendo che gli Stati Uniti “abusano del concetto di sicurezza nazionale” per giustificare misure discriminatorie.
Usa VS Cina, terre rare vero terreno di scontro
Ma la guerra navale è solo una parte del conflitto più ampio tra le due superpotenze. Al centro dello scontro ci sono le terre rare, minerali cruciali per la produzione di tecnologie avanzate, dai chip ai motori elettrici, dai sistemi missilistici ai pannelli solari.
La recente stretta cinese sull’export di questi materiali ha scatenato l’ira di Trump, che ha minacciato di raddoppiare i dazi su tutti i beni cinesi. “Gli Stati Uniti non accetteranno che la Cina usi le terre rare come arma economica”, ha affermato il presidente, aprendo di fatto un nuovo fronte nella guerra commerciale globale.
L’economia cinese rallenta, ma Pechino non arretra
Secondo il segretario al Tesoro americano Scott Bessent, la risposta aggressiva di Pechino sarebbe “un segno della debolezza della sua economia” e del tentativo di “trascinare tutti gli altri con sé”. La Cina di Xi Jinping, in recessione tecnica secondo diverse stime, punta però a difendere la propria industria strategica e a consolidare il ruolo nel commercio globale. Gli analisti ritengono che Pechino stia dunque cercando di trasformare la crisi in leva politica.
Per completare il quadro, si ricorda inoltre che la Cina detiene una fetta importante del debito estero Usa, pari a 746,4 miliardi di dollari (l’8,3% del debito federale estero a giugno 2025 secondo le stime dell’Osservatorio Cpi dell’Università Cattolica).