51mila ettari in cenere da gennaio: cosa vogliono i piromani

Perché i piromani bruciano i boschi? Dietro ai roghi c'è quasi sempre la mano dei criminali: mafiosi ma anche delinquenti da strapazzo che bruciano per qualche decina di euro

Pubblicato: 29 Luglio 2023 09:02

Foto di Mauro Di Gregorio

Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Ogni estate l’Italia viene flagellata dagli incendi. Ad essere più colpite sono le regioni meridionali, in primis la Sicilia. La domanda che ci si pone è una sola: perché?

Perché i piromani bruciano i boschi

Dall’1 gennaio al 27 luglio del 2023 sono stati inceneriti 51.386 ettari, un’area equivalente a 73.408 campi da calcio. Più della metà (31.078 ettari) hanno preso fuoco in appena 3 giorni, dal 25 al 27 luglio. Le regioni più colpite sono la Sicilia (41.365 ettari pari all’80% del totale), seguita da Calabria (7.390), Puglia (1.456) e Abruzzo (284). I dati vengono forniti da Legambiente.

Piromani e incendiari

I motivi che spingono i piromani a colpire sono molteplici. Ma prima di tutto occorre fare una distinzione lessicale: “piromani” è una parola contenitore comunemente utilizzata per definire, indistintamente, sia quelle persone mentalmente instabili e affascinate dal fuoco, sia quei criminali che agiscono lucidamente. Per definire questi ultimi il termine più corretto sarebbe “incendiari”, come detto nel corso di un’intervista al Corriere della sera dal generale Marco Di Fonzo, comandante del Nucleo Informativo Antincendio Boschivo dei carabinieri.

I piromani sono una realtà: una porzione, minoritaria, dei roghi viene appiccata da questi soggetti psichiatrici. Per loro l’eccitazione scatta nel momento in cui viene appiccato il rogo e si completa quando decine di vigili dei fuoco e volontari accorrono per spegnerlo. La capacità di incidere sugli eventi e di costringere decine di persone ad agire in conseguenza a un loro atto è per i piromani motivo di soddisfazione.

Perché bruciano i boschi

I fenomeni di autocombustione sono una frazione minima del fenomeno. C’è poi un filone relativo alla negligenza dei cittadini che gettano sigarette fra le sterpaglie, accendono fuochi d’artificio abusivi in aree a rischio e fanno barbecue in aree non consentite.

Ma come anticipato i roghi sono appiccati anche, e soprattutto, da mani criminali.

Gli incendi, viene stimato, aumentano ogni anno del 20-30%. E il cambiamento climatico che spinge le temperature sempre più su potrebbe favorire il fenomeno.

Chi appicca gli incendi

Il piano della Regione Siciliana sull’antincendio boschivo relativo al 2020 parla esplicitamente della cosiddetta “industria del fuoco”, ovvero delle fiamme appiccate scientificamente “per creare posti di lavoro nelle attività di avvistamento, di estinzione e nelle attività successive di ricostituzione”.

“Il ricorso a mano d’opera precaria e poco qualificata, con una finalizzazione spesso più assistenziale che produttiva, ha talvolta indotto l’insorgenza di un ciclo vizioso, dove l’incendio volontario da parte di operai stagionali può costituire lo strumento per mantenere o motivare occasioni di impiego – si legge nel piano Aib della Sicilia – Anche gli incendi appiccati come protesta contro la mancata assunzione o come estrema forma di dissenso contro la minacciata chiusura di cantieri rientrano in questa logica, in cui il bosco assume ruolo di ostaggio“.

Sembra inverosimile che qualcuno bruci centinaia di ettari di bosco per tornaconto personale eppure la cronaca conferma le preoccupazioni delle autorità.
A Ragusa 15 volontari dei Vigili del fuoco sono indagati per truffa ai danni dello Stato e una parte di essi per incendio doloso. Per incassare 10 euro l’ora avrebbero dato fuoco ad ampie porzioni del territorio per poi accorrere a spegnere le fiamme. Sono stati gli stessi Vigili del fuoco a dare input alle indagini quando hanno notato che una squadra di volontari effettuava un numero spropositato di interventi rispetto alle altre.
A Lecce nel 2022 è stato arrestato un operatore della Protezione civile con l’accusa di avere appiccato il fuoco all’interno del bosco Guarini.
Nel 2020 a Ciminna (Palermo) è stato arrestato un operaio stagionale del Corpo Forestale della Regione Siciliana con l’accusa di avere appiccato un incendio.

Ma ci sono anche altre motivazioni ad armare la mano degli incendiari, come risulta dal piano Aib.
I boschi vengono bruciati per accaparrarsi terreni da coltivare o destinare al pascolo, così da incassare i ricchi contributi comunitari. C’è poi la volontà di trasformare aree rurali in aree edificabili. Sulle aree bruciate scatta un vincolo di 15 anni che impedisce il cambio nella destinazione d’uso, ma per le organizzazioni criminali i roghi sono un investimento a lungo termine.
Viene poi ipotizzato un collegamento tra i roghi e il business del fotovoltaico.
Capitolo a parte riguarda gli agricoltori: nei mesi estivi le regioni hanno la facoltà di decretare il divieto di abbruciamento delle sterpaglie. La misura viene messa in atto per cercare di contenere il rischio di incendi. Ma i contadini non possono lavorare i campi se essi non vengono liberati dalle sterpaglie. Alcuni dunque decidono di appiccare il fuoco e di allontanarsi per evitare il rischio di venire denunciati. Le fiamme senza controllo si propagano e spesso si estendono a boschi, terreni confinanti, autostrade e aree abitate.

Il business dei rifiuti

Il piano Aib indica poi un ulteriore rischio di incendi nello stoccaggio abusivo dei rifiuti, business nel quale si arricchiscono le mafie. Il piano parla di “condotte negligenti di sovra stoccaggio, miscelazione di rifiuti potenzialmente infiammabili, non corretto utilizzo di impiantistica di trattamento meccanico”.

Mafia e incendi

Ma i mafiosi appiccano i roghi anche per rimarcare il predominio sul territorio e per protestare contro l’attività repressiva dello Stato e, in particolare, contro l’introduzione del protocollo antimafia voluto a suo tempo da Giuseppe Antoci che ha inferto un durissimo colpo alla mafia dei pascoli: prima del protocollo i mafiosi o i loro prestanome potevano prendere in gestione un’area verde incassando i contributi europei con bonifici direttamente sui conti correnti. Antoci ha rotto il meccanismo e questo gli è valso un attentato nel 2016 dal quale è uscito miracolosamente vivo.

Nell’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia si legge poi un inciso relativo alla criminalità organizzata pugliese: “Il fenomeno dei danneggiamenti mediante incendi continua a manifestarsi in tutto il territorio regionale con riferimento soprattutto al settore agricolo. Tali aggressioni sarebbero presumibilmente mirate sia all’assicurarsi un servizio di protezione imposto alle strutture produttive, sia alla gestione di aziende particolarmente appetibili per le possibilità di riciclaggio, che per gli introiti derivanti dai finanziamenti pubblici di cui potrebbero godere”.

Criminalità dei pascoli

C’è poi un filone che riguarda allevatori senza scrupoli che bruciano aree verdi per ottenere nuovi pascoli e risparmiare sulle spese di acquisto del foraggio. Pochi giorni dopo un incendio, infatti, la terra reagisce producendo erba adatta ai pascoli. A Buccheri, nel Siracusano, nell’agosto del 2021 sono stati arrestati due pastori che progettavano un grande incendio a Ferragosto.