Stop auto inquinanti nel 2035, la posizione del Governo Meloni è un paradosso mentre il clima peggiora

Stop auto inquinanti nel 2035, perché la posizione del Governo Meloni è un paradosso mentre il clima peggiora: cosa chiede l'Ue e come ha risposto l'Italia

Foto di Federica Petrucci

Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Pubblicato: 21 Novembre 2024 12:33

Mentre l’Europa spinge per una transizione ecologica più rapida e ambiziosa, il Governo Meloni, rappresentato dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, continua a opporsi allo stop delle auto a benzina e diesel a partire dal 2035.

Nonostante la consapevolezza di dover garantire un futuro alla nostra industria automobilistica, c’è un paradosso che emerge in tutto questo. Ovvero, il contrasto tra le posizioni del Governo e la crescente necessità di misure incisive per affrontare il cambiamento climatico.

La posizione del Governo Meloni contro lo stop auto inquinanti nel 2035

Il governo italiano ha adottato una posizione critica nei confronti dello stop alle auto inquinanti nel 2035, motivando la sua resistenza con la necessità di proteggere l’industria automobilistica nazionale, una delle più importanti del Paese. In particolare, l’Italia ha posto l’accento sull’urgenza di sostenere gli investimenti nel settore e garantire la competitività dell’industria europea, proponendo una revisione anticipata delle normative europee sulle emissioni di CO2.

Tale presa di posizione, portata avanti dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, è stata tradotta e preso forma nel non-paper Italia-Grecia, presentato durante l’incontro con il ministro greco Theodorikakos.

Il focus principale del documento è sulla necessità di sostenere l’industria automobilistica europea durante la transizione verso una mobilità più sostenibile, assicurando risorse comuni per gli investimenti nel settore e garantendo la competitività delle imprese europee. Non propone direttamente di posticipare il divieto di vendita delle auto inquinanti al 2035, ma solleva alcune preoccupazioni riguardo alla tempistica della transizione e alle normative sulle emissioni di CO2, chiedendo una transizione più graduale e a un maggiore supporto per le aziende europee durante il processo, evitando un cambiamento troppo rapido che potrebbe danneggiare il settore.

Cosa chiede invece l’Europa

Sulle tempistiche e la necessità di fare presto e fare subito qualcosa per rispondere all’emergenza clima, l’Europa ha le idee chiare (e ben diverse dall’Italia che, invece, chiede tempo).

Il Green Deal Europeo, il piano che punta a rendere l’Unione Europea il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050, ha posto come obiettivo fondamentale la riduzione drastica delle emissioni, non solo attraverso la transizione alle energie rinnovabili, ma anche mediante una trasformazione radicale dei settori più inquinanti, come quello dei trasporti. La proposta di fermare le auto a motore termico entro il 2035 si inserisce in questo contesto di rinnovamento e sostenibilità, mirando a una flotta automobilistica completamente elettrica.

Gli ultimi rapporti scientifici, tra cui quelli della COP29, non lasciano spazio a dubbi: il cambiamento climatico è ormai un’emergenza globale che richiede risposte immediate e decise. Il riscaldamento delle temperature, le ondate di calore estremo e l’intensificazione di eventi climatici estremi, come tempeste e alluvioni, sono segnali inequivocabili che l’attuale ritmo di inquinamento non è sostenibile. L’industria automobilistica è una delle maggiori responsabili delle emissioni di gas serra, e solo una radicale transizione verso veicoli elettrici può contribuire in modo significativo a ridurre l’impronta ecologica del settore.

Il paradosso italiano: difendere il passato o investire nel futuro?

In questo contesto, la posizione del Governo di Giorgia Meloni appare paradossale perché sembra esserci un conflitto tra due obiettivi che dovrebbero, in teoria, essere complementari. Da un lato, il governo italiano, attraverso il suo sostegno a un modello industriale tradizionale basato principalmente sulle auto a combustione interna, continua a difendere l’interesse di settori industriali che, purtroppo, sono destinati a diventare obsoleti nel lungo termine, a causa della transizione verso un futuro più sostenibile. Le politiche che difendono questo modello, invece, potrebbero rallentare l’innovazione e l’adozione di tecnologie verdi come i veicoli elettrici, nonostante sia ormai chiaro che la sostenibilità sarà il motore del progresso economico nei prossimi decenni.

Dall’altro lato, c’è una crescente urgenza di affrontare il cambiamento climatico e la posizione di un governo che continua a non misure più incisive per accelerare la transizione ecologica, appare come una contraddizione. Il paradosso si acuisce considerando che l’Italia è già tra i Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici, con il Mediterraneo che sta diventando un “hotspot” per le ondate di calore e i disastri naturali. La transizione ecologica, pur comportando sacrifici a breve termine, rappresenta una grande opportunità a lungo termine per rilanciare l’industria, migliorare la competitività e creare nuovi posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili e delle nuove tecnologie.

In questo contesto, la proposta italiana di ritardare lo stop alle auto inquinanti fino al 2035 potrebbe non solo ostacolare il piano europeo di decarbonizzazione, ma anche mettere a rischio la possibilità di investire in una vera trasformazione del settore automobilistico. L’adozione di veicoli elettrici, per esempio, potrebbe essere accelerata attraverso incentivi fiscali, investimenti in infrastrutture di ricarica e programmi di ricerca e sviluppo. Ma ciò richiede una visione a lungo termine che, al momento, sembra mancare.

Invece di apparire perplessa di fronte alla transizione, l’Italia potrebbe giocare un ruolo di leader nell’innovazione.