I mutui sono e saranno sempre più costosi, almeno per i prossimi mesi. La decisione della Bce di alzare i tassi di interesse ha scatenato una reazione a catena che sta letteralmente travolgendo i consumatori, con rialzi delle rate a tassi che qualcuno non esita a definire usurai.
Secondo un’indagine condotta da Nomisma, 1 famiglia su 4 teme di avere difficoltà a pagare regolarmente le rate del mutuo nel prossimo anno. Nonostante i dati relativi all’occupazione registrino il valore più alto da giugno 2019, con 23,2 milioni di persone occupate nel 2023, le famiglie italiane si trovano a fare i conti con un costo della vita sempre più alto: a causa della diminuzione del loro potere di acquisto e per fare fronte alle spese necessarie, molte di esse dichiarano di attingere ai propri risparmi per mantenere gli standard di consumo a cui sono abituate.
Inoltre, spesso sono costrette a ridurre le spese per acquisti e attività considerate superflue: il 29% dichiara di aver diminuito in modo significativo le spese per il tempo libero, il 27% quelle per le attività culturali e il 21% per lo sport. Uno scenario, questo, inasprito anche dall’impennata dell’inflazione e dei costi dell’energia che hanno fatto crescere il timore di 3 famiglie su 10 di non arrivare alla fine del mese e di non riuscire ad accantonare una parte di reddito come risparmio anche per far fronte a future esigenze.
Il quadro di enorme instabilità in cui ci troviamo preoccupa. A Cernobbio, in occasione della 34esima edizione del workshop Economia e Finanza organizzato da The European House Ambrosetti, il vice-Presidente della Bce Luis de Guindos ha parlato di stabilità finanziaria, definendola “essenziale” per l’obiettivo primario della Banca centrale europea della stabilità dei prezzi. “Gli eventi delle ultime settimane ci hanno ricordato i vantaggi di una regolamentazione bancaria forte e armonizzata e l’importanza di completare l’unione bancaria. Stiamo monitorando attentamente gli sviluppi nei mercati finanziari e nelle istituzioni finanziarie” ha detto.
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Ha anche spiegato che il settore bancario dell’area dell’euro è “resiliente”, con “solide” posizioni patrimoniali e di liquidità, “ben al di sopra” dei requisiti minimi. Non solo: le banche attualmente soddisfano una parte molto ampia dei requisiti di liquidità con l’attività più liquida disponibile: le riserve detenute presso la banca centrale. Motivo per cui, rassicurano da mesi i funzionari di Bruxelles, questa situazione è molto diversa rispetto al 2008 e al 2009. Da allora, è stata istituita una vigilanza bancaria europea armonizzata e sono stati compiuti progressi importanti nell’attuazione del programma globale di riforma della regolamentazione lanciato dopo la crisi finanziaria globale.
Ma attenzione a pensare che fili tutto liscio. I recenti avvenimenti sui mercati finanziari hanno accresciuto l’incertezza, il che potrebbe ostacolare la trasmissione della politica monetaria della Bce nell’area dell’euro. Secondo de Guindos, è “probabile” che assisteremo a un ulteriore aumento del costo della raccolta delle banche, a un inasprimento degli standard creditizi e a una decelerazione della crescita dei volumi di prestito. Potrebbe anche esserci un calo della fiducia dei consumatori e degli investitori e una minore domanda aggregata complessiva.
Per quanto sia troppo presto per trarre conclusioni sull’impatto che tutto questo avrà sulla crescita e sull’inflazione – la turbolenza potrebbe anche essere di breve durata – l’obiettivo della Bce resta sempre la riduzione dell’inflazione a medio termine del 2%. Spiega ancora de Guindos che veniamo da un’inflazione mensile a due cifre nell’area dell’euro.
Ora, l’inflazione è scesa, scendendo all’8,5% a febbraio al 6,9% a marzo e gli esperti si attendono che continui a diminuire costantemente grazie al calo dei prezzi dell’energia, all’allentamento delle strozzature nell’approvvigionamento e al leggero apprezzamento dell’euro. In effetti, l’inflazione energetica ha raggiunto il picco nel 2022 e quest’anno dovrebbe essere intorno allo zero o addirittura negativa. Ma i fattori che contribuiscono all’inflazione stanno cambiando: l’inflazione dei beni industriali alimentari e non energetici raggiungerà probabilmente il suo picco solo nel 2023, sostenendo la pressione sull’inflazione core, che è salita al 5,7% a marzo.
Nonostante l’aumento dei costi di finanziamento, la redditività delle banche è migliorata, trainata da un reddito netto da interessi significativamente più elevato, mentre le svalutazioni e gli accantonamenti sono stati finora contenuti. Nel complesso, precisa ancora de Guindos, le banche dell’area dell’euro sono moderatamente esposte al rischio di tasso di interesse. La maggior parte è effettivamente posizionata per “beneficiare” inizialmente dell’aumento dei tassi di interesse, che aumenta i margini di interesse netti. In media, il riprezzamento del portafoglio prestiti tende a più che compensare i maggiori costi di finanziamento e le perdite sui titoli a reddito fisso. È inevitabile tuttavia che, con l’inasprimento delle condizioni di finanziamento, la dinamica dei prestiti si indebolisca e possa pesare in futuro sulla redditività delle banche. Tradotto, mutui e prestiti per i cittadini costeranno molto di più.
Naturalmente, alcune banche potrebbero essere più vulnerabili. Ma, secondo la Bce, le vulnerabilità nel sistema finanziario prevalgono nel settore finanziario non bancario, che è cresciuto rapidamente e ha aumentato la sua assunzione di rischi durante il contesto di bassi tassi di interesse. Il rischio di credito e di liquidità rimane elevato, rendendo il settore più vulnerabile alla volatilità del mercato e a un brusco riprezzamento nei mercati finanziari.
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Quando finirà l’aumento dei tassi della Bce
Tornando ai mutui, dicevamo che sono aumentati tutti i vecchi mutui a tasso variabile – discorso diverso invece per il fisso, che, proprio in quanto fisso, non è soggetto a fluttuazioni – e le simulazioni per i nuovi mutui ancora da accendere, sia a tasso variabile che fisso. Quello che risulta ormai evidente è che la fase di tassi all’1% non la rivedremo più per molto tempo.
La Bce ha inanellato ben 6 aumenti dei tassi in appena 9 mesi: 4 da 50 punti base e altri 2, a settembre e ottobre 2022, da 75 punti base. Oggi il tasso Bce è al 3,5%, e si è trascinato dietro sia l’Euribor sia l’Irs, i due tassi di riferimento a cui sono legati rispettivamente i mutui a tasso variabile e i mutui a tasso fisso.
Difficile dire quando finiranno questi rialzi. “In presenza di un’elevata incertezza, è ancora più importante che il percorso dei tassi dipenda dai dati”, ha detto la numero uno della Bce Christine Lagarde. “Ciò significa che, ex ante, non ci impegniamo ad aumentare ulteriormente i tassi di interesse ma non abbiamo finito di farlo. I cittadini possono essere certi di una cosa: garantiremo la stabilità dei prezzi e il ritorno dell’inflazione al 2% nel medio termine non è negoziabile”.
Considerato che siamo ancora lontani dal 2%, ma che comunque l’inflazione nell’area euro sta scendendo, l’istituto di Francoforte potrebbe decidere di fermarsi con l’aumento dei tassi a maggio/giugno almeno per questa volta, oppure di alzarli “solo” di un +0,25%.
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Quanto sono aumentati i mutui: le cifre
Secondo le stime di Mutuionline condotte su un mutuo da 140mila euro in 20 anni, per le famiglie con mutuo a tasso variabile l’aumento dell’Euribor a 3 mesi è passato dal -0,534% di un anno fa all’attuale 2,783%, portando a un aumento sia della rata mensile che dell’incidenza sul reddito di oltre il 30%. Su un mutuo di 250mila euro in 30 anni il conto è ancora più salato: oltre il 40% sia l’aumento della rata sia l’incidenza sul reddito mensile. Ma oltre ai mutui variabili già in essere, anche i nuovi finanziamenti per l’acquisto di una casa sono diventati più costosi.
Come spiega ancora Mutuionline, guardando all’andamento dei futures è possibile farsi un’idea delle aspettative di mercato per il medio termine. Fino a circa una settimana fa, il future sull’Euribor si aggirava attorno al 4%, ma poi la crisi della Silicon Valley Bank negli Usa ha fatto arretrare il rendimento di qualche decimale, “nella considerazione che la crisi di alcuni istituti potrebbe spingere la Banca centrale europea ad un atteggiamento più prudente da qui in avanti”.
Meglio dunque riconsiderare per il nostro mutuo il tasso variabile rispetto al fisso? Posto che dipende da quanto vogliamo stare più tranquilli, con una rata fissa e sempre uguale nel tempo, oppure da quanto puntiamo sul fatto che i tassi a inizio 2024 possano scendere, rischiando però una grande incertezza, ci sono senz’altro delle tendenze in atto che è fondamentale conoscere per prendere la giusta decisione.
Quanto costa un mutuo oggi
Mutuo a tasso fisso
Se a marzo 2020 l’Irs a 30 anni (il parametro di riferimento dei mutui a tasso fisso) aveva toccato un minimo al -0,23%, a inizio marzo il suo valore è arrivato al 2,78%, con enormi effetti sul costo del mutuo.
Da una simulazione effettuata il 27 marzo sul comparatore MutuiOnline.it, il miglior mutuo a tasso fisso a 30 anni per l’acquisto di una prima casa, per un valore immobile di 225mila euro e un importo del mutuo di 180mila euro, mostra un Taeg del 3,87% con spread all’1,20% per una rata mensile di 829,53 euro. Le altre due offerte sul podio, invece, prevedono un Taeg del 4% (spread all’1,4%), con rata di 837,67 euro, e del 4,07% (spread all’1,45%), con rata di 855,20 euro.
Nel 2020, invece, la miglior offerta di mutuo, a parità di condizioni, prevedeva un Taeg dell’1,10%, con rata mensile da 587,26 euro. Rispetto a 3 anni fa, quindi, un mutuo a tasso fisso oggi ha un maggior costo di circa il 40 per cento.
Mutuo a tasso variabile
Stesa sorte è toccata ai mutui a tasso variabile, con l’Euribor che è salito su tutte le scadenze, a 1 mese, 3 mesi, 6 mesi e 1 anno (quest’ultimo è arrivato al 3,745%, contro il -0,327% di marzo 2020). Anche in questo caso, la simulazione effettuata su MutuiOnline.it a 30 anni, con valore dell’immobile di 250mila euro e valore del mutuo di 150mila euro, non lascia dubbi.
La miglior offerta mostra un Taeg del 3,40% (Euribor 3 mesi più spread di 0,50%), per una rata mensile di 646,89 euro. Le altre due offerte sul podio, invece, hanno un Taeg del 3,93% (Euribor 3 mesi più spread dell’1,10%), per una rata mensile di 694,67 euro, e un Taeg del 4,06% (Euribor 1 mese più spread dell’1,60%), per una rata di 710,94 euro.
Nel 2020, un variabile a 30 anni, a parità di condizioni, mostrava un tasso allo 0,35%, per una rata mensile di 497,52 euro. Oggi, quindi, il maggior costo sulla miglior offerta in termini di rata da pagare è del 30% circa.
Quali sono le banche più convenienti per il mutuo oggi
L’Osservatorio di MutuiOnline.it offre anche altre indicazioni sull’evoluzione del settore. In particolare, i rialzi dei tassi negli ultimi trimestri hanno ridato fiato alle surroghe da parte di coloro che in passato avevano acceso un mutuo a tasso variabile. “Nei primi due mesi del 2023, il passaggio dal variabile al fisso ha riguardato oltre il 30% di tutte le richieste di mutui, erodendo l’incidenza dei mutui accesi per acquistare la prima casa, che comunque restano la componente più rilevante del mercato con poco meno del 60% del totale”.
Con i prestiti che diventano più cari, si restringe la platea di chi sottoscrive un finanziamento a lungo termine come quello immobiliare. Tra gennaio e febbraio si è arrivati ad un reddito medio di 2.760 euro, contro i 2.220 del primo trimestre 2022. Inoltre, l’incertezza sul futuro spinge a limitare l’esborso, con il loan to value (cioè la quota finanziata rispetto al prezzo d’acquisto) che scende di un punto e mezzo rispetto all’ultimo trimestre 2022 a quota 65,9%.
Ma vediamo quali sono le banche che offrono mutui più convenienti al 3 aprile 2023 (l’esempio di Mutuionline riguarda un mutuo prima casa di 30 anni a tasso fisso, per un lavoratore impiegato di 35 anni, residente a Milano, con reddito di 2.600 euro mensili, importo mutuo richiesto pari a 100mila euro e valore dell’immobile di 200mila euro, durata mutuo 30 anni):
- Banca Widiba: tasso 3,20%, Taeg 3,40%, rata 432,47 euro
- Crédit Agricole Italia: tasso 3,25%, Taeg 3,49%, rata 435,21 euro
- Credem: tasso 3,19%, Taeg 3,53%, rata 431,92 euro
- BPER Banca: tasso 3,43%, Taeg 3,62%, rata 445,15 euro
- Banco di Sardegna: tasso 3,43%, Taeg 3,67%, rata 445,15 euro.