Cos’è il Covid “latente”: il test è negativo ma la malattia mortale

Una ricerca effettuata da studiosi italiani ha fatto emergere che il Covid potrebbe "nascondersi" nel corpo per molto tempo dopo l'infezione

Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Trieste, del King’s College of London e dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) di Trieste, e pubblicato sul Journal of Pathology, ha rivelato nuovi aspetti dell’infezione da Covid e dei danni ai polmoni causati dal virus Sars-Cov-2 anche in assenza di tampone positivo. Il team di esperti ha analizzato il tessuto polmonare di una particolare categoria di pazienti, quelli cioè guariti dall’infezione, ma le cui condizioni di salute si sono progressivamente aggravate fino a causarne la morte.

Polmonite mortale nonostante il test negativo: cosa è emerso dallo studio

I sintomi di questi pazienti erano del tutto sovrapponibili a quelli di un’infezione acuta da Sars-Cov-2, nonostante si fossero tutti negativizzati anche da più di 300 giorni. Tutti avevano polmoniti interstiziali focali o diffuse, nella metà dei casi accompagnate da un’estesa sostituzione fibrotica. I risultati dello studio hanno sorpreso anche i ricercatori, considerando alcuni inattesi aspetti significativi dal punto di vista patologico.

Nonostante l’apparente remissione virologica, infatti, la patologia polmonare era molto simile a quella osservata nei pazienti con un’infezione acuta in corso, con frequenti anomalie citologiche, sincizi e la presenza di caratteristiche dismorfiche nella cartilagine bronchiale.

Segni del virus nascosti: il Covid rimane latente nei tessuti per molto tempo?

Il secondo aspetto, che un comunicato della stessa Università di Trieste sottolinea essere quello “ancora più inquietante“, è legato all’assenza di tracce del virus nell’epitelio respiratorio, come ci si aspetterebbe dalla negatività al test molecolare, ma in concomitanza con la presenza di proteina Spike e del nucleocapside virale nella cartilagine bronchiale e nell’epitelio ghiandolare.

La proteina Spike e il nucleocapside sono indispensabili rispettivamente per l’infezione e la replicazione del virus, ma il distretto cartilagineo impedisce ai tamponi e alle tecnologie attuali di identificare il Sars-Cov-2. Facendo emergere il fatto che il Covid potrebbe rimanere latente per molto tempo dopo la negativizzazione, con segni evidenti d’infezione in specifici tipi di cellule nel polmone.

Lo studio si conclude con un dubbio sul ruolo effettivo di questa infezione latente a lungo termine, anche nel quadro clinico del long Covid, cioè la sindrome del Covid lungo, che porta i pazienti ad avere sintomi anche a distanza di molto tempo dall’ultimo tampone negativo. Nuovi studi in questo senso potranno aprire la strada a una migliore comprensione del coronavirus e a cure che impediscano l’insorgenza di effetti disastrosi sulla salute, che possono portare anche alla morte dei pazienti.

Una ricerca condotta a Hong Kong ha evidenziato che il rischio di morire è 5 volte più alto a distanza di 18 mesi dall’infezione da Covid, come spiegato qua, a causa di una maggior probabilità di sviluppare patologie cardiovascolari. Per questo i pazienti negativizzati dovrebbero essere monitorati a lungo dopo la malattia causata dal Sars-Cov-2.

Tra gli strascichi del long Covid c’è anche la stanchezza cronica che, come previsto dallo studio che abbiamo riportato qua, potrebbe essere scatenata dagli stessi meccanismi della fibromialgia e di altre patologie che causano nebbia mentale e astenia. Esistono alcuni sintomi spia del long Covid che, come anticipato qua, potrebbero predire una maggiore probabilità di avere i segni della malattia a lungo termine.