Tumori, diagnosi precoci e screening all’avanguardia ma lunghe attese per le terapie innovative

I progressi contro il cancro hanno salvato più di 6 milioni di vite in Europa dal 1998 ad oggi. In Italia c'è il più alto numero di donne vive dopo la diagnosi, ma vanno ridotti i tempi di attesa (14 mesi) per accedere ai farmaci innovativi

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

I numeri, a volte, parlano. E quando si tratta di oncologia, dicono chiaramente che nelle ultime decadi le scoperte della medicina hanno permesso di modificare pesantemente la prognosi di molte forme di tumori. Favorendo in certi casi la guarigione ed arrivando a “cronicizzare” il quadro, tenendolo sotto controllo nel tempo, in altri. E allora, lasciamo che le cifre mostrino la realtà della matematica.

In Europa, dal 1988 a oggi, i progressi contro il cancro hanno salvato più di 6 milioni di vite (6.183.000). Negli Stati Uniti, in 30 anni (1991-2021), la mortalità oncologica è diminuita del 33% e sono stati oltre 4 milioni i decessi per tumore evitati. In Europa sono 23,7 milioni di cittadini (12,8 milioni donne e 10,9 milioni uomini), con un aumento del 41% in 10 anni (2010-2020). E il nostro Paese fa registrare nel Vecchio Continente il più alto numero di donne vive dopo la diagnosi in rapporto alla popolazione (6.338 casi per 100mila abitanti, pari a circa 1.939.000 cittadine). Attenzione però. I problemi non mancano. Se la mortalità oncologica complessiva continua a calare, l’incidenza aumenta a livello globale e nei singoli Paesi. Nel mondo, nel 2022, sono stati 20 milioni i nuovi casi di cancro. In Italia, nel 2023, sono state stimate 395.000 nuove diagnosi, con un incremento, in tre anni, di 18.400 casi. Nel 2024, negli Stati Uniti, si prevede che supereranno per la prima volta i due milioni.

La situazione in Italia

Diciamolo. Considerare questi risultati solamente frutto dei progressi della scienza è riduttivo e improprio. Perché i miglioramenti ottenuti dipendono dalla combinazione di più fattori: riduzione del fumo di sigaretta e maggiore attenzione agli stili di vita sani, più diagnosi precoci grazie agli screening, terapie sempre più efficaci e multidisciplinarietà. Ma soprattutto conta anche l’attenzione globale ai malati, che porta la prevalenza dei casi, ovvero il numero di persone vive dopo la diagnosi nel nostro Paese, a crescere costantemente.

“È la dimostrazione dell’eccellente livello del nostro sistema sanitario, che garantisce a tutti le terapie migliori – ricorda Francesco Perrone, Presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), in occasione Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) di Chicago”.
Queste non significa, è evidente, che non ci siano spazi di miglioramento. La prevalenza include persone in terapia, coloro che sono sotto sorveglianza per la prevenzione di eventuali recidive e i guariti, che non necessitano di ulteriori cure o controlli. Il dato italiano è rilevante, a cui vanno aggiunte le oltre 268mila vita salvate nel nostro Paese fra il 2007 e il 2019. Ma, come detto, c’è ancora da fare.

“Devono essere affrontati aspetti organizzativi – segnala Perrone – a partire dai tempi troppo lunghi per l’accesso all’innovazione. In Italia, i cittadini colpiti dal cancro attendono ancora 14 mesi per poter essere trattati con terapie innovative già approvate a livello europeo. Siamo pronti a collaborare con l’Agenzia Italiana del Farmaco per definire nuovi modelli per l’accesso precoce, subito dopo l’approvazione europea, a terapie davvero innovative in termini di miglioramento della sopravvivenza e della qualità di vita. Sono quei trattamenti che l’FDA, l’ente regolatorio americano, definisce ‘breakthrough’ e che rappresentano un importante valore aggiunto rispetto alle alternative terapeutiche disponibili”.

L’importanza dell’approccio multidisciplinare

Anche Massimo Di Maio, Presidente eletto AIOM, punta sull’importanza di avere presto a disposizione i farmaci che possono davvero modificare la vita dei malati.
“In Italia diverse disposizioni regolano l’accesso precoce a farmaci già approvati dall’ente regolatorio europeo, prima del rimborso a carico del Servizio Sanitario Nazionale – spiega. Ma vanno integrate con norme che consentano di rendere disponibili le terapie innovative in termini molti più brevi rispetto agli attuali, al massimo entro tre mesi dall’approvazione europea. L’accesso immediato alle cure deve rientrare in una strategia unitaria contro il cancro che includa la diminuzione dell’incidenza e della mortalità, il miglioramento della qualità di vita dei pazienti e l’istituzione delle reti oncologiche regionali”.

Sia chiaro. Parlare solamente di farmaci e di innovazione risulta riduttivo, se non si considerano anche i progressi nei modelli di assistenza, realizzati grazie all’integrazione di competenze diverse.
“Il confronto fra diverse competenze consente la scelta delle migliori terapie per il paziente e di gestire tecnologie innovative come la biopsia liquida, un test sul sangue che permette di analizzare alcune caratteristiche delle cellule tumorali, ad esempio la presenza di mutazioni nel loro DNA – continua Di Maio. Ad oggi, gli utilizzi della biopsia liquida, validati in pratica clinica, sono ancora limitati. Il primo impiego ha riguardato il tumore del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato, per la valutazione dello stato mutazionale del gene EGFR, quindi come fattore predittivo di risposta alle terapie mirate, ma è prevedibile un aumento nel prossimo futuro. Le applicazioni cliniche emergenti di questa procedura riguardano soprattutto i tumori del colon-retto, della mammella, della prostata e il melanoma nella forma avanzata”.

Il valore della diagnosi precoce

C’è un terzo, ulteriore termine che spiega quanto e come stiano cambiando i percorsi di chi scopre di avere un tumore: screening. Andare a “cercare” la malattia nella popolazione sana, rispettando ovviamente i rapporti tra costi e benefici, significa poter individuare tumori allo stato iniziale. E quindi avere più possibilità di guarire o almeno di curare al meglio. Per questo, dagli esperti giunge il richiamo a rinforzare gli screening nel nostro Paese. Lo ricorda, a suon di numeri, Saverio Cinieri, Presidente di Fondazione AIOM .
“Nel 2024 il tasso di mortalità per il carcinoma al colon-retto tra i giovani (25-49 anni) in Italia aumenterà dell’1,5% tra gli uomini e del 2,6% tra le donne rispetto al periodo 2015-2019. Invece nella fascia d’età compresa fra 50 e 69 anni, inclusa nell’attuale programma di screening colorettale, nel 2024 è prevista una diminuzione dei decessi del 15% negli uomini e del 16% nelle donne – fa sapere l’esperto. L’anticipazione dell’età dello screening per questa neoplasia, quindi non più a partire dai 50 anni ma dai 45, consentirebbe di salvare più vite”.
Anche negli Stati Uniti il tumore del colon-retto sta diventando sempre più diffuso negli under 50, alla fine degli anni Novanta era la quarta causa di morte per cancro sia negli uomini sia nelle donne più giovani, oggi è la prima negli uomini e la seconda nelle donne.
“Le nuove raccomandazioni della U.S. Preventive Services Task Force (USPSTF), infatti, hanno abbassato l’età iniziale dello screening per cancro colorettale a 45 anni – sottolinea Saverio Cinieri -. Questo programma di prevenzione secondaria è in grado di individuare, oltre alla presenza di un tumore in persone asintomatiche, anche adenomi, cioè polipi, potenzialmente in grado di trasformarsi in cancro”.