STEM, l’Italia rischia un buco di competenze. Ecco perché servono nuovi talenti

La formazione scientifica è sempre più cruciale anche per la sanità del futuro, ma disuguaglianze economiche e sociali frenano ’ingresso dei giovani nelle discipline STEM

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

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I numeri parlano chiaro. E non mentono. Secondo quanto riporta il Sistema Informativo Excelsior relativo al 2024 in Italia, nel quinquennio 2024-2028, la previsione del fabbisogno per i lavoratori in possesso di una formazione terziaria in ambito STEM (Science, Technology, Engineering, and Mathematics) dovrebbe attestarsi tra 72mila e 82mila unità in media all’anno. Tuttavia, la ridotta presenza di studenti in possesso di questo tipo di formazione determinerà una carenza di queste figure compresa tra 8mila e 17mila giovani ogni anno, nonostante il numero di immatricolazioni sia in aumento. Ed anche in modo significativo: si parla addirittura di un incremento di oltre il 70% tra il 2000 e il 2024, secondo quanto riporta il Censis.

La sfida quindi è importante: occorre accrescere il numero di persone formate in ambito STEM, aumentando l’accesso a questo percorso. Ma come si può fare? Ecco alcune opportunità emerse al CICAP Fest 2025 a Padova, dove si è anche ricordato l’impegno di Fondazione Amgen, che, attraverso diversi programmi di formazione nelle scienze della vita, offre agli studenti universitari la possibilità di vivere esperienze di ricerca in Università e Centri di eccellenza in tutto il mondo.

Combattere le diseguaglianze

Il fronte sociale rappresenta sicuramente il primo ostacolo in questo senso. E purtroppo limita pesantemente le dinamiche di competitività, oltre a rappresentare anche un efficiente motore di promozione sociale, fornendo alle persone competenze tecniche e di risoluzione dei problemi e migliorando le loro prospettive di carriera. Purtroppo, però le diseguaglianze pesano. Eccome.

“Le disuguaglianze economiche e sociali hanno un peso enorme nelle scelte formative e l’Università oggi non è più un vero ascensore sociale. I figli dei laureati hanno più possibilità di laurearsi a loro volta”

segnala Lorenzo Montali, Presidente di CICAP, Professore associato di Psicologia Sociale, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Milano-Bicocca.

“Secondo l’ISTAT 2025 nel periodo 1992-2022, al netto delle caratteristiche individuali (genere) e di territorio, si stima che uno dei due genitori laureato aumenti la probabilità di laurearsi della figlia/o di 20 punti percentuali rispetto ai figli di genitori non diplomati”.

Rafforzare le competenze STEM è uno degli obiettivi della Commissione europea, che lo scorso marzo ha lanciato un piano strategico per la formazione in queste discipline, sulla base di una specifica raccomandazione contenuta nel rapporto sulla competitività di Mario Draghi. Rispetto a Paesi come Cina e India, dove oltre il 30% dei laureati proviene da aree STEM (dato CSET Georgetown 2024), in Europa la percentuale di laureati STEM si aggira sul 25% (dato OECD/Commissione Europea 2023).

Manca l’ascensore sociale

Le disuguaglianze economiche e sociali hanno un peso enorme. Le barriere economiche influenzano le scelte formative. Basta guardare la distribuzione degli studenti: nei licei classici e scientifici prevalgono famiglie più abbienti, nei professionali troviamo più studenti provenienti da famiglie migranti o con redditi più bassi. In ogni caso, l’educazione alle discipline STEM rappresenta una risorsa per la crescita personale, contribuendo a formare cittadini più consapevoli e in grado di prendere decisioni responsabili.

Tuttavia, durante il percorso scolastico, molti studenti – e soprattutto studentesse – finiscono per sentirsi “non portati” per le materie scientifiche. Secondo gli esperti, in psicologia parliamo di autoefficacia, cioè la percezione che una persona ha di essere capace di svolgere un compito. La domanda di fondo è: perché individui con competenze inizialmente simili finiscono per scegliere percorsi di studio o di carriera così diversi?
Una risposta viene da uno studio apparso su Nature pochi mesi fa. Sono stati utilizzati i dati relativi a circa 2,6 milioni di bambini di età compresa tra i 5 e i 7 anni al loro primo e secondo anno di scuola in Francia: le differenze di interesse verso la matematica – che spesso anticipano le scelte scientifiche – si formano già dopo quattro mesi di scuola.

“Significa che la percezione di sé come “capace o non capace” inizia a formarsi molto presto. Tale percezione è il risultato di due fattori: l’esperienza personale e il modo in cui il contesto – scuola, famiglia, società – reagisce ai nostri comportamenti. Quando una bambina ottiene buoni risultati in un ambito ritenuto “adeguato” al suo genere, viene elogiata e incoraggiata. Se invece eccelle in un campo considerato “maschile”, come la matematica, riceve meno riconoscimento. Per i maschi succede l’opposto. Gli stereotipi sono come l’acqua per i pesci: ci viviamo dentro, non li vediamo. Non è che li subiamo consapevolmente, ma fanno parte dell’ordine sociale”

commenta Montali.

Esistono gap di genere

La scuola e la famiglia trasmettono implicitamente aspettative diverse per maschi e femmine. Il risultato è che, a parità di competenze, le ragazze tendono a sentirsi meno adatte alle materie scientifiche, mentre i ragazzi si sentono più legittimati a proseguire in quei percorsi.

Secondo i dati della Commissione Europea 2024, l’Italia si colloca al 19esimo posto tra i 27 Stati membri dell’Unione europea per percentuale di ricercatrici, appena al di sopra della media UE. Secondo l’Unesco, a livello internazionale meno del 30% delle persone che si occupano di ricerca sono donne. Solo il 30% di tutte le studentesse sceglie i campi legati alle STEM nell’istruzione superiore. A livello globale, l’iscrizione delle studentesse è particolarmente bassa nei settori delle ICT (3%), delle scienze naturali, della matematica e della statistica (5%).
Secondo il punteggio Women in Digital (Plan International) l’Italia si posiziona 25esima tra 28 paesi europei: ben 12 posizioni sotto la media europea per parità di genere digitale. La percentuale di iscritte alle università STEM è del 37%, ma solo il 15% sceglie le IT (Anvur). Le donne rappresentano quasi la metà (49,3%) dell’occupazione totale nelle professioni non STEM, ma solo il 29,2% di tutti i lavoratori STEM (World Economic Forum, Global Gender Gap Report 2023).

“Servono quindi politiche attive, non solo “quote rosa”, ma anche borse di studio e un linguaggio più inclusivo che renda questi ambiti accoglienti per tutti”

segnala Donata Columbro, Giornalista, divulgatrice e scrittrice.

“Alcune facoltà, come biologia o medicina, hanno quasi colmato il divario, ma in altre – come informatica o ingegneria – la distanza resta grande. Lo studio della Commissione Europea “Donne nell’era digitale” dimostra che in Europa solo 24 laureate su 1000 hanno una specializzazione collegata all’ICT – delle quali solo sei trovano lavoro nel settore digitale. Infine, in Europa ci sono quattro volte più uomini che donne che portano a termini studi correlati all’ICT. La quota di uomini che lavorano nel settore digitale è 3,1 volte maggiore di quella delle donne”.

Le indicazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a scopo informativo e divulgativo e non intendono in alcun modo sostituire la consulenza medica con figure professionali specializzate. Si raccomanda quindi di rivolgersi al proprio medico curante prima di mettere in pratica qualsiasi indicazione riportata e/o per la prescrizione di terapie personalizzate.