C’è una regola che non va mai dimenticata. Lower is better, più basso è e meno è. Quanto più si riduce il colesterolo LDL, quello definito cattivo che rappresenta un vero e proprio fattore causale dell’infarto, più efficace può essere la protezione dalle malattie cardiovascolari, come infarto ed ictus.
Ma attenzione: non si deve ragionare solo sul colesterolo. Occorre invece pensare ai fattori chiave di rischio cardiovascolare globale. La prevenzione di infarto ed ictus non può essere limitata al controllo di un unico “fattore di rischio”. Bisogna agire contro i vari nemici che si presentano, anche perché il loro effetto negativo sul cuore non si somma, ma si moltiplica.
Pensate solo che in base ai risultati ormai storici dello Studio di Framingham, una ricerca che ha seguito tutti gli abitanti di una cittadina Usa per molti anni, avere un colesterolo totale nel sangue che sale fino a 300 milligrammi per decilitro di sangue significa aumentare di quattro volte il rischio di andare incontro ad un infarto. Ma se chi ha questo parametro alterato è anche fumatore, diabetico ed ha la pressione alta il pericolo di avere un attacco di cuore sale di dieci volte. Per questo deve essere il medico ad indicare quali stili di vita adottare e quando e come impiegare eventuali farmaci per ridurre il colesterolo LDL, in base al profilo di rischio. che è diverso da persona a persona.
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Non solo dieta per ridurre il colesterolo
In termini generali, se non esiste un profilo di rischio particolarmente temibile (non stiamo quindi parlando di soggetti che hanno già avuto un infarto è hanno comunque un rischio elevato di evento acuto) per l’ipercolesterolemia (modesta) come per l’aumento dei trigliceridi secondo gli esperti occorre innanzitutto puntare sugli stili di vita.
In questo senso l’integratore può essere un primo approccio per chi ha valori di colesterolo leggermente elevati ma, d’accordo con il medico, punta a migliorare lo stile di vita. Quando ciò non risulti sufficiente, in quei pazienti considerati ad alto rischio cardiovascolare in quanto in prevenzione secondaria oppure perché diabetici o con ipercolesterolemia e/o ipertrigliceridemia severa, è necessario ricorrere alla terapia farmacologica.
Fatta questa necessaria introduzione, esistono anche integratori e nutraceutici che possono aiutare. Si tratta di classi diverse di prodotti. Con il termine alimenti funzionali si definiscono i cibi ricchi o artificialmente arricchiti di sostanze naturali (per lo più vegetali) con proprietà salutistiche e azioni farmacologiche dimostrate, come, ad esempio, gli alimenti contenenti fibre, fitosteroli, omega-3, proteine della soia.
Diversi sono i nutraceutici spesso definiti anche integratori. Si tratta di sostanze di estrazione naturale (anch’esse per lo più vegetale) con azioni farmacologiche dimostrate, come, ad esempio, il bergamotto, la berberina, le monacoline, i policosanoli. Il razionale dell’impiego di queste sostanze nasce dalle loro peculiari azioni che efficacemente incidono sul metabolismo lipidico.
Come si abbassa il colesterolo
Partiamo dai fitosteroli. Gli steroli vegetali o fitosteroli possono contribuire a ridurre l’assorbimento intestinale di colesterolo. Ma non bisogna dimenticare che i nutraceutici possono avere un ruolo. Le classi di nutraceutici più utilizzate per ridurre il colesterolo sono: berberina, monacolina K (prodotto di fermentazione del riso rosso) e policosanoli.
La monacolina K inibisce la sintesi epatica di colesterolo. È contenuta nel riso rosso fermentato.
La berberina riduce il colesterolo aumentando l’attività e la disponibilità dei recettori epatici per le LDL ed ha anche un’azione ipoglicemizzante, legata probabilmente alla sua capacità di far aumentare l’espressione di recettori per l’insulina.
A tavola, poi, non bisogna mai far mancare le fibre. Possono infatti limitare l’assorbimento intestinale del colesterolo favorendo quindi la sua eliminazione con le feci. Effetti positivi sul colesterolo sono stati descritti per varie fibre: chitosano, pectine, glucomannano, beta-glucano (quest’ultimo ha effetti benefici anche sui valori della glicemia). Il tutto senza dimenticare i polifenoli.
Conta anche come si mangia
Bisogna mangiare lentamente, anche per ridurre il rischio di sviluppare aumenti del colesterolo. A dirlo è uno studio condotto da Giovanna Muscogiuri, ricercatrice in endocrinologia, insieme a Luigi Barrea, professore di Scienze e Tecniche Dietetiche Applicate, e al gruppo di ricerca del Centro Italiano per la cura e il benessere dei pazienti con obesità del Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia – Unità di Endocrinologia dell’Università Federico II di Napoli, diretto da Annamaria Colao.
La ricerca ha coinvolto 187 persone con obesità delle quali sono state indagate le abitudini a tavola, compresa la durata dei pasti: mettendo a confronto chi pranza e cena in meno 20 minuti con chi prolunga oltre il piacere della tavola, è emerso chiaramente che consumare i pasti in gran velocità raddoppia il rischio di sviluppare il colesterolo alto, specialmente in chi è ultra-rapido a cena.
“Il colesterolo è un fattore di rischio noto per malattie cardiovascolari come infarto e ictus, ma non è il solo elemento metabolico che peggiora con un pasto troppo frettoloso – spiega Annamaria Colao. Studi precedenti hanno mostrato che mangiare troppo rapidamente si associa a un aumento del consumo di cibo e anche il nostro lavoro lo conferma, aggiungendo che chi pasteggia in pochi minuti consuma più spesso un pasto completo con primo, secondo, contorno e frutta. Inoltre fra i cibi che possono essere mangiati più velocemente ci sono quelli ultra-processati (come alcuni insaccati) che, oltre a essere molto calorici e poco sani, ci rendono anche meno capaci di controllare l’introito calorico”.
Il risultato è che ingurgitare cibo alla velocità della luce si associa a un maggior rischio non solo di colesterolo alto, ma anche di sovrappeso e obesità.
Come agiscono i farmaci per abbassare il colesterolo LDL
L’obiettivo da raggiungere con la terapia ipolipemizzante è legato al profilo di rischio del singolo paziente e ad eventuali fattori protettivi. Il medico può prescrivere diversi farmaci, che dipendeno dall’eventuale presenza di più fattori di rischio, ma anche di fattori protettivi. Vediamo, in sintesi, l’azione di alcuni tra i farmaci più impiegati.
Le statine agiscono riducendo la sintesi epatica di colesterolo. Ezetimibe invece blocca l’assorbimento intestinale di colesterolo. Gli studi hanno dimostrato che, in associazione alle statine e non contribuisce a ridurre il rischio cardiovascolare. L’acido bempedoico è un trattamento orale first-in-class che abbassa i livelli di colesterolo LDL e può essere associato ad altri trattamenti orali per contribuire a ridurlo ulteriormente. Inibisce l’ATP citrato-liasi (ACL), un enzima coinvolto nella sintesi del colesterolo nel fegato.
Nei casi più complessi e quando è necessario ridurre in modo più significativo il colesterolo si può ricorrere agli Inibitori di PCSK9 che inibendo la funzione della proteina PCSK9, consentono ai recettori delle LDL di essere più volte ‘riciclati’ sulla superficie cellulare, dove ‘catturano’ e rimuovono dal sangue le LDL, o ad Inclisiran.