Aviaria, in Messico il primo morto al mondo per contagio umano: rischio nuova pandemia?

L’aviaria H5N2 nel Messico è stata responsabile di almeno tre recenti focolai negli allevamenti di pollame

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

È messicana la prima persona vittima di influenza aviaria H5N2 nel mondo. La conferma è arrivata ieri attraverso esami di laboratorio da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’uomo di 59 anni è deceduto ad aprile, ma era già affetto da altre patologie.

L’Oms ha precisato in una nota che questo caso non modifica il livello di rischio per l’influenza aviaria nella popolazione, considerato “basso”. Il Messico ha affermato che l’aviaria non sarebbe la causa della morte dell’uomo.

Scoppiati focolai nel mondo, i casi monitorati

In Messico, la presenza dell’aviaria H5N2 ha causato almeno tre focolai recenti negli allevamenti di pollame. Non è ancora chiaro come l’uomo abbia contratto l’infezione, poiché non ci sono segnalazioni di esposizioni ad animali nel suo caso. I familiari e i contatti della vittima sono risultati negativi ai test per i diversi ceppi influenzali, ma attualmente sono in corso esami sierologici per verificare la presenza di un’infezione passata.

Il virus H5N2 coinvolto nel caso messicano non è presente in Europa, compresa l’Italia, e non corrisponde al ceppo noto come “ad alta patogenicità” H5N1, che è motivo di preoccupazione per gli scienziati. Quest’ultimo ceppo, denominato B3.13 dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, ha colpito per la prima volta nella storia anche i bovini negli Stati Uniti, causando un’epidemia che ha interessato 83 mandrie in 9 Stati.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare datato dicembre 2023-marzo 2024, le infezioni umane da influenza aviaria rimangono rare e fino a quel periodo non era stata osservata alcuna trasmissione da uomo a uomo. Oltre ai tre lavoratori ammalatisi negli Stati Uniti, il rapporto menziona cinque casi di infezioni umane da H5N1 in Cambogia (con un decesso) e sette in Cina (con due vittime), causate da ceppi di aviaria H5N6, H9N2 e H10N5 (è la prima volta che si osserva un contagio umano per questo ceppo).

Aviaria, l’Oms sconsiglia di bere latte crudo

Questa epidemia è oggetto di monitoraggio attento a causa della vicinanza degli animali all’uomo e perché il virus è stato trovato in una vasta gamma di latticini in commercio, nelle acque reflue del Texas, nel latte crudo e nel tessuto muscolare di una mucca malata, secondo analisi condotte dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti. Questo suggerisce una possibile sottostima dei casi reali a causa della presenza di probabili soggetti asintomatici nel bestiame e forse anche negli esseri umani.

“In tutti i Paesi le persone dovrebbero consumare latte pastorizzato perché il virus è stato rilevato nel latte crudo negli Stati Uniti, ma i test preliminari mostrano che la pastorizzazione lo uccide”, ha detto il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus. Le sue parole confermano quanto era già stato affermato in precedenza dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti che sosteneva che “il rilevamento dell’RNA virale non rappresenta di per sé un rischio per la salute per i consumatori e ci aspettiamo di trovare questo materiale genetico residuo se il virus era nel latte crudo ed è stato inattivato dal processo di pastorizzazione per inattivare i patogeni”.

Questi dati, uniti alla segnalazione che l’influenza aviaria ha infettato numerosi gatti e mammiferi di 60 specie diverse (l’ultima specie segnalata sono i topi, con 11 esemplari individuati nel New Mexico), hanno sollevato preoccupazioni riguardo alla possibilità che il ceppo H5N1 possa “saltare” e diffondersi più ampiamente, trovando un mezzo efficiente per trasmettersi da persona a persona. Questo scenario è considerato un possibile preludio alla prossima pandemia influenzale, come molti esperti temono.

La situazione in Italia: H5N1 non è stata mai rilevata in Europa

In Europa e in Italia, la situazione riguardo al ceppo H5N1 dell’influenza aviaria presenta alcune peculiarità.

Secondo i dati del Ministero della Salute italiani aggiornati ad aprile 2024, è stato confermato un solo focolaio di influenza aviaria ad alta patogenicità in un allevamento di pollame nel mese di febbraio di quest’anno. Nel periodo tra marzo e dicembre 2023, invece, erano stati segnalati 11 focolai. Nel contesto europeo, nello stesso arco temporale, sono stati identificati 88 focolai di influenza aviaria nel pollame e 175 nei volatili selvatici, in un totale di 23 Paesi. Il virus ha colpito mammiferi solo in Finlandia, dove sono stati registrati casi in allevamenti di animali da pelliccia.

Sebbene questo ceppo sia diffuso nella fauna avicola di tutti i continenti, con segnalazioni anche in luoghi remoti come l’Antartide, attualmente in Europa il numero complessivo di rilevamenti del virus “ad alta patogenicità” negli uccelli è significativamente inferiore rispetto agli anni precedenti, come riportato nel rapporto dell’Efsa.

Per quanto riguarda i bovini, non è mai stato rilevato il ceppo H5N1 in Europa, neanche in passato. Attualmente, si sta svolgendo un’attività di verifica con test sierologici tra i bovini nei paesi europei dove il virus è circolato di più in passato, come in Italia, Germania e Francia. Fino ad ora, gli esiti sono stati negativi, il che suggerisce una bassa diffusione del virus tra i bovini in queste regioni.

Fabrizio Pregliasco, professore di Igiene presso l’Università degli Studi di Milano e direttore dell’Irccs Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio di Milano, esprime però preoccupazione per la prima morte umana nel mondo causata dal nuovo ceppo di influenza aviaria A/H5N2, sottolineando la necessità di essere preparati per evitare situazioni simili a quelle verificatesi con il Covid-19. Riguardo al caso della donna deceduta in Messico, Pregliasco osserva che non vi è ancora chiarezza: “Dalle informazioni disponibili, sembra che la vittima non abbia avuto contatti con animali infetti. Potremmo quindi trovarci di fronte a un possibile contagio da uomo a uomo“.

Aperta una task force in Emilia-Romagna per contrastare le pandemie

Dopo l’emergenza Covid, in molti adesso temono l’arrivo di nuove pandemie; negli ultimi mesi, oltre ai casi di aviaria, sono stati trovati anche casi di Dengue nell’uomo. Per questo l’Emilia-Romagna ha attivato una task force che porterà ad indentificare e riconoscere il virus dopo due giorni.

“Non possiamo dire con certezza quale sarà questo virus”, spiega Vittorio Sambri, professore, microbiologo e responsabile del laboratorio analisi di Pievesestina (Cesena) per le malattie infettive della regione Emilia-Romagna, “anche se statisticamente ci aspettiamo che sia un nuovo virus influenzale. Non sappiamo neanche quando arriverà, ma l’esperienza con il Covid-19 ci ha insegnato l’importanza di essere pronti, e ora lo siamo.”

L’Ausl Romagna, seguendo il piano pandemico nazionale, ha elaborato un piano regionale aggiornato che definisce chiaramente le azioni da intraprendere e le responsabilità in caso di una nuova pandemia. Negli ultimi tre mesi, sono state condotte esercitazioni coinvolgenti tutti gli attori che potrebbero essere coinvolti nella gestione di una nuova emergenza, simulando diversi scenari per migliorare la preparazione generale.

Queste esercitazioni hanno incluso la preparazione per la potenziale necessità di nuove mascherine e un aumento dei posti letto nelle terapie intensive. Grazie ai fondi del Piano nazionale per gli investimenti complementari del Pnrr, gestito dalla Regione Emilia-Romagna, i laboratori sono ora molto più attrezzati rispetto al periodo pre-Covid-19. Nuove tecnologie, sviluppate con investimenti milionari, consentono di identificare rapidamente nuovi virus e stabilire test diagnostici rapidi entro 48/72 ore.