Liquidazione agli statali, sentenza cambia tutto

Una sentenza della Corte costituzionale obbliga lo Stato a liquidare senza ritardi i Tfs ai dipendenti pubblici andati in pensione. Il nodo della questione è trovare i soldi

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Quando un dipendente pubblico va in pensione il suo Tfs (Trattamento di fine servizio) non viene erogato subito. Possono infatti volerci anche degli anni affinché uno statale a riposo possa incassare il meritato Tfs.

Tfs dipendenti pubblici: la Corte costituzionale cambia tutto

La querelle fra politica, enti previdenziali e sindacati va avanti da quasi trent’anni, ma oggi è la magistratura a segnare il punto di svolta: la Corte costituzionale con la sentenza 130 pubblicata il 23 giugno 2023 mette nero su bianco che elargire agli ex dipendenti in maniera ritardata il pagamento del Tfs è incostituzionale. Il governo dovrà immediatamente trovare 14 miliardi di euro per scongiurare il rischio che si crei una voragine nei conti dell’Inps.

Il meccanismo del pagamento ritardato è stato introdotto nel 1997. La ratio del provvedimento, pensato come stratagemma temporaneo, era quella di dare ossigeno ai conti pubblici. Inizialmente il differimento del Tfs doveva avvenire a 12 mesi dall’uscita dal lavoro per limiti d’anzianità e a 24 mesi in tutti gli altri casi. Governo dopo governo però i tempi sono andati dilatandosi sempre di più. Nel 2010 venne anche introdotta la rateizzazione dei Tfs superiori ai 100mila euro.

Nel frattempo il Tfs ha anche cambiato nome: gli ultimi dipendenti a percepirlo saranno quelli assunti entro dicembre 2000, tutti gli altri avranno un Tfr come i lavoratori privati (Trattamento di fine rapporto). La normativa finora ha uniformato i nomi, ma non le tempistiche: per la liquidazione dei Tfr privati occorrono poche settimane e non anni come nel settore pubblico.

Tfs: la sentenza della Consulta contro ritardi e rate

Secondo i supremi giudici il pagamento ritardato delle liquidazioni degli statali “contrasta” con il principio costituzionale della giusta retribuzione, di cui tali prestazioni costituiscono una componente; principio che si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione”. E la rateizzazione “aggrava il vulnus”.

Soddisfatti i sindacati che chiedono a governo e parlamento di provvedere a ridefinire la normativa affinché vengano accelerati i tempi di elargizione dei Tfs arretrati.

Secondo le stime oggi sarebbero 1 milione e 650 mila gli ex dipendenti pubblici che attendono il Tfs.

La sentenza della Consulta, però, non è un fulmine a ciel sereno: già nel 2019 i supremi giudici avevano chiesto alla politica di affrontare la faccenda. “A tale monito – viene messo nero su bianco nella sentenza – non ha fatto seguito l’individuazione dei rimedi”.

La Corte ha anche criticato la legge che permette agli ex dipendenti pubblici di ottenere l’anticipo della liquidazione tramite un prestito oneroso perché tale scelta “ha riversato sullo stesso lavoratore il costo della fruizione di un emolumento che è parte del compenso dovuto per il servizio prestato”.

Corte costituzionale: Tfs statali da versare in modo graduale

È la stessa Corte a offrire una via alla politica suggerendo di accorciare i tempi in maniera “graduale” così da non far implodere i conti dell’Inps. Tale uscita graduale sarà da realizzarsi “in ossequio ai principi di adeguatezza della retribuzione, ragionevolezza e proporzionalità” e dovrà partire “dai trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri”.