La rivoluzione politica di Winston Churchill: come ha vinto la Seconda Guerra Mondiale

Gigante politico del Novecento, Churchill ha guidato il Regno Unito e gli Alleati nella guerra contro Hitler e Mussolini. E ha "previsto" la storia, con intuizioni oggi ancora valide

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Nella sua autobiografia, intitolata “The Moon’s a balloon” (“La Luna è un pallone”), il grande attore inglese David Niven racconta il suo incontro con Winston Churchill nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Il primo ministro non mostra il minimo dubbio sull’esito del conflitto: “Vinceremo noi e i nazisti saranno sconfitti, non c’è alcun dubbio”. “Come fa a esserne sicuro, sir?”, gli chiede Niven. “Perché, giovanotto, io studio la storia“.

Questo aneddoto la dice lunga sull’approccio razionale e calcolatore di uno dei politici più influenti del Novecento e dell’intera storia umana: Winston Churchill, per l’appunto. Un autentico gigante del secolo scorso, che proprio grazie alle sue intuizioni è riuscito a vincere la guerra contro le potenze dell’Asse. Ed è riuscito a infondere speranza e forza in milioni di sudditi di Sua Maestà anche nei momenti più bui di un conflitto spaventoso e terribile.

Chi era Winston Churchill e cosa ha fatto

La carriera politica di Churchill comincia col Novecento. Nato nel 1874, viene eletto deputato la prima volta nel 1904, tenendo fede alla tradizione di famiglia (anche il padre e il nonno, infatti, entrarono in Parlamento), che apparteneva ai massimi ranghi dell’aristocrazia britannica. La guerra l’aveva già conosciuta negli anni precedenti: assegnato al IV reggimento Ussari dell’esercito di Sua Maestà, si ritrovò a Cuba durante la guerra d’indipendenza dalla Spagna, in India e in Sudan.

Passato dal partito conservatore a quello liberale per divergenze di vedute, Churchill divenne nel 1905 sottosegretario alle Colonie, il suo primo incarico ministeriale. L’anno successivo venne nominato ministro del Commercio, fondando un sodalizio col cancelliere dello Scacchiere (l’antico modo con cui veniva chiamato il primo ministro) Lloyd George, col quale formò la coppia presto ribattezzata da media e popolazione “i gemelli terribili”. Nel frattempo scrive libri, incontra personaggi di primissimo livello internazionale, ma commette anche errori che gli inglesi ancora oggi rammentano.

D’altronde la sua carriera politica è stata una delle più longeve della storia: oltre 50 anni, dal 1904 al 1955, ultimo suo anno da primo ministro. Nel mezzo è stato anche capace di vincere il Premio Nobel per la Letteratura, nel 1953, “per la sua padronanza della descrizione storica e biografica e per la brillante oratoria in difesa dei valori umani”.

Il ruolo di Churchill nella Guerra Mondiale

Dicevamo degli errori attribuiti a Winston Churchill. Uno di questi risale alla Prima Guerra Mondiale, quando l’allora primo Lord dell’Ammiragliato avvia un processo di profonda modernizzazione della Marina militare britannica e insiste per l’invio di un corpo di spedizione anglo-francese per conquistare Costantinopoli e lo Stretto dei Dardanelli, nella Turchia ottomana. L’iniziativa si trasforma in disastro e Churchill è costretto a dimettersi.

All’inizio del suo mandato da premier, nel 1940, molti inglesi erano comprensibilmente molto scettici sulle qualità di Churchill come stratega bellico. Dalla sua aveva però la fama di grande pensatore, intellettuale e studioso ai limiti della genialità e del “vate”. Le sue previsioni sono diventate celebri e apprezzate soprattutto dopo la sua morte, avvenuta nel 1965. Quando, negli Anni Trenta, tutto il resto d’Europa (compreso il governo britannico) era convinto di assecondare le azioni della Germania di Hitler per “tenerlo buono”, Churchill insistette con forza per contrastare i nazisti. “Hitler deve invadere o fallire. Se fallisce è obbligato ad andare a est, e fallirà“, è una delle sua intuizioni più famose. E così è stato.

Un atteggiamento che però non ebbe nei confronti dell’Italia fascista, almeno all’inizio, visto che quando Mussolini invase l’Etiopia nel 1935 Churchill si oppose con forza all’applicazione di sanzioni internazionali e sostenne la necessità di arrivare a un accordo. Ciononostante, la Seconda Guerra Mondiale Churchill l’ha praticamente vinta da solo, arriva ad affermare con non poco coraggio qualche studioso. “Era come se tutta la mia vita fosse stata una lunga preparazione a quel momento”, scrisse lui stesso quando fu eletto primo ministro, il 10 maggio 1940.

Come Churchill ha vinto la Seconda Guerra Mondiale

Dopo l’invasione tedesca della Polonia, nel 1939, molti inglesi vedevano in Churchill un sessantenne fallito che aveva commesso gravi errori al governo. La sua fama di grande leader e politico era però destinata a decollare presto. La prima grande intuizione fu quella di evitare che la Spagna, uscita dalla Guerra civile, si unisse ai nazisti e fece in modo di corrompere i generali franchisti con grandi quantità d’oro.

Nel frattempo però l’esercito nazista aveva invaso il Belgio e dilagava in Francia. Gli inglesi di Churchill intervennero al fianco degli alleati, ma la forza dirompente della Germania di Hitler li travolse, lasciando ferite ancora oggi non completamente rimarginate come la Battaglia di Dunkerque (o Dunkirk) e l’Operazione Dynamo con cui oltre 300mila soldati occidentali si ritirarono con successo via mare, ma lasciando sul campo migliaia e migliaia di morti. Il grande insegnamento di Churchill fu però proprio questo: non perdere mai la testa e la speranza anche nei momenti più bui. “Noi combatteremo sulle spiagge” divenne il titolo di uno dei più famosi discorsi che correvano tra le truppe, pronunciato da Churchill subito dopo l’operazione.

Quella decisiva “vittoria morale”, come la definirono gli analisti, conseguita a Dunkerque mostrò che i tedeschi non erano invincibili. Il “Dunkirk spirit” divenne un esempio per inglesi e francesi a proseguire la guerra contro chi voleva annientare il mondo e fu al centro dei discorsi di fuoco che Churchill, grandissimo oratore, pronunciò in quegli anni e che risollevarono sorti e morale delle truppe alleate. Ma il premier fece anche di più: nel 1941, quando gli Usa erano ancora decisi a non intervenire nella guerra europea, firmò con Roosevelt la Carta Atlantica. Churchill aveva di fatto preparato e regolamentato l’entrata in guerra degli Stati Uniti, facendo mettere per iscritto nessuna delle due nazioni avrebbe cercato di ingrandirsi territorialmente. Poi ci fu Pearl Harbor, in cui il Giappone attaccò direttamente gli Usa nel Pacifico, ma la strada era già stata tracciata.

Churchill persuase poi Roosevelt sull’importanza di inviare aiuti all’Unione Sovietica di Stalin che, nonostante a inizio guerra si fosse alleata con la Germania di Hitler, era destinata a essere invasa. Il premier britannico lo sapeva e l’aveva ampiamente previsto. Nel 1942 Churchill autorizzò il generale inglese Bernard Montgomery a lanciare una controffensiva con più uomini e mezzi. Italiani e tedeschi cominciarono a ritirarsi, anche a causa dello sbarco degli Alleati anche in Nord Africa. Promosse poi una prima conferenza a Washington con tutte le nazioni in guerra contro il Tripartito (Italia, Germania e Giappone): nacque il primo patto delle Nazioni Unite. Altra grande intuizione: l’Italia “è il ventre molle dell’Asse”. Detto, fatto: gli Alleati sbarcano in Sicilia, grazie proprio alla liberazione del Nord Africa voluta da Churchill in prima istanza. Il resto, come si suol dire, è storia nota.

Le intuizioni e il pensiero di Churchill

Che l’umanità fosse a una svolta, Churchill l’aveva scritto al presidente americano Roosevelt già nel 1940: “Se vinceremo la guerra, dovremo assumerci la grave responsabilità di un nuovo ordine mondiale”. Certo, altre sue posizioni hanno fatto discutere e fanno discutere ancora oggi: dall’opposizione contro il femminismo delle suffragette (disse che “le uniche donne che potevano desiderare ansiosamente il voto appartenevano alla classe meno desiderabile”) all’idea di un suprematismo britannico, la cui missione civilizzatrice avrebbe giustificato la colonizzazione dell’India con annesse stragi di civili.

Le sue intuizioni sulla Russia, invece, furono talmente brillanti da rimanere valide ancora oggi: “Non so farvi una previsione sul comportamento della Russia. La Russia è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro un enigma. Ma forse una chiave c’è: la chiave è l’interesse nazionale russo“.