“Or bene” gli disse il bravo all’orecchio, ma in tono solenne di comando, “questo matrimonio non s’ha da fare, né ora, né mai”
Avrebbero potuto (e dovuto) andarsi a rileggere il primo capitolo de I Promessi Sposi, Matteo Renzi e Carlo Calenda, prima di avventurarsi in un’esperienza politica comune che si è rivelata tanto fulminea quanto travagliata. Probabilmente, nessuno dei due aveva in mente Alessandro Manzoni quando decisero di presentarsi assieme alle elezioni politiche del 2022, dando vita al cosiddetto Terzo Polo e raccogliendo circa 2,1 milioni di voti. Una soglia che permise alla coalizione di eleggere 21 deputati (di cui 12 nelle file di Azione e 9 militanti di Italia Viva) e 9 senatori (di cui 5 di Italia Viva e 4 di Azione).
Ebbene, a distanza di appena un anno da quel momento di svolta (propiziato dalla rinuncia improvvisa di Calenda, che scelse di non correre assieme al Partito Democratico guidato da Enrico Letta), i gruppi parlamentari citati sopra si sono frantumati come pietre in un dirupo. I due leader faticano a salutarsi, mentre non passa giorno senza che i rappresentanti e gli eletti dei due schieramenti si lancino frecciatine e stoccate a favore di stampa e televisioni.
Italia Viva chiede il divorzio, ma Azione fa ostruzionismo: la contesa (economica) tra i partiti del Terzo Polo
Ora, aldilà della separazione annunciata a parole ormai da diversi mesi, il vero problema all’ordine del giorno è diventato quello economico. Fino ad oggi, infatti, il terreno di scontro tra le due pattuglie si è articolato solo sulle battaglie politiche (pro o contro il salario minimo, pro o contro la tassa sugli extraprofitti delle banche, pro o contro l’imposta sui patrimoni ereditati), ma d’ora in avanti si dovrà discutere di denaro contante, di fondi in cassa, di finanziamenti e di molto altro.
La situazione al momento è questa: al Senato i renziani sono sette, un numero che consente loro di dare vita ad un proprio gruppo autonomo (la soglia minima è stata abbassata da 10 a 6 proprio durante l’ultimo cambio di legislatura di un anno fa), mentre i calendiani sono solo 4. Stando così le cose, questi ultimi sarebbero costretti a confluire nel Gruppo Misto, ma nelle ultime ore hanno presentato una richiesta ufficiale al presidente d’aula Ignazio La Russa per una convivenza coatta assieme agli ex alleati.
Quanto vale un gruppo autonomo in Parlamento e quali sono i benefici per gli eletti
La questione può sembrare di poco conto, ma non è così. La possibilità di poter usufruire di un gruppo parlamentare autonomo porta in dote oltre 400mila euro l’anno, se si considerano i rimborsi previsti dal regolamento del Senato, un congruo numero di stanze dove gli eletti si incontrano e lavorano, gli addetti alla segreteria, gli impiegati dell’ufficio stampa e la copertura delle spese per l’utilizzo delle apparecchiature telefoniche e tecnologiche.
Sommate assieme, tutte queste voci rappresentano un costo tutt’altro che indifferente per qualsiasi partito, figuriamoci per chi non gode di un consenso elettorale ampio nel Paese e deve sperare di sopravvivere alle prossime elezioni europee. Qualunque esito si avrà dal procedimento di separazione in Parlamento, c’è da scommettere che entrambi gli schieramenti metteranno mano ai fondi del 2 per mille in vista dell’appuntamento alle urne del prossimo giugno: da una parte, Italia Viva nel 2022 ha raccolto 973mila euro di donazioni, mentre per Azione le entrate hanno sfiorato il totale di 1,2 milioni di euro.