Sfiducia a Ursula von der Leyen, c’è la data del (possibile) addio: chi c’è dietro

Ursula von der Leyen rischia di cadere per il caso Pfizergate, ma non solo. Il 10 luglio si deciderà se procedere con la mozione di censura. Chi vuole escludere la presidente

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pubblicato: 4 Luglio 2025 13:23

Il prossimo 10 luglio Ursula von der Leyen sarà chiamata ad affrontare le forche caudine del voto di sfiducia, detto anche mozione di censura.

La mozione è stata formalizzata da Georghe Piperea, eurodeputato rumeno appartenente al gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (Ecr).

Perché la mozione di sfiducia contro von der Leyen

La motivazione riguarda il cosiddetto Pfizergate, ovvero le accuse rivolte a von der Leyen di aver gestito in modo opaco la negoziazione dei contratti per i vaccini anti-Covid con Pfizer, mantenendo riservati presunti scambi di messaggi con il Ceo Albert Bourla.

Il testo della mozione si spinge oltre, accusando la Commissione anche di abusi nell’applicazione del Digital Services Act, con cui avrebbe tentato, secondo i promotori, di influenzare processi elettorali negli Stati membri, e di aver aggirato le regole comunitarie per approvare il programma di riarmo europeo (Rearm Eu) con procedure straordinarie.

In totale, 79 eurodeputati hanno sottoscritto la mozione, superando la soglia minima. Di questi, 27 appartengono al gruppo Ecr, 26 al gruppo dei sovranisti di Esn (Identità e Democrazia), 6 ai Patrioti, e 18 sono non iscritti. Nessun gruppo politico, però, ha ufficialmente adottato la mozione come propria.

La sessione di voto si svolge per appello nominale e ogni deputato voterà in pubblico.

Chi rema contro von der Leyen

Nonostante la mozione sia stata avanzata da esponenti della destra, le critiche a Ursula von der Leyen si stanno moltiplicando anche in settori diversi dello spettro politico. Tuttavia, al momento, sono proprio gli euroscettici e gli ultraconservatori a guidare il fronte dell’opposizione.

Il gruppo Ecr si è però diviso: solo un terzo dei suoi membri ha firmato la mozione, mentre si sono dissociate forze come Fratelli d’Italia, che in Ecr è centrale. Giorgia Meloni, pur tra alti e bassi con von der Leyen, non sembra disposta a sostenere l’iniziativa, probabilmente per non destabilizzare il processo in corso per la formazione della nuova Commissione, in cui FdI ambisce a un ruolo centrale.

Ovviamente il Partito Popolare Europeo (Ppe), di cui von der Leyen fa parte, ha subito ribadito il pieno sostegno alla sua presidente. I Socialisti (S&D), pur critici su alcuni dossier, hanno escluso categoricamente di votare insieme all’estrema destra, ritenendo la mozione una mera operazione strumentale. Resta al momento da definire la posizione del gruppo della Sinistra europea (The Left), che chiede un cambio di rotta politico ma senza prendere per ora una posizione chiara sulla sfiducia.

Cosa succede se passa la sfiducia

La mozione di sfiducia per essere approvata ha bisogno della maggioranza dei membri del Parlamento europeo con due terzi dei voti. Molto difficile che si raggiunta il numero senza il sostegno compatto di almeno uno dei più grandi gruppi. In ogni caso, la sola esistenza della mozione rappresenta un campanello d’allarme per la leadership di Ursula von der Leyen.

Nel remoto caso in cui la mozione fosse approvata, l’intera Commissione europea sarebbe costretta a dimettersi. A quel punto si aprirebbe una crisi istituzionale e il Consiglio europeo dovrebbe individuare un nuovo nome da sottoporre al Parlamento.

A beneficiarne potrebbero essere alcuni tra i leader più critici nei confronti della presidente uscente, come Viktor Orban, che potrebbero guadagnare margine negoziale nella definizione dei futuri equilibri Ue. Ma il rischio, in caso di crisi, sarebbe quello di un blocco prolungato delle politiche Ue in un momento in cui l’Unione è chiamata a gestire sfide storiche: la transizione verde (che vede in prima linea l’automotive e le case green), la guerra in Ucraina, le tensioni commerciali con i dazi di Trump e il riarmo europeo.