Il discusso Nobel a Salvatore Quasimodo

Perché parte del mondo letterario italiano criticò aspramente il premio Nobel ricevuto da Quasimodo: la furia di Ungaretti

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Nato nel 1901 e deceduto nel 1968, Salvatore Quasimodo è stato un celebre poeta, importante esponente dell’ermetismo. A ciò si aggiunge la sua carriera di traduttore, di grande rilevanza. Fu infatti impegnato nella traduzione di svariati componimenti d’età classica, ma anche di opere teatrali di Moliere e Shakespeare. Considerando uno dei più importanti esponenti della cultura letteraria italiana del XX secolo, eppure il Premio Nobel per la letteratura ricevuto nel 1959 scatenò furenti proteste.

La protesta di Ungaretti

Resa pubblica la corrispondenza tra Giuseppe Ungaretti e il critico francese Jean Lescure, abbiamo modo di comprendere fino in fondo l’astio provato dal celebre poeta nei confronti del collega Salvatore Quasimodo: “Un pappagallo e un pagliaccio”.

Siamo abituati a rapportarci con queste figure come se non fossero umane, ma immobili nel tempo e vive unicamente attraverso i loro scritti. Si trattava però di uomini e la loro poeticità non li proteggeva dai normali rapporti umani.

Per quanto possa stridere tutto ciò con gli insegnamenti scolastici, la verità dell’astio verso Quasimodo è reale. Il motivo per il quale il Nobel era da lui considerato tutt’altro che meritato è presto spiegato. Ungaretti riteneva infatti che i meriti antitotalitari del collega fossero stati di colpo retrodatati. Ovvero che si stesse riscrivendo la sua storia personale, fingendo di non conoscere ciò che lui, come altri, aveva fatto.

Nelle lettere ha spiegato come in Italia soltanto dodici professori universitari erano stati privati della propria cattedra, scegliendo di non prestare giuramento di fedeltà al regime. E Quasimodo? “Ha collaborato per 20 anni alle riviste fasciste di più stretta osservanza. I suoi poemi sulla Resistenza vennero scritti dopo la fine della Resistenza, molto dopo, perché era la moda”.

Il dibattito su Quasimodo

Chi con lui e chi contro, tanto si è scritto su Salvatore Quasimodo, anche dopo la sua morte. Gianni Brera citò l’invidia dei letterati per il Nobel ricevuto dal poeta siciliano, nel necrologio scritto. Montale aveva in precedenza strigliato il collega con ironia: “C’è modo e ‘quasimodo’ di fare la poesia”.

Già parlato dell’odio profondo di Ungaretti, mentre il letterato Luigi Russo, in merito a quell’altissimo riconoscimento, disse: “Ma perché codesti accademici svedesi non cambiano mestiere?”.

In difesa di Quasimodo si schierò al tempo Sciascia, che gettò fango sulla reazione italiana al Nobel ricevuto da un connazionale. Nessuno ha mai reagito come noi, scrisse, quasi come fosse un’offesa.

Gianni Brera, suo grande amico, scrisse un accorato necrologio, come detto. Riservò in esso ampio spazio all’analisi dell’invidia letteraria, che è cosa reale, diceva. Ha analizzato tutti i comportamenti tenuti dai detrattori di Quasimodo, provando a smontare tutte le loro tesi e in parte ridicolizzandone gli atteggiamenti.

Il principale indiziato fu Giuseppe Ungaretti, che spiegò essere privo di ironia e autoironia, nonché incline alla irascibilità. Un esempio è proprio il momento in cui scoprì del Nobel a Quasimodo: “Insieme con altri intellettuali, era all’Ambasciata sovietica di Roma per la celebrazione della Rivoluzione di ottobre. Improvvisamente arrivò la notizia della vittoria del Nobel e Ungaretti, infuriato, cominciò a urlare davanti all’ambasciatore e alle autorità, tenendo un comizio contro la poesia di Quasimodo”.