Dopo due anni di guerra, né Russia né Ucraina sono vicini alla vittoria militare. Certo, Mosca è in deciso vantaggio dopo la presa di Avdiivka e l’avanzata per diversi chilometri sul fronte orientale a ridosso del Donetsk, ma Kiev non ha intenzione di mollare. Nonostante la drammatica carenza di uomini e munizioni al fronte e il blocco di aiuti militari e finanziari da parte degli Stati Uniti.
Il presidente Volodymyr Zelensky ha però ricevuto testimonianza di sostegno da parte dei Paesi europei, Italia compresa. L’Unione europea ha promesso che la prima tranche di fondi a Kiev, da 4,5 miliardi di euro, sarà erogata a marzo. In totale Bruxelles dovrà trasferire al Paese invaso 50 miliardi di euro. Basteranno o arriveranno almeno in tempo per consentire all’Ucraina di non cedere alla superiorità industriale e demografica russa? A che punto siamo sul terreno di guerra? Cosa ci aspetta nei prossimi mesi?
Cosa sta succedendo e chi sta vincendo tra Ucraina e Russia
Iniziamo col dire che a compiere due anni è l’invasione russa, non certo il conflitto nel Donbass, che dal 2014 di primavere e inverni ne ha già contati dieci. Dopo il 24 febbraio 2022, si sono registrate sostanzialmente quattro grandi fasi principali: l’attacco russo e il fallimento della guerra lampo, la controffensiva ucraina, lo stallo e la ripresa dell’avanzata russa. Quest’ultima si sta concentrando sui capisaldi che costituiscono la linea difensiva ucraina: da Avdiivka a Robotyne, fino a Zaporizhzhia e Kherson. L’obiettivo è cementare la linea che va da nord-est a sud-ovest, per tagliare l’accesso ucraino al Mar Nero e nel frattempo procedere alla russificazione della popolazione che, nonostante la lingua comune, non si è mostrata favorevole agli invasori. In quest’ottica, per Mosca sarà fondamentale mantenere il controllo della Crimea, negli ultimi tempi bersaglio di violenti attacchi ucraini. Se questi riusciranno a far crollare il Ponte di Kerch, le sorti del conflitto potrebbero mutare radicalmente.
Rispondere alla domanda “chi sta vincendo?” è più complicato e rischia di sfociare in risposte sportive. Dal punto di vista tattico, e cioè sul campo di battaglia, non c’è dubbio: la Russia è in vantaggio. Un vantaggio matematico, perché occupa territori che non le appartenevano, anche se li ha annessi unilateralmente con referendum farsa. E anche se non ne occupa la totalità: restano tuttora in mani ucraine ancora aree di oblast annessi alla Federazione Russa. Intanto la linea di separazione tra i due schieramenti è un inferno letale fatto di fortificazioni armate e immensi campi minati, la cui concentrazione in alcuni supera le 1.500 mine per chilometro quadrato. La Russia ha inoltre modificato la natura dei propri bersagli in terra ucraina: dopo aver preso di mira per settimane centrali e strutture energetiche, adesso è passata a colpire siti industriali e centri di addestramento. L’intento è fiaccare la già scarsa capacità del nemico di sostenere lo sforzo bellico con munizioni e uomini che non ha. Uomini che non vogliono arruolarsi spontaneamente, al contrario dei veterani del Donbass che nelle fasi iniziali del conflitto erano mossi da una motivazione patriottica decisamente superiore a quella delle nuove reclute, peraltro peggio addestrate. Il reclutamento coatto e forzato, anche di donne da impiegare nel settore medico e assistenziale al fronte, non è più sostenibile dalla popolazione. Che in questo modo rischia di vedere nei russi un’alternativa migliore, avvalorandone l’autorità sulle terre conquistate.
Dal punto di vista strategico, Mosca può però già dirsi sconfitta per vari motivi. Innanzitutto perché ha di fatto consegnato l’Ucraina nelle mani della Nato che, pur non volendola inserire nell’alveo del Patto Atlantico, l’ha di fatto presa sotto la sua protezione. In questo modo l’allargamento dell’Alleanza, spauracchio di lungo corso di Mosca, aggiunge un’altra conquista alla sua già nutrita lista tra i Paesi dell’ex Unione Sovietica. La Russia sta perdendo la guerra anche per un’altra ragione: l’estremo sforzo industriale e le sanzioni e la condanna occidentali la stanno spingendo nelle fauci del Dragone cinese, che già adesso acquista a buonissimo mercato idrocarburi e cereali russi accrescendo la propria potenza in vista di una lontana (si spera) sfida finale con gli Usa per l’egemonia globale.
Cosa succederà ora e quanto è lontana la pace: analisi e scenari
Il 2024, con ogni probabilità, sarà segnato dal tentativo degli Usa di congelare il conflitto in Ucraina. E, al contempo, dallo “scarico” degli oneri della ricostruzione del Paese sulle spalle degli Stati europei. Oltre alla stanchezza imperiale per l’impegno su più fronti di guerra (Israele e Taiwan su tutti), Washington vuole trattare al più presto con Mosca proprio per non consegnarla nelle grinfie di Pechino, socio di maggioranza di questa “strana alleanza” di facciata tra imperi contigui, che si odiano ma che hanno comunque unito le forze in sede Brics in ottica anti-occidentale. Gli Stati Uniti considerano infatti la Cina il loro principale rivale planetario e l’imperativo strategico impone di aprire al più debole per evitare un pericolosissimo fronte unito sino-russo. Il dossier è talmente importante da non dipendere dalla vittoria di questo o quel candidato alle prossime elezioni presidenziali americane, previste per novembre, figurarsi dalle scontate elezioni in Russia, che vedranno l’ennesimo mandato di Vladimir Putin fino al 2030.
Benché superiore per mezzi e uomini all’Ucraina, la Russia non è tuttavia in grado di reggere un ulteriore grande sforzo militare che possa modificare il fronte attuale. Le sue fabbriche, alcune riaperte appositamente, lavorano giorno e notte da mesi e la Rostec ha mancato alcuni target di produzione. Tradotto: preferisce trincerarsi in difesa e mantenere i territori che occupa fino alla soluzione del conflitto, sia essa armistiziale o di altra natura. Sa bene che Kiev è allo stremo e resisterà solo finché l’Occidente la alimenta. Come ha notato il capo dell’intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov, “l’unico modo in cui potremmo davvero dissanguare la Russia sarebbe costringerla a occupare l’intera Ucraina”. Fare una stima delle perdite è impossibile: si ritiene che entrambi gli schieramenti abbiano perso almeno 250mila uomini ciascuno tra morti, feriti e prigionieri. La Russia potrebbe averne persi addirittura 350mila. Sia Mosca sia Kiev non possono inoltre calcare la mano sulla mobilitazione generale, visto il forte malcontento e le proteste sempre più frequenti tra i civili, soprattutto i familiari dei soldati mai tornati a casa.
La pace sembra dunque ancora lontana e la guerra lunga. Il tempo avvantaggia la Russia, che non si pone obiettivi di conquista quanto di logoramento e attrito ai danni degli avversari. E l’economia di guerra è funzionale a una tale strategia. L’Ucraina continuerà ad avere problemi di munizioni e reclute, a causa anche delle mosse di Zelensky: prima di silurare il capo dell’esercito Zaluzhny, il presidente ucraino aveva riservato il medesimo trattamento anche ai reclutatori regionali, sostituendoli con persone di sua fiducia per decidere direttamente chi mandare al fronte. E cioè russofoni di città come Karkhiv, già devastate materialmente e moralmente, piuttosto che cittadini di Kiev o Leopoli. Tra gli sconfitti possiamo però già annoverare noi, i Paesi europei. Abbiamo osservato inermi il fatale allargamento della Nato a Est – al quale si opposero già nel 2008 Germania, Francia e Italia – finendo col pagarne letteralmente il prezzo in termini economici ed energetici. La Germania ha addirittura subìto – unico Paese europeo – un attacco diretto durante questa guerra, al gasdotto Nord Stream. Ma la storia ci ha insegnato che il legame russo-tedesco è capace sempre di risorgere dalle ceneri spente con le acque del Baltico, divenuto il nuovo baricentro atlantico. Senza contare la magra figura morale, nonostante la propaganda di unità comunitaria, nel non poter inviare a Kiev il milione di munizioni promesso: la nostra industria bellica è stata convertita e ridimensionata in decenni di guerre asimmetriche.
La prossima “Ucraina” sarà la Transnistria?
In quanto impero, la Russia non concentra mai forze e interessi su un’unica parte di mondo. Impegnata nel tenere compatto l’immenso territorio e il fronte interno e nel proiettare la propria potenza in teatri strategici come Africa e Medio Oriente, il Cremlino coltiva la propria influenza anche nell’immediato ovest dell’Ucraina. La Transnistria, enclave separatista della Moldavia, è infatti pronta a chiedere all’annessione alla Federazione. Si rischia dunque di assistere allo stesso film della Crimea nel 2014, offrendo a Mosca un parte di scacchiera che circonderebbe anche la parte occidentale d’Ucraina, tradizionalmente filo-europea e finora sostanzialmente risparmiata dai combattimenti. La retorica e la propaganda sono le stesse: Mosca “deve proteggere i cittadini dalle minacce della Nato”.
Il countdown è quasi scaduto: il 28 febbraio il Congresso della Transnistria voterà per l’unificazione con la Russia. Una mossa che l’Ue non tollererà, ha tuonato il portavoce del Servizio di Azione Esterna europeo, Peter Stano. Come sempre, la storia e il passato ci vengono in aiuto per non restare spiazzati dagli eventi. La regione separatista ha già tentato altre due volte la via dell’annessione alla Federazione Russa, senza successo. E anche questa volta sembra intenzionata più a destabilizzare il governo filoeuropeista moldavo, piuttosto che minacciare direttamente l’Ucraina per conto del Cremlino. Va tuttavia sottolineato che in quella striscia di terra, dichiaratasi unilateralmente indipendente nel 1990, sono stanziate circa 1.500 truppe russe e che, secondo l’Institute for Study of War, la Russia sta conducendo attività d’influenza contro la Moldova molto simili a quelle intraprese prima delle invasioni dell’Ucraina nel 2014 e nel 2022.