In queste ore drammatiche e colme di dolore, il quotidiano Maariv – tra i più autorevoli del panorama editoriale israeliano, riconosciuto come imparziale ed equilibrato da buona parte della comunità internazionale – ha diffuso un sondaggio realizzato prelevando un campione di cittadini residenti nello Stato ebraico, a cui è stato sottoposto un quesito: sei favorevole o contrario all’invasione via terra della Striscia di Gaza in risposta agli attentati compiuti da Hamas lo scorso sabato 7 ottobre?
Ebbene, il risultato certifica nero su bianco l’estrema complessità che caratterizza il conflitto in Medioriente in queste fasi più recenti dello scontro. Pur con le dovute cautele che si rendono necessarie ogni volta che si cerca di interpretare il risultato di una consultazione estemporanea, bisogna comunque prendere atto che il 49% degli intervistati crede che sia meglio attendere prima di ordinare all’esercito nazionale l’avanzamento in territorio nemico. Un risultato in netta flessione rispetto a soli sette giorni fa, quando allo stesso quesito aveva risposto positivamente circa il 65% degli interpellati.
Bibi Netanyahu, primo ministro dello Stato di Israele, oggi nel mirino di cittadini e opinione pubblica: il suo futuro è segnato?
Quanto appena descritto aiuta a comprendere come il sentimento popolare nei confronti del progetto militare israeliano sia alquanto volubile, in particolare tra le fasce meno abbienti della popolazione. Un approccio dubbioso, al limite del diffidente, che deriva da una serie di fattori perlopiù interni alla nazione ebraica. Uno su tutti, il ruolo interpretato da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, il cui gradimento viene dato in picchiata dopo la clamorosa debacle difensiva mostrata a tutto il mondo in occasione dell’assalto omicida perpetrato a più riprese da parte dei terroristi islamici di Hamas.
Parafrasando le parole di uno dei massimi esperti italiani di relazioni internazionali (il giornalista Lucio Caracciolo, noto opinionista e direttore editoriale della rivista Limes), il grande protagonista della politica israeliana degli ultimi vent’anni vede davanti a sé la porta di sola uscita dalla scena pubblica. Con ogni probabilità, un secondo dopo la fine dell’emergenza militare, la sua figura sparirà sotto i colpi di chi lo accusa di non aver saputo difendere la propria gente da un attacco che – su più fronti – poteva essere previsto e affrontato in modo assai più lucido e organizzato.
Perché la leadership di Netanyahu è in picchiata? La storia del primo ministro che voleva governare a vita (ma oggi ha le spalle al muro)
Allo stato attuale, su una cosa sola non vi è alcun dubbio: nel bene e nel male, Bibi Netanyahu si è ritagliato uno spazio importante nei manuali di storia contemporanea. Criticato al limite della violenza dai suoi detrattori, osannato come un messia da chi lo ha sempre sostenuto, l’ex militare (nato nel 1949) ha cambiato per sempre il panorama politico del proprio Paese, ponendosi per lungo tempo come perno centrale e inamovibile di ogni contesto che coinvolgesse lo Stato di Israele. Ne ha forgiato il sistema partitico, prendendo la guida del Likud – schieramento da sempre collocato su posizioni liberali e nazionaliste – e portandolo su binari più estremi rispetto ai suoi già illustri predecessori (da Menachem Begin a Yizhack Shamir e Ariel Sharon, anche loro tutti primi ministri durante le rispettive segreterie).
Non contento di aver monopolizzato l’attenzione per quasi un trentennio (è stato a capo dell’esecutivo dal 1996 al 1999, poi ininterrottamente dal 2009 al 2021, fino all’ultima esperienza ancora in corso da circa un anno), negli ultimi tempi ha formato un governo con l’estrema destra e ha provato a modificare l’architettura costituzionale del suo Paese, attraverso una riforma volta a delegittimare in maniera pesante l’autonomia della magistratura. Oggi però il suo destino è appeso a un filo: è quasi impossibile che “Il Mago” (questo il soprannome che si è guadagnato per le tante vittorie elettorali insperate) riesca a risorgere per l’ennesima volta.
La vita di Bibi Netanyahu è in pericolo? Perché si continua parlare di una sua fuga da Israele nel momento più critico dello scontro con Hamas
E così, in queste giornate convulse, si rincorrono le voci che lo vorrebbero all’opera per organizzare una fuga da Israele non appena la situazione si sia calmata (con tutte le difficoltà del caso nel capire come e quando questa prospettiva potrebbe verificarsi). La storia saldamente democratica del suo Paese non consente comunque di porlo al riparo da gesti estremi che potrebbero essere perpetrati dalle faglie sociali più affini alla causa palestinese e al gruppo terroristico di Hamas.
In particolare, sul fronte interno, a minacciarlo sarebbero i cosiddetti Fratelli Mussulmani, presenti con 5 deputati alla Knesset (il Parlamento monocamerale israeliano), eletti grazie alla Lista Araba Unita, localmente nota con il nome di Ra’am. Tra i vicini di Israele, invece, lo cercano tutti, a cominciare dai corpi armati di Hezbollah presenti in Libano. Di conseguenza, l’ormai ex leader ebraico starebbe incasellando tutte le tessere per lasciare la propria patria in tempi brevi. Ma quali beni materiali lascerebbe Netanyahu in caso di trasferimento all’estero? E cosa, invece, potrebbe portare con sé?
Dalle case alle partecipazioni azionarie, fino alla Vodka e ai profumi: tutti gli affari di Bibi Netanyahu, primo ministro di Israele (ancora per poco)
Secondo le ultime ricostruzioni pubblicate dalla rivista americana People with Money, il capo del Likud vanterebbe un patrimonio personale stimato in oltre 245 milioni di dollari (equivalenti a circa 233 milioni di euro). La composizione di questa somma sarebbe molto variegata: diverse le proprietà immobiliari costruite o acquistate nei decenni sul territorio israeliano, oltre ad una catena di ristoranti a Gerusalemme, una squadra di calcio professionistico, un marchio personalizzato di Vodka e decine di partecipazioni azionarie nell’industria dei cosmetici.
Solo nell’ultimo anno, sommando lo stipendio da primo ministro con gli introiti derivanti da tutte le attività descritte, Bibi Netanyahu avrebbe incrementato la propria disponibilità di oltre 82 milioni di dollari (tramutabili in circa 78 milioni di euro). In particolare, i guadagni più sostanziosi li avrebbe garantiti la sua ultima creatura imprenditoriale: parliamo di una linea di moda e profumi – sbeffeggiata dalla stampa locale, che l’ha subito rinominata From Benjamin with love (traducibile in “da Benjamin con amore“) – che ha riscosso grande successo tra gli abitanti delle principali città del Paese.