Ecuador nel caos: assalto alla tv di Stato, scontri e narcos in rivolta. Cosa sta succedendo

L'evasione dal carcere del boss criminale "Fito" ha fatto esplodere violenze e saccheggi a Guayaquil e nella capitale Quito. Commando e bande hanno seminato morte e panico: almeno dieci le vittime. Cos'è successo e perché

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Anche l’Ecuador piomba nella guerra e conferma la considerazione di Papa Francesco sul fatto che quella che stiamo vivendo è una “terza guerra mondiale a pezzi”. Quello scoppiato in Ecuador è però un conflitto civile, interno al Paese e non diretto contro un altro Stato (di recente anche in Corea hanno spirato venti di guerra: ecco cos’è successo).

Già da tempo preda di tensioni e violenze scatenate da bande criminali e di narcotrafficanti, martedì 9 gennaio il Paese ha conosciuto un exploit inedito di azioni di rappresaglia. La situazione è degenerata dopo la decisione del presidente Daniel Noboa di dichiarare dapprima lo stato di emergenza e poi quello di “conflitto armato interno” per 60 giorni. Un commando di uomini armati e incappucciati ha fatto irruzione in diretta tv nello studio di un canale pubblico nella città di Guayaquil. In tutto il Paese si sono verificati scontri, saccheggi nei centri commerciali e auto date alle fiamme. Almeno dieci le vittime.

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Rivolte carcerarie e l’evasione del boss Adolfo “Fito” Macias

Il decreto esecutivo firmato dal presidente Noboa certifica la lotta dello Stato a 22 organizzazioni criminali, dando mandato alle Forze armate di Quito di intervenire militarmente per neutralizzarle e per “proteggere la sovranità e l’integrità territoriale” del Paese da “attori non statali belligeranti”. Tradotto: manca mezzo passo alla guerra civile. I gruppi definiti “terroristici” sono: Aguilas, AguilarKiller, AK47, Dark Knights, ChoneKiller, Choneros, Corvicheros, Cuartel de las Feas, Cubanos, Fatales, Gánster, Kater Piler, Lagartos, Latin Kings, Lobos, Los p .27, Los Tiburones, Mafia 18, Mafia Trébol, Patrones, R7 e Tiguerones.

Le violenze tra i gruppi criminali e le Forze dell’ordine sono esplose già il 7 gennaio, con l’evasione dal carcere di massima sicurezza di Guayaquil di José Adolfo Macías Villamar detto “Fito”, famigerato boss del cartello del narcotraffico Los Choneros. C’è anche lui nella lista nera dell’esercito governativo, dove è definito il latitante più pericoloso dell’Ecuador. La fuga del leader criminale, avvenuta il giorno di Natale durante una visita medica come riferito dall’ex ministro José Serrano, ha dato il via alla serie di terribili violenze e di rivolte nelle carceri del Paese. “Fito” era in carcere dal 2011 e stava scontando una pena a 34 anni di reclusione per criminalità organizzata, traffico di droga e omicidio. Per cercarlo e catturarlo sono stati mobilitati 3mila agenti.

Da allora si sono moltiplicate le rivolte in almeno sei grandi carceri, dove numerosi poliziotti sono stati rapiti mentre erano in servizio. Le numerose bande internazionali di narcotrafficanti attive nel Paese hanno quindi dimostrato tutto il loro tremendo potere, cresciuto a dismisura negli ultimi anni soprattutto grazie ad affari illegali da miliardi e miliardi di dollari. Nel 2023 il numero delle morti violente è salito a 8.008, quasi il doppio rispetto al 2022.

Violenze, scontri, assalto alla tv pubblica e saccheggi

I centri commerciali del Paese hanno visto saccheggi, rapine e sparatorie. Mercati, negozi, scuole e uffici pubblici sono stati chiusi, è stato imposto il coprifuoco tra le 23 e le 5 e le principali città sono diventate prede del caos più totale, con masse enormi di abitanti che tentavano disperatamente di rientrare a casa per sfuggire alla furia omicida dei criminali. Molte bande hanno infatti dato luogo a esecuzioni sommarie di civili per le strade. Scene da film apocalittico, con tanto di irruzione da parte di uomini armati in uno studio di TC Televisión della città occidentale di Guayaquil durante una trasmissione in diretta. Operatori, giornalisti e tecnici sono stati presi in ostaggio e un assalitore ha puntato un fucile a pompa alla testa di uno dei dipendenti, minacciandolo di morte. “Non sparate, vi prego, non sparate”, ha urlato una delle persone presenti, mentre un cameraman è stato colpito alla gamba e a un altro è stato rotto un braccio.

Le immagini drammatiche dell’assalto sono state trasmesse in diretta e hanno fatto il giro del mondo sui social. Gli aggressori, che indossavano tute sportive, erano armati di granate e fucili mitragliatori. Dopo una mezz’ora infinita di panico, le luci dello studio si sono spente e i filmati hanno registrato soltanto l’audio dell’arrivo delle forze speciali della polizia, che sono riusciti a liberare gli ostaggi. Le violenze sono esplose anche all’esterno della sede televisiva, nelle strade di Guayaquil, con attacchi contro la popolazione civile e le forze dell’ordine. Un commissariato è stato vittima da un attentato, mentre due addetti alla sicurezza di un centro commerciale sono stati assassinati dai criminali per aver impedito l’accesso ai locali affollati.

Nella capitale Quito uomini armati hanno sparato contro i veicoli che transitavano nelle loro vicinanze, provocando la morte di cinque persone e ferendo uno studente di una scuola della zona. Nelle vicinanze, un gruppo armato ha fatto irruzione in un magazzino di pezzi di ricambio e ha ucciso tre persone. Un commando ha anche fatto irruzione all’interno dell’Università per sequestrare ostaggi. La spirale di violenza è stata tale da indurre il confinante Perù a inviare le forze speciali di polizia alla frontiera.

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Perché l’Ecuador è sprofondato nella violenza e nel caos

Il 36enne Daniel Noboa, figlio di uno dei più grandi magnati dell’Ecuador, è stato eletto presidente appena tre mesi fa sulla scia di tonanti promesse di “guerra aperta” alla criminalità. La stessa campagna elettorale del centrista è stata caratterizzata dalla violenza eversiva, con l’uccisione dell’altro candidato presidente Fernando Villavicencio. Il programma di Noboa prevede “tolleranza zero” nei confronti delle bande criminali, a cominciare dalla ripresa del controllo statale nelle carceri. Almeno un quarto delle 36 prigioni del Paese si ritiene infatti finito in mano alle gang, che le utilizzano come centri di potere e di reclutamento.

Una di queste era il “regno” proprio del boss “Fito”, che ad agosto era stato trasferito in un carcere di massima sicurezza “accompagnato” da ben 4mila agenti. Il capo criminale non ci stava e i suoi avvocati sono riusciti a vincere il ricorso per farlo trasferire di nuovo nella “sua” prigione.

Stretto tra i due più grandi produttori di cocaina al mondo, Perù e Colombia, da diversi anni l’Ecuador ha smesso di essere uno “Stato cuscinetto” ed è diventato lo snodo operativo del narcotraffico internazionale. E, con esso, anche teatro di scontro tra bande rivali legate ai cartelli messicani e colombiani. L’esplosione di violenza preoccupa molto gli Stati Uniti, che esercita la sua egemonia anche nell’area sudamericana e che teme fortemente l’apertura dell’ennesimo fronte bellico al quale fornire assistenza.