Era il 15 luglio del 1997 quando l’intero mondo della moda rimase sconvolto da una notizia inaspettata: Gianni Versace è stato assassinato davanti alla sua villa di Miami Beach, mentre rientrava da una passeggiata. Ad oggi, nonostante i media siano invasi di ricostruzioni, libri e serie tv, rimane un’ombra sulle cause dell’omicidio e il dolore che ha accompagnato negli anni i sui suoi familiari fatica a trovare una tregua.
Santo Versace, che per tanti anni ha gestito il brand da dietro le quinte, ha provato a placare il dolore scrivendo un libro – uscito qualche mese fa per Rizzoli – dal titolo “Fratelli. Una famiglia italiana”, nel quale si è lasciato andare ai ricordi e alle confessioni sul rapporto che lo legava al fratello stilista e alla sorella, Donatella Versace.
La nuova vita di Santo Versace oggi passa anche dalla nascita di una Fondazione omonima, portata avanti assieme alla moglie Francesca De Stefano Versace, grazie alla loro volontà di fare la differenza per chi è meno fortunato. Entrambi sono infatti da tempo attivi nel sociale sia a livello personale che all’interno di organizzazioni non profit.
Abbiamo intervistato Santo Versace per parlare con lui di moda, cinema e della sua nuova vita nel terzo settore.
“A Miami, il 15 luglio 1997, è morta anche una parte di me”, si legge all’inizio di “Fratelli. Una famiglia italiana”, uscito a 25 anni di distanza dalla scomparsa di suo fratello Gianni. È stato liberatorio scrivere questo libro?
Grazie a questo libro mi sono liberato da tante tragedie e tanti traumi vissuti nella mia vita: infatti non ho soltanto perso mio fratello Gianni quando avevo poco più di 50 anni, ma all’età di 9 ho perso anche una sorella, Tinuccia, che aveva solo 13 mesi più di me. Adesso che ho iniziato a raccontare una parte della mia vita, voglio andare avanti e completare l’opera. Scriverò altri libri.
Quando hanno chiesto a Giorgio Armani cosa invidiava di Gianni Versace, lui ha risposto “suo fratello Santo”. Come l’ha fatta sentire questa affermazione e in che modo il suo supporto e il suo pensiero sono stati essenziali nel combinarsi alla creatività di Gianni?
Ovviamente fui entusiasta di quell’affermazione, detto da chi in quegli anni rappresentava l’altro genio nella moda italiana. Versace era il massimo dell’arte e della fantasia, Armani dello stile. Diedero forza straordinaria a quella “Milano da bere” che contribuì a creare una nuova immagine dell’Italia, fatta d’impegno e creatività, in tutti i settori: magari potesse tornare! Milano perse molto con la morte di Gianni: come sottolineò lo scrittore Quirino Conti a dieci anni dalla sua scomparsa, “Dioniso aveva abbandonato il suo tempio”. Gianni era l’estro, l’arte, io era la colonna che sorreggeva la parte pratica, industriale.
Ha da poco costituito una Fondazione che porta il suo nome, per questo vorrei chiederle come ci si sente a far parte attivamente di un progetto così importante e quali sono gli obiettivi di questa “neonata” del terzo settore italiano.
Stiamo sostenendo molti progetti, il primo è quello di Don Aldo Buonaiuto che recupera molte prostitute dalla strada. Un’altra iniziativa che stiamo cercando di valorizzare è relativa alle donne che lavorano in carcere: è necessario agire affinché al termine della prigionia abbiano un lavoro. Lavoriamo con Patrizia Corbo per la Cooperativa Sociale Piccolo Principe (che si occupa di minori in stato di disagio), collaboriamo con Chiara Amirante per sostenere la comunità internazionale Nuovi Orizzonti (che dà aiuto a coloro che si trovano in situazioni di grave disagio sociale) e stiamo supportando tanti altri progetti. La cosa fondamentale è riuscire a costituire una rete di fondazioni virtuose: se siamo uniti e collegati riusciremo a fare, con gli stessi mezzi, molto di più e molto meglio.
Di recente ha definito la Fondazione come “quel figlio che non abbiamo mai avuto”: quanto è stato importante il contributo di sua moglie Francesca alla realizzazione di questo obiettivo?
È vero, io e Francesca non abbiamo avuto figli insieme, per questo abbiamo costituito la nostra Fondazione. È l’erede che ci porterà nell’eternità.
Ho letto che dopo due Leoni a Venezia, il sogno suo e di Francesca sarebbe quello di portare un vostro film a vincere l’Oscar.
Quando ho lasciato il mondo della moda, mi sono reso conto che la cosa più bella che ho sempre sognato è quella di fare film. Ho sempre avuto una passione per Federico Fellini, Vittorio De Sica e tutti i grandi registi che hanno fatto la storia della settima arte in Italia e nel mondo. Anche mia moglie Francesca è da sempre appassionata di cinema, e abbiamo trovato ideale investire in Minerva Pictures . Conoscevo già Gianluca Curti (Amministratore delegato di Minerva, ndr) quindi tutto si è svolto in modo molto naturale. Dal 2019 siamo soci di questa storica società di produzione e distribuzione ed è un lavoro che ci piace da pazzi. Abbiamo già fatto una scommessa: quando siamo andati alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, dopo aver visto il film ho detto a mia moglie “Vinceremo un leone”. Lei per scaramanzia mi ha suggerito di non dire una cosa del genere. Beh, alla fine di Leoni ne abbiamo vinti due: il Leone del Futuro, Premio Venezia opera prima Luigi De Laurentiis, e il Leone d’Argento, Gran Premio della critica. Ora l’obiettivo è quello di andare a Hollywood a ritirare un Oscar. Per me si tratta di un goal chiaro e preciso, altrimenti non mi sarei imbarcato in questa bella avventura.
Lei è stato un precursore dei valori della sostenibilità nella moda, fondando Altagamma, che riunisce proprio le imprese dell’eccellenza italiana attorno a questi valori.
Con Altagamma abbiamo messo insieme il bello del nostro Paese per comunicarlo al meglio e imparare a fare impresa, come già i francesi sapevano fare. La scomparsa di Gianni ha cambiato non solo la storia della moda, ma anche dell’economia: proprio nel 1997 avevamo annunciato la nostra imminente quotazione in borsa, quando ci venne proposta una fusione con Gucci. Se fosse avvenuta, avremmo finalmente fondato il primo polo della moda italiana.